Le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) rappresentano un punto di riferimento fondamentale per l’assistenza agli anziani non autosufficienti e a chi convive con malattie neurodegenerative gravi e incurabili (come, ad es., l’Alzheimer, il morbo di Parkinson).
| Giovedi 27 Novembre 2025 |
La gestione di questi pazienti comporta sfide complesse per le strutture e per le famiglie, che richiedono non solo cure cliniche, ma anche attenzione alla dimensione umana.
Proprio per questo le RSA sono spesso al centro del dibattito pubblico, soprattutto in un Paese con una popolazione anziana in costante aumento.
Secondo l’ISTAT, la popolazione residente over 65 anni è pari a circa 14.573.000 persone, pari al 24,7% dell’intera popolazione, di cui circa 4,6 milioni over 80 anni (ANSA,21.5.2025).
Questo trend demografico evidenzia una crescente domanda di servizi sociosanitari integrati, come le RSA, e sottolinea l’urgenza di garantire standard di cura elevati e sostenibili, tutelando sia la qualità clinica sia il benessere psicologico degli ospiti.
Ricevere una diagnosi di morbo di Alzheimer significa affrontare non solo il progressivo deterioramento cognitivo del proprio caro, ma anche un peso economico che può risultare schiacciante. (v commento di R. Cardia in Riv. Brocardi)
Quando la situazione si fa insostenibile e il ricovero in una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) diventa inevitabile, le famiglie si trovano di fronte a rette mensili che possono superare diverse migliaia di euro.
Per decenni, il meccanismo è stato sempre lo stesso: le strutture e le Asl dividevano la retta in due parti distinte.
Una quota, definita "sanitaria", veniva coperta dal Sistema Sanitario Nazionale.
La parte restante, etichettata come "alberghiera" o "socio-assistenziale", finiva invece sulle spalle dei pazienti e dei loro familiari.
Questo sistema ha prosciugato i risparmi di intere generazioni e costretto molti figli a contrarre debiti pur di garantire una adeguata assistenza ai propri genitori malati
In genere i costi delle RSA a carico dei familiari variano in maniera significativa in base alla regione, alla tipologia di struttura e al livello di assistenza richiesto e nel 2025 la media nazionale si attesta tra circa € 2.000 e € 4.000 mensili (fonte: https://ilmiobusinessplan.com).
Solo una parte delle strutture è convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), riducendo la retta a circa € 1.900 - € 2.200, ma il peso economico resta comunque rilevante per le famiglie.
Anche nelle necessità quotidiane, l’Italia mostra un panorama eterogeneo, tra pratiche riprovevoli, standard medi e realtà di eccellenza.
Tra queste, il Friuli Venezia Giulia si distingue per alcune peculiarità dovute allo Statuto Speciale, in particolare per la solida collaborazione tra sanità pubblica e strutture private convenzionate, che garantisce una gestione più integrata ed efficace dei pazienti anziani e fragili.
In questa Regione, che gode di maggiore autonomia nella gestione della sanità e dell’assistenza sociale, le rette e i contributi sono stabiliti da leggi e regolamenti regionali, tenendo conto anche del reddito di ciascun paziente e modulando di conseguenza l’intervento regionale.
Anche in Friuli Venezia Giulia sono presenti le UVM (Unità Valutative Multidisciplinari), che svolgono un ruolo centrale nella valutazione dei bisogni sanitari e socio-assistenziali e nella conseguente assegnazione dei posti nelle strutture, con particolare attenzione alle patologie neurovegetative.
La differenza tra RSA e Case di riposo riguarda il livello di assistenza: le RSA offrono cure sanitarie, infermieristiche e riabilitative a persone non autosufficienti o con patologie complesse, mentre le Case di riposo forniscono assistenza socio-assistenziale di base a persone autosufficienti o parzialmente autosufficienti, garantendo una quotidianità serena.
Le patologie in discussione sono gravi, irreversibili e compromettono le funzioni motorie, cognitive e comportamentali dei pazienti e tra le più comuni vi sono l’Alzheimer e il Parkinson.
