Disciplina militare - Procedimento disciplinare e sanzioni disciplinari di corpo

Disciplina militare - Procedimento disciplinare e sanzioni disciplinari di corpo

L’attuale concezione del militare quale professionista reca l’implicita consapevolezza da parte del personale delle Forze armate del proprio ruolo specifico e della capacità di interiorizzare il significato delle norme che regolano l’impiego in relazione alle finalità specifiche dello strumento militare.

Sabato 1 Maggio 2021

In tale ottica la disciplina militare assume valore di principio comportamentale integrato nel rispetto della legge, dei valori democratici e dei principi costituzionali senza dimenticare, tuttavia, che il militare è tenuto al contemporaneo rispetto sia delle norme della società civile che delle norme tipiche enucleate nell’ordinamento militare nella più ampia accezione

L’ art. 1352 del D.lgs 15 marzo 2010, n.66 (C.o.m.) definisce come illecito disciplinare “ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare sanciti dal presente codice, dal regolamento, o conseguenti all'emanazione di un ordine. 2.  La violazione dei doveri indicati nel comma 1 comporta sanzioni disciplinari di stato o sanzioni disciplinari di corpo”. È, con tutta evidenza, una norma assai generale che non tipizza i comportamenti punibili e che, a causa della sua genericità e indeterminatezza, finisce per attribuire ai Comandanti di Corpo ampia discrezionalità nello stabilire in relazione a quali illeciti infliggere le sanzioni.

Ad ogni buon conto, la norma richiama in modo specifico i concetti, ben definiti nelle pieghe dell’ordinamento militare, di “doveri di servizio”, “disciplina militare” e “ordine” della cui piena conoscenza non può prescindere il personale impiegato in un particolare rapporto di lavoro disciplinato da precise regole finalizzate ad assicurare la funzionalità del sistema di difesa dello Stato. La condizione del militare è indubbiamente caratterizzata da una propria specificità riconosciuta “in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonchè per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti” (L. 04 novembre 2010, n.183). Ed è proprio tale specificità, quindi, che assume un ruolo essenziale sia per l’attribuzione di un determinato status sia per il bilanciamento delle limitazioni e degli obblighi imposti al militare.

Elemento caratterizzante la figura del militare è, quindi, la disciplina, definita dal D.Lgs 66/2010 all’art. 1346 come “l'osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate e alle esigenze che ne derivano. Essa è regola fondamentale per i cittadini alle armi in quanto costituisce il principale fattore di coesione e di efficienza.” Lo strumento da cui “discendono il principio di gerarchia e quindi il rapporto di subordinazione e il dovere dell'obbedienza”, necessario al conseguimento e mantenimento della disciplina, è la determinazione delle “posizioni reciproche del superiore e dell'inferiore, le loro funzioni, i loro compiti e le loro responsabilità”.

Appare importante soffermarsi sul 3° comma dell’articolo 1346 “Il militare osserva con senso di responsabilità e consapevole partecipazione tutte le norme attinenti alla disciplina e ai rapporti gerarchici”,  nello specifico sulla locuzione con responsabilità e consapevole partecipazione, poiché indice sintomatico di quella che è stata una progressiva trasformazione della normativa di settore che ha proiettato l’apparato militare, pienamente strutturato sull’obbligo di obbedienza e sulla gerarchizzazione, nel più ampio contesto organizzativo della Pubblica amministrazione. Ciò porta a concludere che l’ ordinamento militare è oggi indubbiamente orientato ai valori costituzionali di democraticità e legalità che trascendono e superano la primitiva impostazione delle Forze armate basate quasi esclusivamente sull'onore, le tradizioni e le consuetudini, pur senza rinunciavi.

L’attuale concezione del militare quale professionista reca l’implicita consapevolezza da parte del personale delle Forze armate del proprio ruolo specifico e della capacità di interiorizzare il significato delle norme che regolano l’impiego in relazione alle finalità specifiche dello strumento militare. In tale ottica la disciplina militare assume valore di principio comportamentale integrato nel rispetto della legge, dei valori democratici e dei principi costituzionali senza dimenticare, tuttavia, che il militare è tenuto al contemporaneo rispetto sia delle norme della società civile che delle norme tipiche enucleate nell’ordinamento militare nella più ampia accezione.

