Differenze tra l’assegno ordinario d’invalidita’ e l’assegno d’invalidita’ civile.

Differenze tra l’assegno ordinario d’invalidita’ e l’assegno d’invalidita’ civile.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 11709 del 03 maggio 2019 ha chiarito la nozione di “capacità di lavoro che deve essere ridotta a meno di un terzo in occupazione confacenti alle attitudini dell’assicurato”

Mercoledi 15 Maggio 2019

L’art. 1 della 222/84 disciplina l’assegno ordinario d’invalidità civile; il comma 1 di tale articolo individua il requisito medico –legale per ottenere l’erogazione della prestazione economica da parte dell’Inps ( “Si considera invalido, ai fini del conseguimento del diritto ad assegno nell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ed autonomi gestita dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, l'assicurato la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale a meno di un terzo” art. 1 comma 1 legge 222/1984).

La Suprema Corte a pag. 2 della citata sentenza scrive: “ Questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, ai fini del riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità, la sussistenza del requisito posto dall’art. 1 della legge 12 giugno 1984, n. 222, concernente la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro nell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, deve essere verificata in riferimento non solo alle attività lavorative sostanzialmente identiche a quelle precedentemente svolte dall’assicurato ( e nel corso delle quali si è manifestato il quadro patologico invalidante), ma anche a tutte quelle occupazioni che, pur diverse, non presentano una rilevante divaricazione rispetto al lavoro precedente, in quanto costituiscono una naturale estrinsecazione delle attitudini dell’assicurato medesimo, tenuto conto di età, sesso, formazione professionale e di ogni altra circostanza emergente nella concreta fattispecie, che faccia ragionevolmente presumere l’adattabilità professionale al nuovo lavoro, senza esporre l’assicurato ad ulteriore danno per la salute (v. fra le tante Cass n. 10424 del 2015; Cass. n. 5964 del 2011)….la nuova nozione di invalidità pensionabile è ancorata non alla generica riduzione della pura e semplice capacità di lavoro quale dato meramente biologico, sibbene alla riduzione di tale specifica capacità in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato, sempre che non si tratti di lavori usuranti che affrettino ed accentuino il logoramento dell’organismo per essere sproporzionati alla residua efficienza psicofisica”.

La Cassazione, pertanto, richiede una indagine più accurata per determinare se quelle patologie di cui è affetto il richiedente hanno ridotto a meno di un terzo le capacità di lavoro in quanto ritiene che l’indagine non si possa fermare alla capacità generica, né alla sola precedente attività lavorativa svolta dall’assicurato, ma il giudizio medico – legale deve parametrarsi anche alle altre occupazioni che in considerazione del grado culturale ed esperienze lavorative, ad esempio, sarebbe in grado di svolgere l’assicurato.

Una posizione sicuramente meno favorevole all’assicurato e che impone alle parti un ulteriore preciso onere di allegazione e al ctu medico – legale, eventualmente nominato dal Giudice del Lavoro nel corso del processo previdenziale, un giudizio più accurato ed approfondito.

L’erogazione dell’assegno ordinario d’invalidità è subordinata, però, anche ad un ulteriore requisito economico – sociale: l’assicurato deve essere in possesso di almeno 260 contributi settimanali (cinque anni di contribuzione e assicurazione) di cui 156 (tre anni di contribuzione e assicurazione) nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda. Inoltre tale contributo economico da parte dell’Inps viene erogato ai lavoratori dipendenti del settore privato e non a quelli del settore pubblico che possono richiedere una diversa prestazione a loro dedicata, a lavoratori autonomi come artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni  e mezzadri in possesso del requisito contributivo indicato e agli iscritti ad alcuni fondi pensioni sostitutivi ed integrativi dell’assicurazione generale obbligatoria.

L’assegno ordinario d’invalidità civile ha, inoltre, una durata limitata in quanto è erogato per 3 anni; pertanto allo scadere del triennio deve essere richiesta, a cura dell’assicurato che deve riproporre la domanda, la conferma e solo allorquando viene riconosciuto per tre volte diventa definitivo. Non è incompatibile con l’attività lavorativa, e al compimento dell’età pensionabile e in presenza di tutti i requisiti viene trasformato d’ufficio in pensione di vecchiaia.

