La decadenza dalla potestà di riscossione della contribuzione previdenziale

Brevi note a margine di Cass. 24134/2021.
Avv. Marcello Giglio.
La decadenza dalla potestà di riscossione della contribuzione previdenziale

La recente pronuncia 24134/2021, emessa dalla Suprema Corte nella forma dell’ordinanza, offre lo spunto per tentare nuovamente di affrontare la dibattuta questione della decadenza degli enti previdenziali dalla potestà di riscossione della contribuzione.

Venerdi 31 Dicembre 2021

Sulla base di una motivazione quanto mai succinta, il Giudice di legittimità dà applicazione al principio secondo cui, nel caso di opposizione avverso cartella esattoriale, l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo non è di ostacolo all’accertamento del credito vantato dall’ente previdenziale, allo stesso modo in cui si procederebbe in un’opposizione a decreto ingiuntivo.

I. Il caso: un commerciante riceveva la notifica di un avviso di addebito con cui gli veniva intimato il versamento dei contributi dovuti per l’anno 2008; opponeva l’avviso, deducendo la decadenza dell’ente previdenziale dalla potestà impositiva ex art. 25 D. Lgs. 46/1999, in quanto egli risultava essere stato iscritto nella gestione commercianti nell’anno 2011, mentre l’iscrizione del credito nei ruoli aveva avuto luogo solo nel 2016, ben oltre l’anno successivo.

Nei gradi di merito, l’opposizione veniva accolta ed il suo debito contributivo veniva dichiarato insussistente; l’Inps proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 25, comma primo, del D. Lgs. 46/1999, da interpretare alla luce dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudice dell’opposizione sarebbe sempre tenuto a valutare la fondatezza della pretesa creditoria dell'Istituto, a prescindere dal termine di iscrizione a ruolo del credito portato nell'avviso di addebito opposto.

La Suprema Corte accoglie il ricorso, cassando la sentenza appellata e rinviando al giudice di merito.

La motivazione si esaurisce nell’applicazione di un principio di diritto, enunciato attraverso la trascrizione della seguente massima: “In tema di riscossione di contributi e di premi assicurativi, il giudice dell'opposizione alla cartella esattoriale che ritenga illegittima l'iscrizione a ruolo non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento dell'istituto previdenziale, valendo gli stessi princìpi che governano l'opposizione a decreto ingiuntivo" (Così, da ultimo, Cass. n. 17858 del 2018)”.

II. L’analisi della motivazione merita talune riflessioni in ordine a ciò che vi è enunciato ed a quello che invece non lo è.

L’irrilevanza assoluta dell’illegittimità dell’iscrizione a ruolo, che non esime il giudice dal valutare la fondatezza o meno della pretesa formulata attraverso la cartella di pagamento o l’avviso di addebito (che, come noto, dal primo gennaio 2011 ha sostituito per l’Inps la cartella e viene emesso, con la forza del titolo esecutivo, dallo stesso ente previdenziale) viene dalla Corte affermata attraverso il richiamo ad un proprio precedente dell’anno 2018, relativo ad un caso in cui il debito contributivo era maturato nel 2004.

In primis si noti che si fa riferimento all’illegittimità dell’atto impositivo in generale, senza specificarne la causa: quindi, il Supremo Collegio vi include implicitamente anche la decadenza ex art. 25 D. Lgs. 46/1999 (Termini di decadenza per l'iscrizione a ruolo dei crediti degli enti pubblici previdenziali), il cui testo recita: 1. I contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali sono iscritti in ruoli resi esecutivi, a pena di decadenza:

a) per i contributi o premi non versati dal debitore, entro il 31 dicembre dell'anno successivo al termine fissato per il versamento; in caso di denuncia o comunicazione tardiva o di riconoscimento del debito, tale termine decorre dalla data di conoscenza, da parte dell'ente;

b) per i contributi o premi dovuti in forza di accertamenti effettuati dagli uffici, entro il 31 dicembre dell'anno successivo alla data di notifica del provvedimento ovvero, per quelli sottoposti a gravame giudiziario, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui il provvedimento è divenuto definitivo.

