"Quando una donazione soggetta a collazione sia contemporaneamente lesiva della legittima, la tutela offerta dall’azione di riduzione, vittoriosamente esperita contro il coerede donatario, non assorbe gli effetti della collazione, che opererà in questo caso consentendo al legittimario di concorrere pro quota sul valore della donazione ridotta che eventualmente sopravanzi l’ammontare della porzione indisponibile della massa".
Così si è espressa la Suprema Corte con la sentenza n. 28196, depositata il 10 dicembre 2020.
La vicenda, particolarmente articolata, oggetto della presente decisione, si origina da un procedimento innanzi al Tribunale di Torino intercorso tra la moglie e i tre figli del de cuius, istituiti per testamento nella quota di ¼ ciascuno.
A seguito di una meticolosa ricostruzione della massa ereditaria, in primo grado, veniva dichiarata la lesione della quota di legittima dei germani e la consequenziale riduzione della disposizione testamentaria della moglie, attribuendola ai figli per la rispettiva quota di riduzione, determinata proporzionalmente alla lesione patita da ciascuno. Inoltre, veniva ridotta altra donazione ricevuta dalla coniuge, avente ad oggetto 1/3 del Dossier Gestione Separata, e la donazione fatta a persona estranea al nucleo familiare coinvolto.
Poichè si rinveniva una ulteriore lesione in danno dei tre figli, il Tribunale statuiva la riduzione delle ulteriori donazioni della coerede, disponendo la restituzione di tutti gli importi eccedenti. La Corte d'appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado, aumentando l'ammontare dei beni relitti e rigettando il motivo d'appello dei germani, con il quale avevano evidenziato che le ulteriori donazioni della genitrice erano state conteggiate solo per il calcolo dell'azione di riduzione in quanto il Tribunale aveva mancato di pronunciarsi sull'istanza di collazione degli stessi atti di liberalità.
La Corte rigettava il motivo proposto perchè “in assenza di domanda di collazione in natura, l'iter seguito dal Tribunale costituiva conseguenza della collazione per imputazione”. Non v'era stata, dunque, alcuna omissione di pronuncia.
Due dei tre figli ricorrevano in Cassazione con unico motivo rubricato "violazione e falsa applicazione degli artt. 533 e 737 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4", con ciò eccependo che collazione ed azione di riduzione sono due istituti diversi e possono operare congiuntamente.
La Cassazione ha ritenuto il motivo fondato sottolineando che la Corte d'appello, nella sua decisione, non ha considerato la diversa funzione dei due istituti. La riduzione va ad incidere sulla donazione solo “nei limiti della eccedenza sulla disponibile”; invece, con la collazione, “le donazioni vanno ad accrescere la massa dividenda per intero, salva la diversa modalità dell'incremento secondo che la collazione sia fatta in natura o per imputazione”.
Dalla lettura degli artt., 746 e ss del c.c., si evince che la collazione in natura consiste nel conferimento alla comunione ereditaria dello stesso bene ricevuto in donazione; mentre quella per imputazione si concretizza nella restituzione dell'equivalente in natura del bene donato, considerando il valore che il bene aveva al momento dell'apertura della successione. La differenza è stata ben delineata nell'ordinanza del 12 aprile 2018, n. 9177, con la quale la Cassazione ha rimarcato che “la collazione per imputazione si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo donatario, con la conseguenza che, ove il condividente abbia optato per la prima, la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del donatum, costituendo, in tal modo, ab origine un debito di valuta a carico del donatario, cui si applica il principio nominalistico”.
A parere della Cassazione, la Corte d'Appello non ha considerato la diversa finalità dei due istituti ed in particolare ha tralasciato di considerare che la ratio dell'azione di riduzione consiste nel reintegro della quota di legittima lesa, sacrificando i donatari nei limiti di quanto necessario per reintegrare la legittima stessa, mentre la collazione non ha alcun riguardo alla distinzione tra legittima e disponibile ma nei rapporti indicati dall'articolo 737 c. c., pone il bene donato, in proporzione alla quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi, che siano il coniuge o i discendenti del de cuius.
Anche quando sia fatta per imputazione, la collazione rimane su un piano autonomo e distinto rispetto alla riunione fittizia delle donazioni, prevista dall'articolo 556 c. c. Ambedue lasciano nella disponibilità del patrimonio del donatario i beni donati ma, mentre la prima resta una pura e semplice operazione contabile, la collazione per imputazione comporta un vero e proprio sacrificio per il conferente, “il quale subisce il maggior concorso dei coeredi sui beni relitti”. A conclusione della decisione, la Cassazione ribadisce che l'errore in cui è incorsa la Corte d'Appello è quello di aver negato il concorso fra collazione e riduzione, con ciò coinvolgendo la decisione anche nella parte relativa alla riduzione, già operata dal Tribunale, “che andrà fatta ex novo”.
In accoglimento del ricorso, la Suprema Corte cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Torino, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: "Quando una donazione soggetta a collazione sia contemporaneamente lesiva della legittima, la tutela offerta dall’azione di riduzione, vittoriosamente esperita contro il coerede donatario, non assorbe gli effetti della collazione, che opererà in questo caso consentendo al legittimario di concorrere pro quota sul valore della donazione ridotta che eventualmente sopravanzi l’ammontare della porzione indisponibile della massa".
Cassazione civile sentenza n.28196 2020