La Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 26320 del 29 settembre 2025 delinea i profili di responsabilità della casa di riposo allorchè l'anziano ospite si allontani dalla struttura e successivamente deceda, escludendo efficacia a clausole interne limitative della responsabilità.
Giovedi 2 Ottobre 2025 |
Il caso: Tizia conveniva in giudizio una società cooperativa sociale, allegando che la madre, riconosciuta giudizialmente invalida al 100%, perché affetta da demenza senile con gravi turbe di comportamento e parkinsonismo, era stata affidata alla Casa di riposo gestita dalla convenuta, a fronte del pagamento di una retta mensile; durante la permanenza presso la suddetta Casa di riposo, la madre era scomparsa e, dopo ricerche, era stata trovata, il pomeriggio del giorno successivo, a 600 metri di distanza dalla struttura, deceduta per assideramento.
Chiedeva quindi la condanna della convenuta, per omissione della vigilanza e custodia, al risarcimento dei danni biologico e per perdita del rapporto parentale, iure proprio, biologico terminale e morale catastrofale, iure hereditatis, nonché patrimoniale per spese funerarie e perdita del contributo materiale familiare.
Il Tribunale accoglieva la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello: in entrambi i gradi di giudizio era stato accertato che:
la struttura si era impegnata, con contratto atipico di spedalità, alla cura sanitaria e salvaguardia della persona, non incidendo, l'eventuale stato d'incapacità d'intendere e volere, sulla sussistenza di tali obblighi, bensi solo sulle relative modalità;
le difformi clausole del regolamento della Casa di riposo non potevano escludere obblighi nascenti dalla conoscenza dello stato fisico dell'assistita, affetta in specie da Alzheimer, tanto più in quanto la permanenza durava da un anno e otto mesi;
ne derivava la prevedibilità di condotte come quella che aveva portato alla scomparsa e poi la morte.
La convenuta soccombente ricorre in Cassazione, deducendo che:
- la Corte appello avrebbe errato mancando di considerare che il Tribunale, condiviso dal Collegio di seconde cure, non aveva specificato se avesse ritenuto sussistente la responsabilità in parola per fatto proprio o del proprio dipendente, che aveva omesso la custodia;
- la Corte di appello avrebbe errato affermando, in tesi, la responsabilità della struttura per fatto proprio, quando, in ipotesi, il fatto poteva addebitarsi solo all'operatrice in quel momento in servizio e addetta, che non aveva compiutamente impedito l'allontanamento dell'assistita.
La Suprema Corte, nel respingere l'impugnazione, evidenzia quanto segue:
a) la Corte distrettuale ha con chiarezza affermato, in coerenza con quanto statuito dal Tribunale, che si è trattato di responsabilità della struttura per fatto proprio, derivante dal perfezionato contratto atipico di spedalità, che doveva ritenersi includere gli obblighi di vigilanza, non ostandovi le inefficaci previsioni regolamentari interne né le dichiarazioni della figlia all'ingresso della madre, indicata come parzialmente autosufficiente e non pericolosa per gli altri, nella casa di riposo, posta la necessaria conoscenza da ritenere emersa in fatto e consolidatasi nella non breve permanenza, dell'assistita, senza che fossero intervenute, all'esito, richieste di modifica del rapporto contrattuale da parte dei gestori del gerocomio;
b) tale responsabilità è stata correttamente ritenuta nei visti termini, dovendo qualificarsi, in iure, la condotta della persona dipendente a mezzo della quale l'ente agisce, ai sensi dell'art. 1228, cod. civ.