La Corte di Cassazione con la sentenza n. 10423 del 15.04.2019 chiarisce i termini in cui è risarcibile al paziente il danno nel caso di omesso o inadeguato consenso informato anche se l’intervento è riuscito o comunque è stato effettuato rispettando la c.d. lege artis.
Giovedi 2 Maggio 2019 |
Il diritto a ricevere un adeguato consenso informato sorge per il paziente in virtù degli articoli 2,3, e 13 della Costituzione (art. 32 :“ Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”,) art. 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, art. 13: “La libertà personale è inviolabile”
Il diritto è ribadito anche da diverse norme sovranazionali, tra le quali spiccano l'art. 5 della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall'Italia con L. 28 marzo 2001, n. 145, e l'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 10423/2019 segue correttamente l’insegnamento della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 438 /2008 ha ricostruito il concetto di consenso informato alla luce del dettato costituzionale, differenziando il diritto alla salute da quello alla autodeterminazione, ed affermando la «funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione».
Il giudice delle leggi afferma in modo inequivocabile l’esistenza di un autonomo diritto all’autodeterminazione in ordine alla propria salute, distinto dal diritto alla salute stesso. Alla luce dei principi costituzionali e alla loro interpretazione data dalla Corte Costituzionale, la Cassazione differenzia il caso in cui a seguito del mancato consenso informato vi siano state delle conseguenze lesive della salute del paziente, anche in presenza di una corretta esecuzione della prestazione medica, dal caso in cui l’omesso consenso informato, pur con un esatto adempimento della obbligazione sanitaria, abbia prodotto un danno di natura sia patrimoniale che non patrimoniale conseguente alla sola lesione del diritto alla autodeterminazione. Si legge nella sentenza n. 10423/2019 :“Difatti, "in tema di attività medico-chirurgica, è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all'esecuzione di un intervento chirurgico, ancorchè esso apparisse, "ex ante", necessitato sul piano terapeutico e sia pure risultato, "ex post", integralmente risolutivo della patologia lamentata, integrando comunque tale omissione dell'informazione una privazione della libertà di autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative all'espletamento dell'atto medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun modo compensati dall'esito favorevole dell'intervento" (Cass. Sez. 3, sent. 12 giugno 2015, n. 12205, Rv. 635626-01; più di recente anche Cass. Sez, 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16503, Rv. 644956-01 e Cass. Sez. 3, ord. 15 maggio 2018, n. 11749, Rv. 648644-01)
Da ultimo, questa Corte ha pure affermato che il danno da lesione del diritto all'informazione può essere costituito, "eventualmente, dalla diminuzione che lo stato del paziente subisce a livello fisico per effetto dell'attività demolitoria, che abbia eliminato, sebbene ai fini terapeutici, parti del corpo o la funzionalità di esse: poichè tale diminuzione si sarebbe potuta verificare solo se assentita sulla base dell'informazione dovuta e si è verificata in mancanza di essa, si tratta di conseguenza oggettivamente dannosa, che si deve apprezzare come danno-conseguenza indipendentemente dalla sua utilità rispetto al bene della salute del paziente, che è bene diverso dal diritto di autodeterminarsi rispetto alla propria persona" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 15 maggio 2018, n. 11749, Rv. 648644-01).
E' questa, peraltro, un'affermazione che costituisce l'esito di una lunga elaborazione giurisprudenziale, avendo questa Corte, da tempo, affermato - proprio con specifico riguardo all'attività chirurgica - che il consenso informato del paziente si pone come condizione "essenziale per la liceità dell'atto operatorio" (Cass. Sez. 3, sent. 12 giugno 1982, n. 3604, Rv. 421568-01)”. Pertanto, anche se l’operazione chirurgica è stata correttamente eseguita e non vi è stato alcun inadempimento da parte del sanitario e l’attività sanitaria è stata compiuta seguendo la lege artis, la violazione del diritto alla autodeterminazione, intesa sia come possibilità di non sottoporsi ad un intervento anche “mutilante” come nel caso di specie sia come volontà di non subire le conseguenze dell’intervento rispetto alla vita quotidiana e alla volontà di continuare a vivere allo stesso modo, ad esempio, genera un diritto al risarcimento danni indipendentemente anche dal peggioramento delle condizioni di salute rispetto a prima dell’operazione medica.