Tale raggruppamento delle varie cause di illegittimità, quasi fossero tutte uguali, desta le prime serie perplessità, sembrando non agevolmente sostenibile che un vizio meramente formale (quale potrebbe essere ad esempio l’erronea indicazione di un dato relativo ai presupposti dell’obbligo contributivo, errore superabile aliunde e non ostativo all’esatta ricostruzione della posizione del debitore, a maggior ragione in un giudizio in cui le parti godono delle più ampie facoltà di difesa) sia accomunabile, quoad effectum, alla decadenza che, secondo la sua disciplina generale ricavabile dalle norme del codice civile, produce un effetto preclusivo all’esercizio del diritto.

Per quanto attiene alla distinzione tra cartella di pagamento ed avviso di addebito, viene da notare che essa potrebbe apparire solo terminologica, atteso che la stessa norma con cui il legislatore ha disposto la sostituzione della cartella con l’avviso chiarisce che i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento, si intendono effettuati, ai fini del recupero delle somme dovute a qualunque titolo all'INPS, al titolo esecutivo emesso dallo stesso Istituto, costituito dall'avviso di addebito contenente l'intimazione ad adempiere l'obbligo di pagamento delle medesime somme (art. 30, comma 14°, del D. L. 78/2010, convertito nella L. 122/2010).

L’evoluzione legislativa nel tempo assume però rilievo sotto un altro profilo: l’efficacia dell’art. 25, D. Lgs. 46/1999, e la decorrenza iniziale della sua applicabilità.

Più precisamente, i contributi previdenziali maturati sui redditi prodotti e percepiti nell’anno 2004 erano soggetti sì a decadenza, ma il legislatore ne aveva sospeso l’applicazione per il triennio 2010-2012.

Giova premettere che, in origine, l’applicazione dell’art. 25 era stata prevista a partire dall’1.7.1999, data di entrata in vigore del decreto legislativo 46/1999, e quindi riguardava i contributi e premi non versati e gli accertamenti notificati successivamente alla detta data.

Tuttavia, con l’art. 38, comma dodicesimo, dello stesso D. L. 31 maggio 2010, n. 78, citato, di detta entrata in vigore è stata disposta la sospensione, prevedendosi che, limitatamente al periodo compreso tra 1'1/1/2010 e il 31/12/2012, l’art. 25 del D. Lgs. 46/1999 non trovasse applicazione ai mancati versamenti ed agli accertamenti notificati successivamente alla data del primo gennaio 2004.

Chiaro il disposto normativo, ed altrettanto chiara risulta la proroga dell’entrata in vigore della norma decadenziale in precedenza dettata con:

- l’art. 78, comma ventiquattresimo, della L. 23.12.2000, n. 388, con cui era stato modificato il citato sesto comma dell’art. 36, prevedendosi che i mancati versamenti e gli accertamenti notificati da prendere a riferimento fossero quelli successivi al primo gennaio 2001;

- quest’ultima data era stata sostituita con quella del primo gennaio 2003 per effetto dell’art. 38, comma ottavo, della L. 27 dicembre 2002, n. 289;

- ulteriore proroga era stata disposta con l’art. 4, comma venticinquesimo, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, ai sensi del quale la data di inizio applicazione è diventata quella del primo gennaio 2004.

Con detti ultimi interventi, il legislatore aveva semplicemente prorogato, spostandola in avanti nel tempo, l’entrata in vigore della norma introduttiva della decadenza dalla potestà di riscossione dei contributi previdenziali, cancellandola per gli anni precedenti al 2004.