L’art. 1350 del C.o.m., infatti, espressamente prevede che le disposizioni in materia di disciplina militare, si applicano nei confronti dei militari che svolgono attività di servizio; sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; indossano l'uniforme; si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali. Il terzo comma del medesimo articolo stabilisce che anche “quando non ricorrono le suddette condizioni, i militari sono comunque tenuti all'osservanza delle disposizioni del codice e del regolamento che concernono i doveri attinenti al giuramento prestato, al grado, alla tutela del segreto e al dovuto riserbo sulle questioni militari…”.

Posta tale premessa, è importante richiamare il principio di tassatività operante nel campo della disciplina militare in virtù del quale non possono essere inflitte sanzioni diverse da quelle espressamente previste dalla legge. L’elenco dettagliato delle sanzioni disciplinari per il personale militare è contenuto negli artt. 1357 (sanzioni disciplinari di stato) e 1358 (sanzioni disciplinari di corpo) del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66. Laddove l’infrazione leda l’interesse generale dell’Amministrazione militare o della collettività statuale, dovrà comminarsi una sanzione disciplinare di stato, mentre, per l'infrazione che leda l'interesse particolare del "Corpo" dovrà comminarsi una sanzione disciplinare di corpo. Il discrimine si ravvisa, quindi, nell'individuazione dell'interesse pubblico da tutelare. Proprio in ossequio al generale principio di gradualità nell'esercizio della potestà disciplinare, quando viene rilevata l'esistenza di un'infrazione, occorre preliminarmente valutare se essa sia riconducibile nell'ambito della potestà sanzionatoria di corpo, oppure se la sua superiore gravità richieda l'esercizio dell'azione disciplinare di stato, volta ad infliggere sanzioni incidenti sul rapporto di impiego o di servizio e sullo status giuridico del militare. In ogni caso, dell'iter logico giuridico che ha condotto alla decisione punitiva concretamente assunta dove essere fornita ampia e dettagliata motivazione. Ciò detto, ai sensi dell’art. 1371 del codice dell'ordinamento militare, "un medesimo fatto non può essere punito più di una volta con sanzioni di differente specie" quindi, in presenza di differenti provvedimenti disciplinari che traggano origine dalla stessa vicenda l’ulteriore sanzione disciplinare sarebbe illegittima essendosi già consumato il potere disciplinare (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, Sent., 21/03/2019, n. 597). Le sanzioni disciplinari di stato sono la sospensione disciplinare dall'impiego da uno a dodici mesi; la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado da uno a dodici mesi; la cessazione dalla ferma o dalla rafferma per grave mancanza disciplinare o grave inadempienza ai doveri del militare; la perdita del grado per rimozione.

Rimandando la trattazione di tali sanzioni ad altra sede, saranno qui esaminate in modo specifico le procedure per rilevare le infrazioni, il procedimento disciplinare ed i mezzi di impugnazione della sanzione disciplinare in riferimento alle sanzioni disciplinari di corpo: il richiamo; il rimprovero; la consegna e la consegna di rigore.

Il richiamo è un ammonimento con cui sono punite lievi mancanze e omissioni causate da negligenza. Può essere inflitto da qualsiasi superiore anche senza obbligo di rapporto se il superiore che procede al richiamo appartiene alla stessa linea gerarchica di dipendenza del militare. Anche se il richiamo non dà luogo a trascrizione nella documentazione personale dell'interessato, se ne tiene conto, limitatamente al biennio successivo alla sua inflizione, esclusivamente ai fini della recidiva nelle mancanze per le quali può essere inflitta la sanzione del rimprovero.

Il rimprovero è una dichiarazione di biasimo con cui sono punite le lievi trasgressioni alle norme della disciplina e del servizio o la recidiva nelle mancanze per le quali può essere inflitto il richiamo. Le autorità competenti ad infliggere la sanzione del rimprovero, elencate nell’art. 1936 C.o.m. sono: il comandante del corpo o dell'ente presso il quale il militare che subisce la punizione presta servizio; il comandante di reparto; l'ufficiale comandante di distaccamento; il   sottufficiale   comandante di distaccamento avente  le attribuzioni di comandante di reparto. La punizione deve essere comunicata all’interessato con provvedimento scritto e successivamente trascritto nella documentazione personale.