Entrambe sono riconosciute ufficialmente dal SSN come malattie croniche invalidanti, ai sensi del D.M. 329/1999, aggiornato dal D.M. 296/2001, e danno diritto a prestazioni sanitarie gratuite o esenti da ticket.
In questo contesto si inserisce una significativa sentenza, n. 503 del 25 settembre 2025, emessa dal Tribunale di Pordenone, destinata a fare giurisprudenza per le medesime situazioni esistenti in altre Regioni (v. sentenza in calce)
Il provvedimento conferma che, anche nelle Regioni a Statuto Speciale come il FVG, non è possibile derogare al principio secondo cui le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, quando non è possibile separare la componente sanitaria da quella assistenziale, devono essere interamente a carico del SSN (fonte: https://studiocataldi.it).
Il caso esaminato dai Giudici Friulani riguardava una donna affetta da Alzheimer e altre patologie croniche, ricoverata in RSA dal 2014 al 2017.
Dopo il suo decesso, il Comune aveva richiesto alla figlia, in qualità di erede e amministratrice di sostegno, il pagamento di circa € 52.421,52 di rette che la figlia ha contestato, sostenendo che le prestazioni fossero prevalentemente sanitarie e quindi a carico del SSN.
In particolare, la figlia si è opposta sostenendo che:
le prestazioni erogate alla madre erano sanitarie e inscindibili da quelle socio-assistenziali;
l’onere economico doveva quindi ricadere interamente sul SSN, e non sui familiari o sul Comune.
Il Tribunale di Pordenone è stato chiamato a decidere:
se le prestazioni rese a una persona affetta da Alzheimer siano prevalentemente sanitarie;
inoltre se fosse legittima la richiesta di pagamento da parte del Comune verso gli eredi;
ed, infine, in quale misura le Regioni a statuto speciale, come il Friuli Venezia Giulia, possano derogare ai principi nazionali in materia di assistenza sanitaria.
Il Tribunale di Pordenone ha rigettato la domanda del Comune, stabilendo che:
- le prestazioni rese a malati di Alzheimer non possono essere scisse tra componente sanitaria e socio-assistenziale;
- l’assistenza erogata in RSA per tali pazienti rientra tra le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria definite dal D.Lgs. 502/1992 art.3 c.2° e dalla L. 833/1978 art. 54 e, pertanto, l’intero costo deve essere posto a carico del SSN.
In conseguenza Il Tribunale ha accolto la domanda riconvenzionale della figlia, disponendo la restituzione delle somme già versate al Comune e riconoscendo la competenza finanziaria dell’Azienda Sanitaria.
Il Giudice si è avvalso di diverse disposizioni legislative e giurisprudenziali, facendo riferimento alla Costituzione (artt. 2,32 e 38), alla Carta Sociale Europea (art. 11) e alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata con L. 18/2009).
L'articolo 30 della legge n. 730 del 1983 stabilisce che quando l'attività sanitaria risulta connessa e prevalente, la competenza spetta interamente al Servizio Sanitario Nazionale.
Questa impostazione è stata poi consolidata dalla giurisprudenza di legittimità: la Cassazione, con la sentenza n. 4558 del 2012, aveva già chiarito che per i malati gravi affetti da Alzheimer non è possibile operare una distinzione tra quote sanitarie e quote assistenziali, poiché l'intera prestazione è finalizzata alla tutela della salute. Le prestazioni in questione rientrano inoltre nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), definiti inizialmente dal DPCM. del 2001 e aggiornati con il D.P.C.M. del 12 gennaio 2017.
I LEA rappresentano prestazioni e servizi che il Sistema Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket.
Come stabilito dall'art 117 della Cost e ribadito dal Consiglio di Stato, si tratta di salvaguardare diritti civili e sociali che non possono essere negati o ridimensionati dalle Regioni o dai Comuni adducendo problemi di bilancio o carenza di risorse.
Il diritto alla salute prevale sui vincoli economici degli Enti Locali preposti alla erogazione delle misure sanitarie.