Ancora nella sentenza n. 10423/2019 si legge: “La stessa giurisprudenza di questa Corte ha, del resto, sottolineato come tale diritto rappresenti, allo stesso tempo, "una forma di rispetto per la libertà dell'individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi, che si sostanzia non solo nella facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sè e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive" (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 16 ottobre 2007, n. 21748, Rv. 598962-01), restando, nondimeno, inteso che "il dissenso alle cure mediche, per essere valido ed esonerare così il medico dal potere-dovere di intervenire, deve essere espresso, inequivoco ed attuale" (Cass. Sez. 3, sent. 15 settembre 2008, n. 23676, Rv. 604907-01)
In termini sostanzialmente analoghi si è sottolineato che "il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza" (purchè questi si profilino, comunque, "a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso", e siano inoltre "tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona"), ovvero che non "si tratti di trattamento sanitario obbligatorio". Tale consenso "è talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l'intervento "absque pactis" sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale "deficit" di informazione, il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica" (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 28 luglio 2011, n. 16543, Rv. 619495-01)”.
Questa” tipologia di danno risarcibile” derivante dall’omesso consenso informato è ben diverso da quello in cui dalla omissione sia derivato anche un danno alla salute direttamente collegabile alla violazione del diritto alla autodeterminazione. In entrambi i casi si ripete che è del tutto irrilevante il corretto adempimento dell’obbligazione medica.
In conclusione gli Ermellini così scrivono nella citata sentenza: “Si è inoltre chiarito, nella più recente giurisprudenza di questa Corte che differente è il caso in cui il paziente lamenti il mancato riconoscimento di un danno alla salute, riconducibile all'assenza di adeguata informazione all'intervento o trattamento, da quello in cui si dolga direttamente del pregiudizio discendente da detta condotta omissiva, per il sol fatto della lesione del diritto ad autodeterminarsi.
Come è stato, infatti, sottolineato le due prospettive risarcitorie, in ciascuno di tali casi, "rispondono a diversi fondamenti logico-giuridici che si riflettono anche sul piano del riparto degli oneri probatori" (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 21 giugno 2018, n. 16336, non massimata) “ Cass. Civ. n. 10423/2019 . La giurisprudenza di legittimità ha espresso anche un principio di diritto sul riparto dell’onere della prova tra paziente e medico in materia.
La sentenza n. 16336/2018, relativamente al secondo caso da noi esaminato, ha così scritto : “… danno da mancato consenso informato rappresentato dalle, pur incolpevoli, conseguenze lesive per la salute asseritamente discendenti dal trattamento sanitario il paziente che chieda il risarcimento anche del danno da lesione della salute che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum leges artis, ma tuttavia compiuto senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, deve necessariamente allegare, sulla base anche di elementi soltanto presuntivi (Cass. 05/07/2017, n. 16503) - la cui efficienza dimostrativa seguirà una sorta di ideale scala ascendente, a seconda della gravità delle condizioni di salute e della necessarietà dell'operazione - che egli avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato (Cass. 09/02/2010, n. 2847), allegando ancora che, tra il permanere della situazione patologica in atti e le conseguenze dell'intervento medico, avrebbe scelto la prima situazione, ovvero che, debitamente informato, avrebbe vissuto il periodo successivo all'intervento con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e le eventuali sofferenze): predisposizione la cui mancanza andrebbe realisticamente e verosimilmente imputata proprio (e solo) all'assenza di informazione. In questa prospettiva (danno alla salute) il giudice deve dunque interrogarsi se il corretto adempimento, da parte del medico, dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l'effetto della non esecuzione dell'intervento chirurgico - dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato - ovvero avrebbe consentito al paziente la necessaria preparazione e la necessaria predisposizione ad affrontare il periodo post-operatorio nella piena e necessaria consapevolezza del suo dipanarsi nel tempo. Infatti, se il paziente avesse comunque e consapevolmente acconsentito all'intervento, dichiarandosi disposto a subirlo quali che ne fossero gli esiti e le conseguenze, anche all'esito di una incompleta informazione nei termini poc'anzi indicati, sarebbe insussistente il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e la lesione della salute, proprio perchè il paziente avrebbe, in ogni caso, consapevolmente subito quella incolpevole lesione, all'esito di un intervento eseguito secondo le leges artis da parte del sanitario. Ciò si riflette sul riparto degli oneri probatori gravanti sulle parti, occorrendo al riguardo ribadire che: da un lato, il consenso del paziente all'atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un'adeguata informazione, anch'essa esplicita (presuntiva, per contro, può essere la prova che un consenso informato sia stato prestato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sul medico (Cass. 27/11/2012, n. 20984)); dall'altro, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell'arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un'adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute "solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute" Cass. n. 21-06-2018, n. 16336.