La consegna consiste nella privazione della libera uscita fino al massimo di sette giorni consecutivi (art. 1358, comma 4, C.o.m.). Sono punite con tale sanzione la violazione dei doveri diversi da quelli previsti dall'articolo 751 del regolamento (D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90); la recidiva nelle mancanze già sanzionate con il rimprovero; le più gravi trasgressioni alle norme della disciplina e del servizio. L’esplicito richiamo all’art. 751 del regolamento comporta che non possano essere sanzionati con la consegna “semplice” comportamenti che, anche se ritenuti di modesta gravità, sono ricompresi fra gli illeciti disciplinari elencati nell’art. 751 citato, per i quali è prevista la sanzione della consegna di rigore. La ratio di tale previsione è quella di non privare il militare incolpato, in determinate circostanze, delle maggiori garanzie poste a tutela del diritto di difesa quali l’assistenza di un difensore di fiducia e il parere obbligatorio, seppur non vincolante, di una Commissione, che impone al Comandante di corpo di motivare un eventuale dissenso e quindi una decisione punitiva che si discosti dal parere della Commissione.

La consegna può essere inflitta dal Comandante di corpo e dal comandante di reparto con provvedimento che deve essere comunicato per iscritto all'interessato e trascritto nella documentazione personale. Il provvedimento è esecutivo dal giorno della comunicazione verbale all'interessato. Ai militari di truppa coniugati, i graduati, i sottufficiali e gli ufficiali che usufruiscono di alloggio privato è data autorizzazione a scontare presso tale alloggio la punizione di consegna (art. 1361 C.o.m.)

La consegna di rigore comporta il vincolo di rimanere, fino al massimo di quindici giorni, in apposito spazio dell'ambiente militare - in caserma o a bordo di navi - o nel proprio alloggio sia esso privato o di servizio, secondo modalità stabilite e si applica per le infrazioni specificamente indicate nell'articolo 751 del regolamento nonché i fatti previsti come reato, per i quali il comandante di corpo non ritenga di richiedere il procedimento penale, ai sensi dell'articolo 260 c.p.m.p. e i fatti che hanno determinato un giudizio penale a seguito del quale è stato instaurato un procedimento disciplinare. Il comandante di corpo può far scontare, per particolari ragioni di disciplina, la consegna di rigore in apposito spazio nell'ambiente militare anche al personale provvisto di alloggio privato o di servizio. Per particolari motivi di servizio il superiore che ha inflitto la punizione può disporre che la consegna di rigore venga scontata con le stesse modalità previste per la consegna. La consegna di rigore non ha un contenuto afflittivo omologo alla sanzione penale della reclusione militare (Corte Cost. 406/2000). Come affermato dalla giurisprudenza formatasi sul punto, infatti, “la sanzione della consegna di rigore non ha il ritenuto carattere di limite alla libertà personale, in quanto se è vero che l'art. 1358 ... d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66 ... impone "di rimanere, fino al massimo di quindici giorni, in apposito spazio dell'ambiente militare -in caserma o a bordo di navi- o nel proprio alloggio", è del pari vero che il successivo art. 1362 prevede, per un verso, che i locali destinati ai puniti di consegna di rigore hanno caratteristiche analoghe a quelle degli altri locali della caserma adibiti ad alloggio, escludendo per tali ragioni un'assimilabilità a strutture detentive e, per altro verso, che la disposizione prevede un mero potere di controllo dell'esecuzione della sanzione, senza consentire l'impiego di strumenti di restrizione di qualsiasi genere; inoltre la struttura della sanzione, più che concretare una misura restrittiva della libertà personale, viene a configurarsi come un mero obbligo giuridico, il cui mancato rispetto può eventualmente essere posto solo a fondamento di ulteriori interventi disciplinari dell'Amministrazione” (Cons. St., sez. IV, 29 aprile 2015 n. 2179). Il provvedimento relativo alla consegna di rigore deve essere subito comunicato verbalmente all'interessato e successivamente notificato mediante comunicazione scritta e trascritto nella documentazione personale. Il provvedimento è esecutivo dal giorno della comunicazione.