La sospensione di cui all’art. 38, comma dodicesimo, dello stesso D. L. 31 maggio 2010, n. 78, sopra citato, ha invece implicato che la decadenza di cui all’art. 25 non ha potuto trovare applicazione nell’arco temporale compreso tra il 2 gennaio 2010 ed il 31 dicembre 2012, per tutti i crediti accertati dopo il 1° gennaio 2004; pertanto, come chiarito anche nella Circolare 108/2010, l’Inps in detto triennio poteva ancora iscrivere a ruolo, senza incorrere in decadenza, i contributi non versati e maturati e relativi agli accertamenti notificati successivamente al primo gennaio 2004, divenuta la data iniziale dell’applicazione dell’istituto decadenziale nell’ambito della contribuzione previdenziale; in relazione agli anni precedenti al 2004, si è visto esserne stata disposta, sic et simpliciter, la non vigenza.

Pertanto, nel caso deciso con l’ordinanza 24134/2021 qui annotata, essendo stati i contributi richiesti in relazione al reddito prodotto nell’anno 2008, deve ritenersi che l’Inps avrebbe dovuto procedere all’iscrizione del credito nei ruoli entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello della scadenza del termine di versamento dei contributi stessi (da collocare, in coincidenza con il corrispondente termine relativo alle imposte sui redditi, nell’anno 2009), quindi entro il 31 dicembre 2010: tuttavia, per effetto della norma introduttiva, per il triennio 2010-2012, della sospensione della decadenza, il termine di questo veniva a scadenza il 31.12.2012.

In realtà, la vicenda era stata ricostruita dal giudice di secondo grado in termini parzialmente differenti, ma la Corte non ha affatto disquisito sui profili relativi all’applicabilità nel tempo dell’art. 25 D. Lgs. in funzione di proroghe o sospensione, sancendo al contrario la non rilevanza della decadenza.

Su tali profili, sia in questa sede consentito rilevare come l’intervento sospensivo sopra detto, avvenuto con norma emanata il 31 maggio 2010, abbia avuto effetto retroattivo; tale effetto, però, è stato ritenuto non lesivo di alcun valore preminente, neppure di quello alla parità delle parti nel processo di cui all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (pur facilmente ipotizzabile, visto il favore per la parte pubblica), escludendosi nello stesso tempo la violazione degli artt. 23, 24, 111 e 117 della Costituzione.

A tale conclusione si è pervenuti facendo base sul ritenuto carattere processuale, e non sostanziale, della decadenza in parola, sì che l’effetto preclusivo che da essa si produce sarebbe limitato alla riscossione a mezzo ruoli, mentre per l’ente previdenziale rimarrebbe intatto il potere di agire in giudizio per l’accertamento del credito contributivo ed ottenere un titolo per l’esecuzione (in questo senso, in relazione ad azioni di recupero dei contributi maturati nell’anno 2007, Cass. 1558/2020).

Si aggiunga l’ulteriore considerazione che l’insieme degli interventi legislativi di cui si è riferito ha comportato la cancellazione di fatto della decadenza ex art. 25 D. Lgs. 46/1999, e ciò in assoluto per gli dal 1999 al 2003, mentre per gli anni dal 2004 in poi vi è stato, come già visto, il prolungamento di ben tre anni (cioè, nel periodo compreso tra il 2010 ed il 2012) della potestà di accertamento e riscossione.

Non si può negare che i ripetuti interventi di salvataggio dalla decadenza dell’azione di recupero dei contributi previdenziali relativi a tutte le annualità maturate a decorrere dalla introduzione della decadenza, avvenuta nel 1999, abbiano assunto la forma corretta: quella di atti aventi tutti forza di legge.

Ma non ci si può esimere dal dubitare della conformità a Costituzione, ed in particolare all’art. 24 di essa, e ciò alla luce della funzione di certezza dei rapporti giuridici e di tutela del contribuente, che la decadenza - con il suo effetto preclusivo all’esercizio del diritto o, come in subiecta materia, della potestà impositiva - è chiamata a svolgere.

