Al momento della morte di una persona si ha la c.d. delazione (chiamata all’eredità) che è l’offerta dell’eredità nei confronti di coloro i quali hanno diritto di accettarla. Essa non è sufficiente per fare acquistare ai chiamati la qualità di eredi. Infatti, come disposto dall’art. 495 del Codice Civile, l’eredità deve essere accettata e gli effetti dell’accettazione retroagiscono al momento dell’apertura della successione.
Giovedi 17 Febbraio 2022 |
ll diritto dei chiamati di accettare l’eredità si prescrive nel termine di dieci anni decorrenti dalla data dell’apertura della successione.
Nel caso in cui in tale periodo per il recupero del credito vantato nei confronti di un soggetto defunto, il creditore agisce in giudizio nei confronti dei pretesi eredi, su chi incombe l’onere di fornire la prova circa l’assunzione della qualità di eredi da parte dei convenuti?
Sulla questione segnaliamo un importante e recente decisione del Tribunale di Forlì (sentenza n. 32 del 13 gennaio 2022).
IL CASO: Una ditta individuale stipulava con una banca un contratto di mutuo chirografario e un contratto di conto corrente.
Per le obbligazioni assunte dalla ditta con i suddetti contratti veniva rilasciata all’istituto bancario una fideiussione omnibus da parte di un terzo soggetto, persona fisica.
Nelle more quest’ultimo decedeva e la banca, stante l’ingente morosità accumulata, richiedeva ed otteneva dal Tribunale un decreto ingiuntivo sia nei confronti della debitrice principale sia nei confronti della moglie e del figlio del garante.
Contro il decreto ingiuntivo quest’ultimo proponeva opposizione, eccependo la propria carenza di legittimazione passiva. L’opponente sosteneva di non aver mai acquisito la qualità di erede del padre defunto che aveva istituito quale unica erede la propria moglie.
A fondamento dell’opposizione, l’opponente produceva un testamento pubblico sottoscritto dal padre e la conseguente dichiarazione di successione.
La banca si difendeva ritenendo corretto il decreto ingiuntivo opposto in quanto l’opponente essendo un “legittimario” o “erede necessario” pretermesso con il testamento avrebbe potuto procedere con l’impugnazione di tale documento attraverso l’azione di riduzione.
LA DECISIONE: Il Tribunale ha accolto l’opposizione con conseguente revoca del decreto ingiuntivo relativamente all’opponente richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale "la delazione, che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c."(Cass. Civ. sent. n. 10525/10, n. 6479/02 e n. 3696/03);
È onere di chi vuol far valere una pretesa in quanto tale, come ad esempio per i debiti del de cuius, fornire la prova dell'acquisto dell'eredità da parte del soggetto nei confronti del quale agisce, tenuto conto del fatto che la semplice chiamata non costituisce alcuna presunzione in tal senso. Nel caso esaminato, ha concluso il giudice forlivese, nessuna prova idonea in tal senso era stata fornita dalla banca creditrice.
Poiché è abbastanza arduo fornire la prova dell’acquisto della qualità di erede da parte del chiamato, in questi casi, al fine di rendere più agevole l’azione di recupero del credito, sarebbe opportuno che il creditore procedesse con la c.d. actio interrogatoria (art. 481 cod. civ.), che consiste nella richiesta al Giudice di fissare un termine entro il quale il chiamato all’eredità deve dichiarare se intende accettare l’eredità. Una volta trascorso il termine fissato l’eredità si intende rinunciata.