Il C.o.m. prevede una procedura specifica sia per il rilievo dell’infrazione che per la comminazione della sanzione. Per quanto concerne la procedura da seguire per rilevare l’infrazione, l’art. 1397 del C.o.m. dispone che ogni superiore che rilevi l'infrazione disciplinare, per la quale non è egli stesso competente a infliggere la sanzione, deve far constatare la mancanza al trasgressore, procedere alla sua identificazione e fare rapporto senza ritardo allo scopo di consentire una tempestiva instaurazione del procedimento disciplinare. Il rapporto deve indicare con chiarezza e concisione ogni elemento di fatto obiettivo, utile a configurare esattamente l'infrazione. Il rapporto non deve contenere proposte relative alla specie e all’entità della sanzione. Se l'infrazione indicata nel rapporto è prevista tra i comportamenti punibili con la consegna di rigore il comandante di corpo è obbligato a instaurare il relativo procedimento disciplinare. La contestazione dell’infrazione ha una duplice funzione. In primo luogo, rende consapevole l’interessato dell’instaurazione di un giudizio disciplinare nei suoi riguardi consentendogli di approntare una difesa efficace e produrre, a tal scopo, ogni elemento a propria discolpa nelle varie fasi del procedimento. In secondo luogo, delimita l’oggetto del giudizio di talchè non potranno essere prese in considerazione circostanze diverse da quelle contestate. Sarà, pertanto, illegittima una sanzione comminata con riguardo ad una condotta non contestata e rispetto alla quale il militare non abbia avuto possibilità di esplicare le proprie difese. Qualora emergano nel corso del procedimento fatti nuovi, quindi, l’amministrazione dovrà procedere alla notifica di una nuova contestazione non potendo introdurre tali fatti nel procedimento in corso. La notifica della contestazione è atto idoneo a garantire all’incolpato la partecipazione al procedimento, senza che sia necessario alcun ulteriore avviso, e dalla data di tale notifica decorrono i termini (90 giorni) per la conclusione del procedimento. Successivamente al rilievo dell’infrazione, le sanzioni disciplinari possono essere comminate solo all’esito di un procedimento disciplinare che deve essere instaurato senza ritardo dalla conoscenza dell'infrazione ovvero, nel caso di procedimento disciplinare conseguente ad un procedimento penale, dal rinvio degli atti al comandante di corpo all'esito della valutazione operata dall'autorità competente di non avviare il procedimento disciplinare di stato o al termine dell'inchiesta formale. Appare utile osservare che dalla comunicazione del rapporto alla notifica al trasgressore dell'avvio del procedimento disciplinare non deve trascorrere un lasso di tempo eccessivamente lungo di talchè la giurisprudenza ha affermato che non può ritenersi sufficiente, a giustificare un ritardo nella adozione del provvedimento disciplinare, un periodo di assenza dal servizio del trasgressore, atteso che l'Amministrazione, al fine di garantire all'interessato di esercitare nella maniera più efficace il proprio diritto di difesa, dovrebbe avviare il procedimento disciplinare durante tale periodo di assenza e concluderlo in tempi brevi, differendo l'applicazione della sanzione al termine dell'assenza (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, Sent.,18/09/2018, n. 2092). La ratio sottesa ala necessità di avviare “senza ritardo” il procedimento disciplinare risiede nella duplice necessità di consentire all’amministrazione una adeguata ponderazione del comportamento del militare e, al contempo, di non pregiudicare il diritto di difesa del militare stesso. Il procedimento disciplinare prevede, quindi, lo svolgimento delle seguenti fasi: contestazione degli addebiti; acquisizione delle giustificazioni ed eventuali prove testimoniali; esame e valutazione degli elementi contestati e di quelli addotti a giustificazione; decisione; comunicazione all'interessato. La contestazione degli addebiti, nel caso in cui sia avviato un procedimento finalizzato all'irrogazione di una sanzione disciplinare diversa dalla "consegna di rigore", deve contenere l’indicazione dell’ufficio competente per l’istruttoria e del responsabile del procedimento; la precisa indicazione del fatto storico ritenuto disciplinarmente rilevante e in relazione al quale si procederà all’eventuale inflizione della sanzione e le circostanze di tempo e di luogo in cui si è realizzato; l’indicazione del termine massimo per la conclusione del procedimento (90 giorni decorrenti dalla data di notifica della contestazione degli addebiti); l’avviso relativo alla possibilità di presentare memorie scritte e documenti entro un numero di giorni non inferiore a due terzi della durata massima del procedimento, decorrenti dalla data di notifica della presente comunicazione; l’avviso relativo alla possibilità di prendere visione degli atti del procedimento, con facoltà di estrarre copia della documentazione ritenuta di interesse, e l’indicazione dell’ufficio che detiene i documenti e dei giorni e degli orari in cui è possibile effettuare l’accesso. È importante in questa fase approntare con cura la propria difesa: una memoria difensiva tecnicamente ben strutturata e basata su tutti gli elementi giuridicamente valutabili, può incidere significativamente sull’esito finale del procedimento e sull’entità della sanzione.