La stessa sentenza riguardo al nostro primo caso scrive: “ Occorre però a questo punto precisare che l'allegazione e prova, da parte del paziente, del rifiuto del trattamento ove ne fosse stata data corretta informazione, non sono invece necessarie in relazione ai danni derivanti dalla diversa lesione del diritto all'autodeterminazione in sè e per sè considerato comunque discendente dall'inadempimento del relativo obbligo da parte del medico e/o della struttura sanitaria. Tale diritto, distinto da quello alla salute, rappresenta, secondo l'insegnamento della stessa Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008), una doverosa e inalienabile forma di rispetto per la libertà dell'individuo, nonchè uno strumento relazionale volto al perseguimento e alla tutela del suo interesse ad una compiuta informazione, che si sostanzia nella indicazione:- delle prevedibili conseguenze del trattamento sanitario;- del possibile verificarsi di un aggravamento delle condizioni di salute;- dell'eventuale impegnatività, in termini di sofferenze, del percorso riabilitiativo post-operatorio. Ciò è a dirsi nell'ottica della legittima pretesa, per il paziente, di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le stesse conseguenze dell'intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sè e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua essenza, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive (Cass. 16/10/2007, n. 21748; Cass. 15/09/2008, n. 23676, in tema di trasfusioni salvavita eseguite al testimone di Geova).Ad una corretta e compiuta informazione consegue, difatti: - la facoltà, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico; - la possibilità di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari; - la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post-operatorie; - la facoltà di rifiutare l'intervento o la terapia o di decidere consapevolmente di interromperla.Viene innanzitutto in rilievo il caso in cui, alla prestazione terapeutica, conseguano pregiudizi che il paziente avrebbe alternativamente preferito non sopportare nell'ambito di scelte che, come sopra si è già rimarcato, solo a lui è dato di compiere.In secondo luogo, viene in rilievo la considerazione del turbamento e della sofferenza che derivi al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perchè non prospettate e, anche per questo, più difficilmente accettate”. Come si vede è notevole la differenza ontologica e probatoria tra la richiesta di risarcimento danni conseguente ad un inesatto inadempimento dell’obbligazione sanitaria rispetto a quella derivante dalla violazione del diritto alla autodeterminazione.
Il Tribunale di Napoli, in una recente sentenza, la n. 8156 del 24.09.2018, ha fatto corretta applicazione dei principi sin qui enunciati, dapprima escludendo la responsabilità medica perché non vi era stata alcun inadempimento dei sanitari essendo stata correttamente eseguita la prestazione richiesta in tal caso, per poi accogliere la domanda di risarcimento danni per la violazione del diritto alla autodeterminazione anche se non vi era stato un danno alla salute ricollegabile causalmente all’omesso consenso informato; ed in particolare la pronunzia è anche molto interessante perché procede ad un liquidazione secondo equità dopo che l’attore aveva soddisfatto gli oneri allegativi e probatori e così scrive: “…Ciò nonostante, è escluso che l'assenza del consenso informato possa determinare il risarcimento del danno alla salute laddove, come nella specie, gli interventi sanitari sono stati correttamente eseguiti.Infatti, può essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute per la verificazione ditali conseguenze, salvo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze) (cfr. Cassazione civile, sez. III, 31/01/2018, n. 23,69).Tale prova non è stata fornita dall'attrice…… Tuttavia, giova ricordare che il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (cfr. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438), e quindi alla libero e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest'ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32 Cost., comma 2).
Dalla lesione del diritto fondamentale all'autodeterminazione determinata dalla violazione, da parte del sanitario, dell'obbligo di acquisire il consenso informato deriva, secondo il principio dell'id quod plerumque accidit" un danno-conseguenza autonomamente risarcibile - costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di sé stesso psichicamente e fisicamente - che non necessita di una specifica prova, salva la possibilità di contestazione della controparte e di allegazione e prova, da porte del paziente, di fatti a sé ancora più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori (Cassazione civile, sez. III, 15/05/2018, n. 11749), Attesa la sussistenza del fatto generatore della responsabilità del sanitario, e rilevato che non necessita di specifico prova la lesione del diritto alla autodeterminazione leso dalla omessa informazione, la domanda va accolta esclusivamente sotto tale profilo, non vantando l'attrice diritto alla restituzione dei compensi erogati per prestazioni che sono state correttamente eseguite. In ordine alla quantificazione del danno, procedendo ad una liquidazione ispirata ad equità, questo Tribunale ritiene che l'attrice abbia diritto ad ottenere a ristoro del pregiudizio patito l'importo di E 2500,00 con riferimento a ciascun intervento”.
Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Sentenza|15 aprile 2019| n. 10423