L’ordinanza del 01 aprile 2019 n. 9037 della Suprema Corte non è di certo innovativa per quanto riguarda il principio di diritto espresso dalla Cassazione quanto piuttosto rilevante per il ragionamento effettuato prima dai Giudici di Merito e poi confermato dagli Ermellini sulla efficacia che può avere la ricostruzione del sinistro effettuato dai verbalizzanti per determinare la responsabilità civile nella causazione del sinistro stradale.
Scrive la Suprema Corte nell’ordinanza: “E' principio consolidato (vedi Cass., n. 22629 del 2008, n. 9251 del 2010, n. 3787 del 2012) quello per cui l'atto pubblico (e, dunque, anche il rapporto della polizia municipale) fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell'indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, si tratta di materiale probatorio liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti”.
Il verbale redatto dalla polizia municipale fa piena prova, fino a querela di falso, relativamente a tutti i fatti che accadono dinanzi agli stessi e a quelle dichiarazioni che gli stessi raccolgono. Il verbale di accertamento di un sinistro stradale, redatto dagli organi di polizia ha efficacia di piena prova fino a querela di falso, in virtù della sua natura di atto pubblico. Tale efficacia si estende anche ai fatti che il Pubblico Ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
Viceversa, non si estende né ai giudizi valutativi, né alla menzione di quelle circostanze relative a fatti, che, in ragione delle loro modalità di accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obiettivo e, pertanto, abbiano potuto dare luogo ad una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento. Ciò è diretta conseguenza del fatto che il predetto verbale fa piena prova fino a querela di falso solo in ordine ai fatti accertati visivamente dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell'incidente, quale risultava al momento del loro intervento Corte d'Appello Roma Sez. III, 07/09/2010 Gr.Fu. c. Ri.An. e altri) ma la natura di atto pubblico non si estende a quelle valutazioni che fa il pubblico ufficiale nel verbale sulla base dei rilievi compiuti, sentendo eventuali dichiarazioni testimoniali raccolte sul posto nonché evidenziando le posizioni dei veicoli sul luogo dell’incidente.
Pur non avendo fede privilegiata, tali “parti” del verbale possono essere liberamente valutabili dal giudice e possono anche fondare l’assoluto convincimento del giudicante come nel caso che ci occupa. Sarà compito, quindi, del difensore valutare attentamente il verbale nella sua interezza e se la parte assistita ritiene di non essere d’accordo con quanto ricostruito dagli agenti verbalizzanti, bisognerà fornire una diversa prospettazione dei fatti e richiedere la prova contraria o meglio ancora una prova diretta testimoniale o anche una consulenza tecnica d’ufficio che possa rendere incompatibili i fatti valutati dagli agenti e fondare un nuovo e diverso convincimento del Giudicante.
I principi esaminati sono rilevanti sia se si vuole agire ad esempio per un risarcimento danni da circolazione stradale sia per impugnare un verbale di contestazione con sanzioni amministrative irrogate.
Cassazione civile ordinanza n.9037/2019