Nel caso in cui sia avviato un procedimento finalizzato all’irrogazione della “consegna di rigore”, la contestazione degli addebiti deve contenere anche l’invito a nominare un difensore scelto fra i militari in servizio, anche non appartenenti al Comando/Ente o Forza Armata, con indicazione del grado massimo; l’avviso a comunicare entro un termine compatibile con la durata del procedimento il nominativo del difensore prescelto o la rinuncia ad avvalersi di tale facoltà; l’avviso che in caso di mancata designazione, entro il termine suddetto, sarà nominato un difensore d’ufficio; la composizione della Commissione di disciplina e la data, luogo e ora in cui avrà luogo la seduta della Commissione di Disciplina.

Appare opportuna, a questo punto, una breve considerazione sul diritto di difesa. L'art. 52, terzo comma, della Costituzione, prescrive che l'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica. Il legislatore, proprio alla luce di tale valore costituzionale, ha opportunamente previsto per i procedimenti disciplinari nell’ambito dell’ordinamento militare tutte quelle garanzie necessarie ad assicurare la tutela dei diritti costituenti il patrimonio inviolabile della persona umana. Considerando che dai procedimenti disciplinari possono derivare sanzioni atte a comprimere il godimento di beni di rilievo costituzionale, la garanzia di una difesa effettiva, imparziale e indipendente è fattore di primario rilievo. Ciò detto, la garanzia del diritto di difesa di cui all’art. 24, comma 2, della Costituzione non può essere invocata in un procedimento di natura amministrativa, quale è quello disciplinare. Anche in tale ambito, tuttavia, è possibile individuare un ambito di operatività del principio costituzionale in parola considerando che i procedimenti disciplinari impongono di attuare ogni possibile garanzia di imparzialità e di trasparenza. Da ciò consegue che si impone per l’Amministrazione il più rigoroso rispetto delle garanzie procedurali in riferimento alla contestazione degli addebiti ed anche in merito alla partecipazione dell’interessato al procedimento.