La Corte Costituzionale, con la nota sentenza 280/2005, ha accolto la q. l. c. di una norma che, emanata per disciplinare il procedimento di accertamento e riscossione di imposte dirette sulla base del semplice controllo formale delle dichiarazioni, per il quale non era di fatto previsto alcun limite temporale, si poneva in insanabile contrasto con l’intangibilità del diritto di difesa ex art. 24 Cost.; in sostanza, è stato affermato non essere conforme a Costituzione che il contribuente rimanga indefinitamente esposto all'azione esecutiva del fisco, né può pensarsi che alla mancata previsione della decadenza e alla necessità di dare certezza ai rapporti giuridici possa supplirsi con la prescrizione, atteso che il relativo termine per il compimento di attività da parte dell'amministrazione è improprio e irragionevole; veniva fatto salvo che il termine mancante non può essere stabilito dalla Corte, ma solo dal legislatore, che peraltro deve riferire esso termine ad un’attività esterna, cioè al compimento di un atto che venga portato a conoscenza del contribuente (nel sistema attuale, ciò per l’Inps corrisponde all’emissione ed alla notifica dell’avviso di addebito).

Peraltro, l’ordinamento - già farcito di tanti casi di decadenza, anche nell’ambito tributario e previdenziale - ha recepito la finalità di cui al citato dictum del giudice delle leggi, introducendo alcune norme (i commi 5 bis e 5 ter dell’art. 1 del D. L. 106/2005, aggiunti con la legge di conversione n. 156/2005, atti legislativi successivi alla pronuncia 280/2005, che dichiaratamente si ispirano alle finalità di tutela ivi enunciate) che, nel dettare la disciplina transitoria e quella a regime della decadenza, chiariscono che essi termini di decadenza vengono introdotti proprio al fine di garantire l'interesse del contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni e di assicurare l'interesse pubblico alla riscossione dei crediti tributari, la notifica delle relative cartelle di pagamento è effettuata, a pena di decadenza: (. . .).

Ciò consente di affermare che la normativa sulla riscossione tributaria (e contributiva) tutela congiuntamente, bilanciandoli, i due interessi contrapposti: quello del contribuente alla determinazione del tempo massimo entro cui all’erario è consentito agire per la riscossione dei tributi e quello, pubblico, dello stesso erario di non essere soggetto a termini talmente stretti da non potere esercitare il potere di riscossione.

Quanto affermato dalla Corte Costituzionale sulla norma inerente la riscossione delle imposte sui redditi, non può non valere per la analoga situazione in cui oggetto del recupero siano contributi previdenziali non versati: infatti, il sistema di riscossione a mezzo ruoli è unico e, ai sensi degli artt. 17 e 18 dello stesso D. Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, include la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali (esclusi solamente quelli economici).

Pertanto, integrando analoga violazione, si ritiene che non potessero emanate emanate e - una volta emanate - confliggano anch’esse con il diritto di difesa ex art. 24 Cost., le norme con cui sono state disposte le proroghe prima e la sospensione poi della decadenza ex art. 25 citato.

Con esse è stata di fatto disinnescata la decadenza legale introdotta con l’art. 25 D. Lgs. 46/1999, rendendo quindi l’azione di recupero dei crediti anteriori al primo gennaio 2004 esperibile senza limiti di tempo o, per gli anni successivi, in virtù della sospensione 2010-2012, entro un lasso di tempo ulteriormente prolungato, peraltro in modo retroattivo.

III. Per altro verso, ciò che maggiormente conta è che nella fattispecie la Corte di Cassazione abbia ritenuto che la decadenza, ritenuta integrare l’illegittimità dell’avviso di addebito opposto, non facesse venire meno il diritto dell’Ente previdenziale alla riscossione.

Per comprendere appieno l’argomentazione spesa e le relative basi, occorre guardare ad altri, più antichi, precedenti.