Le conseguenze pratiche di questa sentenza sono destinate a produrre effetti su tutto il territorio nazionale.
Se la prestazione deve essere integralmente coperta dal Servizio Sanitario Nazionale, ogni contratto, convenzione o delibera che impone al paziente o ai suoi parenti il pagamento di una quota risulta nullo. È come se quei documenti firmati sotto pressione, spesso in momenti di estrema vulnerabilità emotiva, non fossero mai esistiti dal punto di vista giuridico.
La sentenza blocca anche la cosiddetta "azione di rivalsa", una pratica particolarmente odiosa che colpisce molte famiglie.
Accade infatti che il Comune intervenga inizialmente pagando la quota definita "sociale" della retta, per poi avviare procedure di recupero crediti nei confronti dei familiari del malato, anche a distanza di anni.
La decisione citata dal Tribunale di Pordenone è stata chiara su questo punto affermando che tale recupero non ha alcuna legittimità. Se l'intera prestazione ha natura sanitaria, come stabilito per il caso della paziente esaminata dai giudici friulani, nessuna somma può essere pretesa dai parenti.
L'onere economico rimane interamente a carico del Sistema Sanitario Nazionale, come previsto dalla legge n. 833 del 1978 che ha istituito il SSN e come tutelato dalle Convenzioni Internazionali., dalla Carta sociale europea alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Infine, a sostegno della importante decisione, ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Cassazione e, in paticolare
la sentenza n. 4558/2012: le prestazioni rese a soggetti con Alzheimer sono integralmente a carico del SSN se vi è prevalenza sanitaria;
sentenza n. 22776/2016: i Comuni non possono richiedere contributi ai familiari se la prestazione è ad alta integrazione sanitaria;
sentenza n.6496/2021: ribadisce l’inscindibilità tra assistenza sanitaria e sociale in tali casi;
sentenza n. 34590/2023: le prestazioni socio-assistenziali quando sono “inscindibilmente connesse con quelle sanitarie” sono a carico del SSN in regime di gratuità. .
(fonte: https://www.avvocatipersonefamiglia.it)
Il Tribunale ha quindi esteso tali principi anche alla Regione Friuli Venezia Giulia, precisando che lo statuto speciale non consente di derogare ai principi fondamentali in materia di tutela della salute.
Per i pazienti affetti da demenza grave, infatti, non esiste una netta separazione tra assistenza medica e attività quotidiane: ogni gesto, dalla somministrazione dei pasti all'igiene personale, dalla mobilizzazione al supporto nelle funzioni basilari, costituisce parte integrante del percorso terapeutico.
Non si tratta di servizi paragonabili a quelli offerti da una struttura alberghiera a un ospite in salute, ma di prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria in cui l'aspetto medico è inscindibile e prevalente.
Aiutare un malato di Alzheimer a nutrirsi non è un servizio di ristorazione, è una necessità clinica.
Assistere una persona che ha perso l'autonomia nelle funzioni essenziali non è ospitalità, è terapia. Il Tribunale adito ha quindi riconosciuto che in questi casi esiste una totale "inscindibilità" tra le diverse componenti dell'assistenza, rendendo impossibile e illegittima qualsiasi suddivisione economica della retta.
In conclusione la sentenza 503/2025 del Tribunale di Pordenone in commento, segna un innovativo orientamento in materia cancellando l’attuale distinzione artificiosa tra quota sanitaria e quota alberghiera, e ribadendo con chiarezza che le prestazioni socio-sanitarie inscindibili sono interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, così affermando, senza compromessi, la centralità del diritto alla salute, specie per i soggetti fragili e bisognosi di cure e di assistenza.
La decisione del Tribunale di Pordenone rappresenta l'applicazione di un quadro normativo già esistente e vincolante.
Pertanto l’importante pronuncia apre la strada a possibili azioni di rimborso per chi ha già pagato in passato e rappresenta uno scudo per chi si trova oggi a fronteggiare richieste economiche che la legge definisce illegittime.