Il giudice non può limitarsi ad affermare, con clausole che sostanzialmente ricalcano il testo normativo, l'idoneità dell'attività riparatoria a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione nè la congruità della somma corrisposta senza averne valutata la proporzionalità rispetto ai danni provocati e senza aver sentito le parti, il cui giudizio però non è vincolante
Venerdi 15 Febbraio 2019 |
Premessa – Il capo V del decreto legislativo n. 274/2000 ha introdotto, in attuazione dell’art. 17 della legge n. 468/1999, due meccanismi di definizione anticipata del procedimento penale davanti al Giudice di Pace: 1) la particolare tenuità del fatto come causa di improcedibilità; 2) l’estinzione del reato per condotte riparatorie. Qual è la ratio di questi due istituti?
Dalla lettura delle norme (artt. 34 e 35 d.lgs. n. 2274/2000) si evince che l’intento del legislatore, quale appare nell’art. 17 della legge 24.11.1999, n. 468, è principalmente orientato verso la possibilità di deflazionare il carico di lavoro dei Tribunali. Ma si ravvisa anche la consapevolezza che l’obbligo astratto del perseguimento totale dei reati non ha avuto fino ad oggi una completa attuazione. Nella Relazione allo schema del decreto legislativo si legge anche che:
(a) “l’obbiettivo di una punizione generalizzata, oltre che impossibile da raggiungere, sembra anche insensata sotto il profilo politico-criminale”;
(b) “lo sviluppo assunto dalla criminalità di massa crea innanzitutto un problema di funzionalità del sistema penale”. Ne consegue che il legislatore, consapevole che una giustizia a tutto campo possa rendere difficile il perseguimento di reati di maggiore allarme sociale, cerca soluzioni atte a liberare il sistema da intasamenti causati dai numerosi processi aventi ad oggetto: (a) reati inoffensivi mediante il ricorso a meccanismi di autoriduzione, quali la querela, la prescrizione, l’amnistia, la depenalizzazione, al fine di restituire razionalità ed economicità alla giustizia penale; (b) reati a basso indice di offensività, caratterizzati da esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, dalla occasionalità della condotta criminosa, dal basso grado di colpevolezza, dall’eventuale pregiudizio sociale per l’indagato o per l’imputato. L’introduzione nel nostro ordinamento di istituti finalizzati a definizioni alternative dei processi ha aperto un interessante dibattito tra gli studiosi del diritto criminale.
La possibilità di smaltire il carico giudiziario riconoscendo la esiguità di condotte antigiuridiche che hanno avuto scarsissime conseguenze sul piano dell’offensività è stata ritenuta, evidentemente, meritevole di considerazione ai fini dell’abbattimento dei tempi processuali. Nella stessa ottica si pone la possibilità di dichiarare estinto un determinato reato per condotte riparatorie, istituto, questo, che, oltre a concorrere alla realizzazione dell’intento deflattivo, può essere considerato, nella prospettiva della risocializzazione, quale indice di ravvedimento da parte del reo.
Questi istituti sono stati introdotti, forse in via sperimentale, nel rito penale avanti il giudice di pace. Ovviamente, ove si consideri che il giudice di pace ha anche il compito di tentare la definizione dei processi attraverso la conciliazione (art. 2 comma 2 D.Lgs. n. 274/2000), non possiamo negare che l’intento del legislatore è anche quello di prevenire la ripetizione di comportamenti che hanno scarsa rilevanza penale, ma forte impatto sociale nella vita di tutti i giorni. In questo senso possiamo parlare della funzione pedagogica della legge penale, che si evidenzia principalmente proprio nell’attività che il giudice di pace svolge per risolvere le controversie attraverso la mediazione conciliativa.
Estinzione del reato per condotte riparatorie - Se l’imputato dimostra di aver risarcito o riparato il danno, il giudice di pace pronuncia sentenza di estinzione del reato , salvo che reputi tali condotte inidonee a compensare il disvalore dell’illecito e a salvaguardare le esigenze di prevenzione . Trattasi del meccanismo di definizione alternativa del procedimento previsto dall’art. 35 del decreto legislativo e si applica a tutte le ipotesi di reato appartenenti alla competenza del giudice di pace, siano essi procedibili di ufficio o a querela.