Innanzitutto, a Cass. 17858/2018, citata nella pronuncia qui annotata; in quella fattispecie, la Corte era chiamata a valutare se sussiste il potere del giudice di esaminare la pretesa creditoria dell’ente previdenziale quand’anche la legittimità dell’iscrizione nei ruoli fosse in dubbio a causa di un gravame proposto avverso l’accertamento dell’ufficio; la soluzione data dalla Suprema Corte è affermativa, ciò facendo richiamo ad altre pronunce, nelle quali il potere del giudice di accertare la debenza o meno della contribuzione richiesta viene spiegato attraverso la affermata similitudine tra l’opposizione alla cartella di pagamento (o all’avviso di addebito), da un lato, e l’opposizione al decreto ingiuntivo, dall’altro.

Si potrebbe andare ancora a ritroso, trovando numerosi altri precedenti che ripetono il medesimo principio della sostanziale irrilevanza della decadenza, dovendo il giudice dell’opposizione prescindere da essa; si può tentare anche di risalire alle origini ed al fondamento dell’orientamento in esame ed allora, lungo tale percorso, si incontrerebbero - tra i tantissimi - precedenti risalenti ad alcuni decenni addietro.

Tra essi, Cass. 5763/2002, che non tratta della decadenza, ma afferma che oggetto del giudizio è sempre il rapporto contributivo, anche quando si muove dall’opposizione proposta avverso una cartella, con la conseguenza che l’ente previdenziale può chiedere l’accertamento del credito; e addirittura, ancora più addietro, Cass. 4995/1987, con cui le Sezioni Unite ribadivano la giurisdizione ordinaria per le controversie di opposizione a cartelle relative alla contribuzione previdenziale.

Tale conclusione, valida ancora oggi e recepita dal legislatore con il D. Lgs. 46/1999 - il cui art. 24 disciplina il procedimento di opposizione, attribuendone la cognizione al tribunale, in funzione di giudice del lavoro e delle controversie previdenziali - si basava proprio sulla ritenuta irrilevanza del fatto che il contribuente avesse impugnato un atto cautelare, affermandosi che ciò che conta è solamente che detta controversia riguarda diritti ed obblighi che attengono ad un rapporto previdenziale obbligatorio e non ha carattere tributario.

Più di recente, prodiga di argomentazioni, nell’analisi delle pronunce della Suprema Corte sul punto, sembra essere l’ordinanza 1558/2020, nella quale vengono esposti gli argomenti che depongono nel senso della natura processuale, anziché sostanziale, della decadenza ex art. 25 D. Lgs. 46/1999:

- in primo luogo, l'iscrizione a ruolo è solo uno dei meccanismi che la legge accorda agli enti previdenziali e assistenziali per il recupero dei crediti contributivi, ferma restando la possibilità che agiscano nelle forme ordinarie;

- in coerenza con ciò, un eventuale vizio formale della cartella o il mancato rispetto del termine di decadenza previsto ai fini dell'iscrizione a ruolo comporta soltanto l'impossibilità, per l'istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fa decadere dal diritto di chiedere l'accertamento, in sede giudiziaria, dell'esistenza e dell'ammontare del proprio credito. Quanto sopra discenderebbe:

a) dal tenore testuale della norma, che parla di decadenza dall'iscrizione a ruolo del credito e non di decadenza dal diritto di credito o dalla possibilità di azionarlo nelle forme ordinarie;

b) dall’asserita impossibilità di estendere, in via analogica, una decadenza dal piano processuale anche a quello sostanziale (posto che per principio generale le norme in tema di decadenza sono di stretta interpretazione);

c) dalla ritenuta non conformità all'art. 24 Cost. di un'opzione interpretativa che negasse all'istituto la possibilità di agire in giudizio nelle forme ordinarie;

d) dalla ratio dell'introduzione del meccanismo di riscossione coattiva dei crediti previdenziali a mezzo dell’iscrizione a ruolo, intesa a fornire all'ente un più agile strumento di realizzazione dei crediti (v. Corte cost. ord., n. 111 del 2007), non già a renderne più difficoltosa l'esazione imponendo brevi termini di decadenza;

e) dal rilievo che la scissione fra titolarità del credito previdenziale e titolarità della relativa azione esecutiva (quest'ultima in capo all'agente della riscossione) mal si concilierebbe con un'ipotesi di decadenza sostanziale.