L’art. 1370 C.o.m. prevede che, per tutti i procedimenti disciplinari, ad eccezione di quelli di corpo instaurati per l’applicazione di una sanzione diversa dalla consegna di rigore, il militare inquisito sia assistito da un difensore. La recente riforma dell’art. 1370 apportata con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo 27 dicembre 2019, n. 173 ha introdotto la possibilità per il militare inquisito in un procedimento disciplinari di stato, di farsi assistere, a sue spese, anche da un avvocato del libero foro in aggiunta al difensore già previsto dal codice ed individuato in altro militare. È questa un’ innovazione importante che rafforza le garanzie costituzionali in procedimenti particolarmente incisivi rispetto al futuro lavorativo del militare. Analoga previsione non vige, tuttavia, in relazione ai procedimenti disciplinari di corpo in cui è previsto che il difensore debba essere scelto fra i militari in servizio, escludendo, quindi, la possibilità di nominare un avvocato del libero foro. La giurisprudenza non ha ritenuto tale limitazione violativa del diritto di difesa in ragione della piena possibilità data al militare di partecipare al procedimento fornendo tutti gli elementi ritenuti utili alla valutazione della mancanza addebitata; in ragione della possibilità di scegliere il difensore anche tra militari non appartenenti allo stesso Ente o Forza Armata dell’incolpato. La decisione dell'autorità competente ad erogare la sanzione disciplinare deve essere comunicata verbalmente e senza ritardo all'interessato anche nel caso in cui non si ritenga di adottare alcun provvedimento. Il provvedimento sanzionatorio, salvo che sia stata inflitta la sanzione del richiamo, deve essere comunicato per iscritto al trasgressore e deve contenere la motivazione redatta in forma concisa e chiara. Al fine di evitare irragionevoli abusi e l'elusione delle garanzie di difesa dei militari, è essenziale che la motivazione del provvedimento disciplinare configuri "esattamente l'infrazione commessa indicando la disposizione violata o la negligenza commessa e le circostanze di tempo e di luogo del fatto" (art. 1398 c. 6 D.Lgs. n. 66 del 2010), avendo cura di illustrare la materialità intrinseca dei fatti nel loro essere lesivi della disciplina di stato o di corpo. Il giudizio circa la gravità delle violazioni realizzate dal militare, onde individuare la sanzione da applicare, è comunque il frutto di valutazioni di merito riservate all'Amministrazione, che il giudice non può sindacare se non per profili estrinseci nelle ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. (Cons. Stato, Sez. IV, Sent., 26/02/2019, n. 1344.)

In relazione alla proporzionalità della sanzione inflitta, va richiamato il consolidato orientamento secondo cui è incontestabile l'ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell'Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte della condotta accertata (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452). Cons. Stato, Sez. IV, Sent., (data ud. 19/07/2018) 30/08/2018, n. 5118). È opportuno rilevare, tuttavia, che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, la proporzione fra addebito e sanzione è principio espressivo di civiltà giuridica, comportando la sproporzione della sanzione la violazione del principio di ragionevolezza e di gradualità della sanzione stessa (cfr. Cons. St., sez. IV, 7 gennaio 2011, n. 25) Il T.A.R. Firenze con sent. 108/2020, infatti, in riferimento al principio di proporzionalità, ha chiarito che l'Amministrazione è chiamata "ad operare un bilanciamento di contrapposti interessi e, ciò, mediante l'applicazione di principi di ragionevolezza e proporzionalità e di un giudizio ponderato e coerente con la vita professionale del militare. Un tale giudizio proprio perché ha l'effetto di incidere sul diritto al lavoro e, quindi, su un diritto essenziale e fondamentale del nostro ordinamento, non può limitarsi ad attribuire rilievo ad un determinato comportamento, senza che sussista una complessiva coerenza della motivazione e proporzionalità della decisione assunta".

In assenza di un congruo apparato motivazionale, quindi, il provvedimento può essere utilmente impugnato laddove la ricostruzione procedimentale non consenta di individuare un adeguato supporto nella scelta di irrogare un provvedimento disciplinare di stato, anziché di corpo, o che sia stata adeguatamente presa in considerazione la specifica configurazione dei fatti ai fini di una personalizzazione e graduazione della sanzione. In buona sostanza, il provvedimento con il quale viene irrogata la sanzione disciplinare deve essere motivato riportando in modo puntuale le ragioni a base della scelta punitiva adottata quanto alla sanzione, con particolare riguardo alla proporzione fra fatti ritenuti lesivi degli interessi e dei valori del corpo militare ed il disposto sanzionatorio in concreto adottato, anche in considerazione della pluralità delle scelte possibili sul punto.

L’impugnazione del provvedimento disciplinare può essere effettuata, ai sensi dell’art. 1363, co. 2, C.o.m., con ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica solo dopo che sia stato esperito il ricorso gerarchico o siano trascorsi novanta giorni dalla presentazione dello stesso. La disposizione merita di essere analizzata sia in relazione ad eventuali profili disciplinari legati al mancato esperimento del ricorso gerarchico che dal punto di vista della rilevanza ai fini procedimentali. In relazione al primo profilo, si osserva che il ricorso gerarchico costituisce una facoltà dell'interessato e, in quanto tale, il mancato esercizio di una facoltà non può mai costituire una "violazione di un dovere del servizio". Lo stesso codice dell’ordinamento militare coerentemente prevede che "l'esercizio di un diritto ai sensi del presente codice e del regolamento esclude l'applicabilità di sanzioni disciplinari" (art. 1466). Ciò posto non appare esservi dubbio in merito al fatto che l'attivazione di rimedi a tutela della posizione del singolo militare sia estranea al concetto di "disciplina militare" esplicitato nell’art. 1346 del codice, ed anche alla definizione di “ordine” di cui all’art. 1349 del codice, in quanto l'esperimento del ricorso gerarchico non riguarda il servizio (inteso come attiva esecuzione di mansioni istituzionali) né i compiti di istituto. Non vi sono, quindi, basi normative per annettere natura di illecito disciplinare al mancato previo esperimento di ricorso gerarchico.