E’ un istituto destinato a maggiore fortuna rispetto a quello di cui all’art. 34, in quanto pone rimedio all’inefficacia dell’istituto della improcedibilità per tenuità del fatto ridando equilibrio al sistema fortemente compromesso dalla possibilità offerta alla persona offesa di opporsi alla dichiarazione di improcedibilità, rendendo vano il fine conciliatorio cui si ispira il processo penale del giudice di pace. L’imputato, il quale chieda la pronuncia di estinzione del reato per condotta riparatoria, deve dimostrare di aver provveduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno causato dal reato mediante le restituzioni o il risarcimento e l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose.
Per ovviare al rischio che la dichiarazione di estinzione del reato per condotte riparatorie si trasformi in un “mercato delle vacche”, la norma pone come condizione che tali condotte siano tali da soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione. Il giudizio sulla congruità della condotta riparatoria è rimessa al prudente apprezzamento del giudice che, però, ha l’obbligo di motivare la sua decisione.
La sentenza della Cassazione, sez. IV, n. 5429/2019 – La recente sentenza della Cassazione si pone proprio sulla linea sopra espressa.
Ma veniamo al caso affrontato dalla Suprema Corte. Il Giudice di Pace di Padova, con sentenza emessa il 26/06/2007, utilizzando l’istituto delle condotte riparatorie, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per il reato di cui all’art. 590, commi 2 e 3, c.p., per condotta riparatoria. All’imputato era contestato il reato di lesioni colpose, “avendo, alla guida della propria autovettura, con violazione delle norme sulla circolazione stradale, cagionato lesioni personali a Z.G., tamponando il motociclo dallo stesso guidato, così provocandone la fuoriuscita dalla sede viaria: a seguito dell’urto Z.G. veniva sbalzato in un fossato riportando lesioni gravi”. Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione il P.M. presso il Tribunale di Padova, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione. Il ricorso veniva accolto con rinvio per nuovo esame al Giudice di Pace, altro magistrato.
Le ragioni dell’accoglimento del ricorso – Il primo rilievo consiste nella mancanza totale nella sentenza del Giudice di Pace di una motivata valutazione di congruità della riparazione con riferimento alla soddisfazione tanto delle esigenze compensative, quanto di quelle retributive e preventive; Il secondo rilievo viene ravvisato, oltre che nell’assenza di una sia pur minima valutazione di congruità, nella totale carenza assoluta di qualsiasi riferimento al ravvedimento del reo e al suo futuro comportamento. Infine, il terzo rilievo riguarda l’inosservanza da parte del Giudice di Pace dell’obbligo di sentire la persona offesa anche se il suo eventuale dissenso non è vincolante per il giudice.
Considerazioni finali – I temi trattati in questo breve commento sono di fondamentale importanza, in quanto afferiscono a forme alternative di risoluzione delle liti e di definizione del procedimento penale ispirandosi a quel diritto mite di cui tanto si è discusso in questi ultimi anni. D’altronde non possiamo esimerci dal valutare le questioni anche sotto il profilo dell’offensività del reato.
Alcuni studiosi hanno affermato l’inutilità della punizione di quei reati privi della capacità di offendere. Un formidabile contributo al riguardo ha offerto la Cassazione penale con la sentenza 28.04.2006 n. 24249, nella quale è trattato con profondità il tema dell’offensività del reato e della funzione pedagogica dell’intero sistema penale che concerne il Giudice di Pace. Il Giudice del rinvio dovrà riesaminare il caso e decidere in ordine sia alla congruità della condotta riparatoria sia all’effettivo ravvedimento del reo. In particolare, dovrà stabilire se dalla condotta dell’imputato è possibile dedurre il suo ravvedimento con un giudizio prognostico in ordine al suo futuro comportamento.