Il trattamento economico non è reversibile agli eredi dell’assicurato.

L’assegno ordinario d’invalidità civile non va assolutamente confuso con l’assegno d’invalidità civile o altresì denominato assegno mensile d’assistenza civile perché completamente diversi sono i possibili titolari delle due prestazioni, tra l’altro incompatibili tra loro, e differenti sono i requisiti per ottenerne l’erogazione.

La norma di riferimento per la concessione dell’assegno mensile d’assistenza è l’art. 13 della legge 118/71 che ne dà una precisa definizione: "Si considerano mutilati e invalidi civili i cittadini affetti da minorazione congenita e/o acquisita (comprendenti) gli esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportano un danno funzionale permanente, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo, o se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell'età."

L'invalidità è "civile" quando non deriva da cause di servizio, di guerra, di lavoro. L’art. 13 della legge 118/71 per il requisito medico legale prevedeva un giudizio non in termini di percentuale che, invece, successivamente il Decreto Legislativo 23 novembre 1988, n. 509 (art. 9) ha introdotto e ha  elevato anche la percentuale di invalidità minima al 74% per l’ottenimento. L'innalzamento tuttavia è decorso dall'entrata in vigore delle tabelle percentuali di invalidità (Decreto Ministeriale 5 febbraio 1992).

Il requisito medico – legale si riferisce, quindi, ad una riduzione della capacità generica di lavoro che viene determinata facendo uso delle Tabelle Ministeriali che prevedono per ogni patologia una percentuale d’invalidità, graduando, a secondo della gravità della malattia, anche la patologia in lieve, media e grave. E’ necessario, infatti, per ogni patologia di cui è affetto il richiedente sussumerla nell’apposito codice previsto dalla tabella per evitare qualsivoglia giudizio arbitrario e/o errato ( “Nella sentenza in esame, oltre a non essere state espressamente indicate, non si riscontrano affermazioni in contrasto con le norme di legge citate: il Tribunale ha fatto espressa e corretta applicazione delle tabelle ministeriali, escludendo che la malattia di cui è affetta la ricorrente  - in ragione del follow up negativo e delle buone risultanze delle indagini diagnostiche e strumentali a distanza di cinque anni  dall’intervento – possa rientrare nel codice 9325, che si riferisce alle neoplasie a prognosi infausta o probabilmente sfavorevole per le quali è prevista una un’invalidità fissa del 100%” Cass. Ordinanza numero 12429 del 09.05.2019).

Risulta, quindi, del tutto evidente per quanto sin qui detto la diversità tra le due misure assistenziali per quanto riguarda il requisito medico – legale; per l’assegno ordinario deve farsi riferimento alla capacità di lavoro così come specificata dalla giurisprudenza richiamata della Cassazione e in una misura di riduzione ad un terzo; per l’assegno mensile di assistenza si deve fare riferimento ad una capacità generica e ad una quantificazione in termini di riduzione di almeno 74%.

Anche il requisito socio – economico è notevolmente diverso; ad uno come si è visto è richiesto il requisito contributivo, all’altro è richiesto lo stato d’inoccupazione ed un limite di reddito previsto dalla legge. L’assegno mensile di assistenza può essere richiesto da soggetti con un’età compresa fra i 18 e i 65 anni di età (la Riforma Fornero ha innalzato tale ultimo dato anno per anno: ad esempio dal gennaio 2016, 65 anni e 7 mesi); essere cittadino italiano o UE residente in Italia, o essere cittadino extracomunicario in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; avere il riconoscimento di un'invalidità dal 74% al 99%; disporre di un reddito annuo personale non superiore a limiti annualmente stabiliti; non svolgere attività lavorativa.

Al compimento del sessantacinquesimo anno di età, la pensione viene trasformata in assegno sociale.

Allegato:

Cassazione civile sentenza n.11709/2019

 

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