Di contro, la disposizione in esame delinea una condizione di proponibilità del giudizio. Sul punto la Corte costituzionale con la sentenza 3 maggio 2012, n. 111, ha evidenziato che, al ricorrere di determinati presupposti, l’introduzione di condizioni di proponibilità o procedibilità siano misure destinate "alla razionalizzazione dell'accesso alla giurisdizione ed alla sua funzionalizzazione, nel settore, ad una tutela di qualità .... a rendere possibile una anticipata e satisfattiva tutela del danneggiato già nella fase stragiudiziale". Nella stessa direzione, in ambito Eurounitario, si è pronunciata anche la Corte giustizia UE, sez. I, 14 giugno 2017, C-75/16. “La mancata proposizione del ricorso gerarchico, quindi, nella speciale materia in esame, configura una ragione ostativa ad una pronuncia di merito che impone, ex art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a., la declaratoria di inammissibilità del ricorso giurisdizionale proposto in via immediata e diretto contro una sanzione militare di corpo” (Cons. Stato, Sez. IV, Sent., (data ud. 25/01/2018) 12/02/2018, n. 880).

Il ricorso gerarchico deve essere presentato all’organo gerarchicamente superiore a quello che ha emesso il provvedimento entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento stesso. Il superiore per il cui tramite viene proposto il ricorso gerarchico deve inoltrarlo sollecitamente senza pareri o commenti all'autorità gerarchica immediatamente superiore a quella che ha inflitto la sanzione di corpo. Contestualmente al ricorso gerarchico, ovvero con successiva istanza da presentarsi con l’osservanza delle citate modalità, l’interessato può chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, ove alleghi la sussistenza di gravi motivi. Avverso il provvedimento che decide il ricorso gerarchico  è possibile proporre ricorso giurisdizionale al Tribunale Amministrativo Regionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 1199/1971, decorso inutilmente il termine di 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso gerarchico senza che l’Organo competente abbia comunicato la propria decisione, lo stesso si intende respinto a tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato diviene esperibile il ricorso all’Autorità giurisdizionale competente, o quello straordinario al Presidente della Repubblica. L’Autorità adita con ricorso gerarchico può, tuttavia, emanare la propria decisione anche dopo lo scadere dei 90 giorni, nel qual caso, ove sia stato già proposto il ricorso giurisdizionale, dovranno essere depositati motivi aggiunti avverso l’eventuale decreto decisorio di rigetto.

Lo stesso art. 1364 C.o.m., al comma 3, prevede che “E' comunque in facoltà del  militare presentare, secondo le modalità stabilite dal presente codice, istanze tendenti a ottenere il riesame di sanzioni disciplinari di corpo.” L’istanza di riesame della sanzione disciplinare può essere presentata alla stessa autorità che ha emesso il provvedimento, in qualunque tempo e per iscritto, se sopravvengono nuove prove tali da far ritenere applicabile una sanzione minore o dichiarare il proscioglimento dall’addebito. Tale istanza non sospende l’esecuzione della sanzione né i termini per la proposizione del ricorso gerarchico. Avverso la decisione sull’istanza di riesame può essere proposto ricorso gerarchico. È onere del militare proponente indicare compiutamente tutte le circostanze di tempo e luogo dell’acquisizione delle nuove prove. I termini di conclusione del procedimento sono fissati in 90 giorni dalla ricezione dell’istanza da parte dell’Autorità competente ai sensi dell’art. 1046, comma 1, lett. h), n. 7, del Regolamento.

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