All’atto pratico, alla natura meramente processuale del potere di iscrizione a ruolo e all'inesistenza di effetti estintivi dell'obbligo contributivo pur in presenza della decadenza, conseguono l’esclusione non solo dell’effetto preclusivo alla riscossione, ma anche (e addirittura, verrebbe da dire) della necessità di una tempestiva domanda dell'ente previdenziale, al fine di sollecitare la cognizione, nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale, in ordine alla sussistenza dell'obbligazione, nella specie per premi e sanzioni: cioè, si ritiene ed afferma che, affinché il giudice pronunci sul merito della pretesa contributiva, l’ente previdenziale non è nemmeno tenuto, nel giudizio di opposizione all’avviso di addebito, a formulare apposita domanda riconvenzionale.

Tuttavia, tali argomentazioni non appaiono talmente solide da resistere ad un’analisi critica. Invero:

a’) non è corretto affermare, o quanto meno non può darsi per scontato, che gli enti previdenziali possano pur sempre procedere nelle forme ordinarie, malgrado la decadenza maturata per mancata iscrizione nei ruoli del credito contributivo.

In effetti, palese appare il travisamento dei meccanismi della riscossione, quali delineati dal legislatore con il D. Lgs. 46/1999: l’iscrizione nei ruoli del credito contributivo è l’atto che, ai sensi dell’art. 25 dello stesso provvedimento normativo, deve essere compiuto entro il termine prescritto per evitare la decadenza; non la vittima della decadenza, ovverosia ciò che viene meno (il diritto soggettivo o la potestà pubblica il cui esercizio resterebbe precluso dalla maturata decadenza).

Infatti, l’interpretazione qui avversata è frutto di una opzione smentita dal dato normativo: l’art. 25 citato, nel dettare termini perentori per l’iscrizione a ruolo, è chiaro e categorico nel disporre che alla riscossione dei contributi previdenziali si provvede attraverso il sistema dei ruoli; pertanto, quando sia preclusa, per maturata decadenza, l’iscrizione nei ruoli, ne discende con estrema chiarezza anche che per legge il credito non sarà più riscuotibile.

Inoltre, a proposito di forme di riscossione alternative a quella esattoriale, esse erano espressamente previste dall’ordinamento ed impiegate dagli enti previdenziali; ma esse ne sono state espunte, in quanto l’art. 2, comma terzo, del D. L. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito nella L. 7 dicembre 1989, n. 389, che attribuiva agli enti previdenziali il potere di ordinanza - ingiunzione e quello di ingiunzione fiscale, è stato abrogato.

Tale abrogazione è avvenuta per effetto dello stesso D. Lgs. 46/1999 (art. 37), quindi è coeva all’introduzione della decadenza nell’ambito della contribuzione previdenziale; per inciso si rileva anche che, mentre l’efficacia di questa ultima è stata variamente postergata, la abrogazione delle forme alternative di riscossione non ha subito proroghe, né in alcun altro modo la sua efficacia risulta essere stata rinviata: pertanto, a decorrere dall’1.7.1999, gli enti previdenziali non dispongono più del potere di riscuotere i contributi non versati a mezzo di ordinanza - ingiunzione e di ingiunzione fiscale.

