Il Giudice, nella liquidazione delle spese di causa, ha l'obbligo di motivare il motivo per cui si è discostato dalla nota spese depositata dalla parte vittoriosa
Nota a Ordinanza della Corte di Cassazione n. 14038/2017 depositata il 6 giugno 2017
Mercoledi 14 Giugno 2017 |
Un avvocato impugnava presso il Tribunale una sentenza del Giudice di Pace che, a sua volta, rigettava il gravame proposto in relazione alla disposta liquidazione dei diritti di avvocato: in terzo grado, il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione della legge 248/2006 e del D.M. n. 127/04 per avere il Giudice di seconde cure erroneamente ritenuto non applicabile, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il citato decreto ministeriale sulle tariffe professionali in virtù dell'abolizione della obbligatorietà delle tariffe medesime ad opera della legge 248/06.
Premetteva, quindi, la Corte di Cassazione che, se è pur vero che l'abolizione dei minimi tariffari può operare nei rapporti tra professionista e cliente, è vero altresì che l'esistenza della tariffa mantiene la propria efficacia quando il Giudice debba procedere alla regolamentazione delle spese di giudizio in applicazione del criterio della soccombenza (Cassazione n. 7293/2011) e ciò precipuamente fino all'intervenuta abrogazione della tariffa medesima disposta dalla Legge n. 27/2012 e con effetti dall'entrata in vigore del d.m. 20 luglio 2012 n. 140 (Cassazione n. 11232/2013).
Conseguenza logica di quanto sopra è che i nuovi parametri devono applicarsi ogniqualvolta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, ancora non abbia completato la propria prestazione professionale, ancorché questa abbia avuto inizio precedentemente e sia stata in parte svolta ancora vigenti le tariffe abrogate, posto che l'accezione omnicomprensiva di “compenso” deve essere valutata come nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata (Cassazione SS.UU. n. 17405/2012).
Del resto, nel caso in esame, la doglianza mossa con il gravame riguardava la liquidazione dei diritti di avvocato mentre la norma precedente si riferiva agli onorari, consentendo di conseguenza solo per questi ultimi una liquidazione al di sotto dei minimi laddove la causa sia di “facile trattazione” (ex pluribus, Cassazione n. 3961/2016).
Gli Ermellini, inoltre, non dimenticano di rammentare che in tema di liquidazione delle spese processuali, il Giudice, in presenza di una specifica nota spese prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha il preciso onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti e dalle tariffe, in relazione all'inderogabilità dei relativi minimi, a norma dell'art. 24 della L. 794/1942 ((Cassazione n. 21791/2015).
Pertanto, quando la sentenza di primo grado sia censurata con riguardo alle spese di giudizio, sotto il profilo della violazione dei minimi della tariffa professionale, l'onere dell'appellante di fornire ai giudici d'appello gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso dovuto al professionista, indicando specificamente importi e singole voci riportate nella nota spese prodotta in primo grado, può essere agevolmente assolto anche con nota allegata all'atto di appello e in questo richiamata (Cassazione n. 21791/2015 e Cassazione n. 2339/2017).
Tutto ciò posto, i giudici di terzo grado hanno ritenuto errata la condotta del Tribunale in funzione di grado di appello poiché aveva tacciato di genericità la doglianza pur in presenza di nota spese allegata all'atto di appello e a fronte anche della censura relativa alla liquidazione dei diritti di avvocato operata globalmente da parte del primo Giudice; di conseguenza la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio ad altra sezione del Tribunale dal quale la stessa proveniva per una nuova decisione secondo i principi esplicati ed anche per la regolamentazione delle spese del terzo grado di giudizio.