La Quarta Sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 6577/2023 fa chiarezza in merito alla configurabilità del reato di furto aggravato allorchè una dipendente si impossessi di denaro della società utilizzando la password di accesso all'home-banking.
Martedi 14 Marzo 2023 |
Il caso: Il G.i.p. del Tribunale di Torino applicava, ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., a Tizia imputata di piu' episodi di furto consumato aggravato (capi nn. 1 e 2), di accesso abusivo ad un sistema informatico (capo n. 3) e di indebito utilizzo di strumenti di pagamento diversi dai contanti (capo n. 4), fatti commessi tra il 2016 ed il 2019, ritenuti tutti in continuazione, la pena concordata tra l'imputata ed il Pubblico Ministero.
Tizia ricorre in Cassazione, deducendo la nullita' della sentenza per erronea qualificazione giuridica dei fatti contestati al capo n. 2) dell'imputazione nella violazione dell'articolo 624 c.p., aggravato ex articolo 61, num. 11, c.p., anziche' come, si ritiene, piu' corretto - nella violazione dell'articolo 646 c.p.
Per la Corte il ricorso è manifestamente infondato: sul punto richiama i seguenti principi:
a) risponde del reato di furto aggravato, e non di appropriazione indebita, la dipendente di una societa', incaricata di provvedere ai pagamenti in nome della stessa, che si impossessi di somme di denaro sottraendole dal conto corrente aziendale;
b) è da ritenersi immune da censure la sentenza che ha escluso che l'imputata avesse la disponibilita' del denaro sottratto solo perche' disponeva della "password" per operare sul conto corrente della societa', rilevando che la facolta' dell'imputata di effettuare pagamenti non le conferiva una signoria autonoma sui conti correnti, trattandosi di facolta' vincolata alle istruzioni e alle direttive impartitele dai vertici societari, e che la provvista depositata sui conti correnti era sempre rimasta nella piena disponibilita' dell'ente titolare.