Pertanto, alla luce del quadro normativo, la riscossione dei contributi dovuti e non versati a mezzo ruoli non ha più alternative, essendo state abrogate quelle precedentemente previste e disciplinate; se altre ve ne fossero state o se il legislatore avesse inteso fare salva la facoltà di agire nelle cc. dd. forme ordinarie, di ciò sarebbe stato fatto quanto meno cenno nel D. Lgs. 46/1999 che, come si è visto, nella disciplina della riscossione coattiva assume carattere organico.

Appare a questo punto opportuno cercare il vero significato che, nel sistema di riscossione vigente e, in particolare, ai sensi proprio dell’art. 25 del d. Lgs. 46/1999, assume l’iscrizione nei ruoli del credito contributivo.

L’iscrizione nei ruoli è, come già detto, il mezzo attraverso cui, preso atto del mancato pagamento spontaneo dei tributi e dei contributi previdenziali, si predispone la riscossione coattiva; tale sistema è comune alle entrate dello Stato e degli altri enti pubblici (art. 17 del D. Lgs. 46/1999).

Quanto, in generale, alla decadenza da un diritto soggettivo (o da un diritto potestativo o da una potestà pubblica), essa opera - tenuto debito conto della sua funzione di dare certezza e definitività ai rapporti giuridici - alla stregua di preclusione all’esercizio del diritto: trattasi in altre parole dell’impedimento all’esercizio del diritto, temporaneo (fino a che è in corso il termine di decadenza) o definitivo (termine scaduto e maturazione della decadenza). Affinché il diritto possa essere esercitato, occorre compiere l’atto di volta in volta richiesto e ciò entro il termine prescritto.

Per la riscossione dei contributi previdenziali, si è visto come l’art. 25 in esame imponga che i contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali siano iscritti in ruoli resi esecutivi, a pena di decadenza: entro il (. . . )

Non sembra possano esservi dubbi: l’atto da compiersi da parte del creditore (l’ente previdenziale) entro il termine previsto è l’iscrizione nei ruoli dei contributi o dei premi, dovuti e non versati; trattasi di un atto interno, cui - secondo gli insegnamenti di Corte Cost. 280/2005 - ne deve necessariamente seguire, sempre nel rispetto del termine di decadenza, uno esterno, attraverso cui il contribuente venga reso edotto del debito tributario: come già detto, nel sistema vigente a tanto l’Inps provvede a mezzo della notifica dell’avviso di addebito.

Ciò posto, quand’anche si ritenesse che l’ente possa agire anche nelle forme ordinarie (ricorso, ricorso per decreto ingiuntivo ?) non è chiaro perché tale azione dovrebbe essere consentita senza il rispetto del termine di decadenza che, invece, è previsto per tutti i tributi ed altresì per la contribuzione previdenziale e dà sempre certezza ai rapporti giuridici, anche nella prospettiva del rispetto del diritto di difesa ex art. 24 Cost. del contribuente; del resto, risulta palese che quale che sia l’oggetto del contenzioso promosso attraverso l’opposizione all’avviso di addebito, ogni questione inerente il diverso aspetto della decadenza si pone su un piano del tutto differente, nel senso che, se pure si ritiene che in giudizio si disquisisce del rapporto contributivo, ciò non esclude che il credito, che di detto rapporto fa parte, possa essere soggetto a decadenza.

L’opposta affermazione, secondo cui la decadenza colpirebbe solamente la riscossione cd. esattoriale, non solo mortifica oltre misura detta funzione di certezza, ma per di più non risulta fornita di solide basi logico giuridiche.

Infatti, nell’argomentare logico, l’affermazione secondo cui il giudizio è di tipo non impugnatorio, ma di accertamento (negativo, in quanto promosso dal contribuente) del credito previdenziale, non è e non può essere la premessa per escludere che il diritto di credito sia soggetto a decadenza (conclusione), operando i due aspetti su piani totalmente differenti, inconciliabili; ogni giudizio ha ad oggetto un dato rapporto giuridico, ma non in tutti i casi vengono in rilievo diritti soggettivi per i quali sia prevista la decadenza.

Detto in altri termini, per un diritto soggettivo può essere prevista la decadenza a prescindere dal tipo di giudizio in cui esso venga dedotto, mentre altro diritto soggettivo attinente allo stesso rapporto potrebbe non esserlo affatto.

Valga l’esempio della compravendita: il rapporto giuridico che nasce per effetto della stipula di un contratto di compravendita può essere dedotto in una ampia varietà di giudizi, differenti tra loro per petitum e causa petendi: a volte si tratterà dell’adempimento dell’obbligazione di pagamento del prezzo, altre volte di consegna del bene, altre ancora di evizione, di risoluzione per inadempimento, ecc.; e vi saranno anche dei casi in cui si disputerà intorno ai vizi della cosa venduta. In tutti questi ed in altri casi, una delle parti farà valere uno o più dei diritti soggettivi che l’ordinamento riconosce al venditore o al compratore; ma solo per il diritto soggettivo del compratore ad essere garantito dai vizi è prevista la decadenza (art. 1495 cod. civ.); nelle altre ipotesi, pur afferenti lo stesso rapporto giuridico (quello originato dal contratto di compravendita), i diritti delle parti non sono soggetti a decadenza.

Ciò conduce ad affermare che, nella materia della riscossione coattiva della contribuzione previdenziale, se l’oggetto del giudizio promosso attraverso l’opposizione all’avviso di addebito è il rapporto contributivo - qualità peraltro a suo tempo affermata solo per determinare la giurisdizione ordinaria: Cass. 4995/1987 - non per questo viene meno la decadenza dalla potestà di riscossione espressamente prevista dall’art. 25 del D. Lgs. 46/1999.

Del resto, non si comprende nemmeno la ragione per cui entro il termine previsto (il 31 dicembre dell’anno successivo al termine fissato per il versamento od alla conoscenza, per l’ente previdenziale, del credito contributivo), una volta verificato che il contribuente non ha eseguito il versamento dei contributi dovuti, non possa essere compiuta l’iscrizione nei ruoli e la notifica della cartella o dell’avviso di addebito.

In ogni caso, il carattere fondamentale della decadenza - enunciato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia 280/2005 sopra citata, che, nell’ambito tributario e previdenziale, significa inammissibilità dell’esposizione a tempo indefinito alla pretesa impositiva - non consente di interpretare la norma sulla decadenza ex art. 25 in modo restrittivo, riducendone l’ambito di applicazione alla praticabilità, o meno, della riscossione esattoriale, lasciando viva la riscuotibilità del credito in altre non meglio identificate forme; ciò implicherebbe che il credito previdenziale sarebbe privo di un termine di decadenza, il che è, per l’appunto, non solo contrario alla lettera dell’art. 25 citato, ma soprattutto inammissibile e contrario alla Costituzione, in quanto verrebbe meno il bilanciamento tra gli opposti interessi che è alla base dell’istituto stesso della decadenza, di cui si è detto appena sopra.

Al contrario, l’unica interpretazione possibile, che non appare poi così assurda, è che la mancata iscrizione nei ruoli rende il diritto non esercitabile (il credito non riscuotibile) ed inoltre che la mancata iscrizione entro il termine previsto determina la definitività della preclusione all’esercizio del diritto.

Lo stesso istituto previdenziale, peraltro, con la citata Circolare 108/2010 - in cui venivano illustrate le modifiche introdotte al D. Lgs. 46/1999, tra cui l’auspicata semplificazione del recupero dei crediti contributivi, attuato attraverso la notifica al contribuente di un avviso di addebito avente valore di titolo esecutivo, in luogo della cartella - ha riconosciuto che l’azione di recupero era stata fatta salva dalla decadenza, ma limitatamente al triennio 2010-2012, con ciò confermando, ove ancora ve ne fosse bisogno, che superato il triennio la decadenza è perfettamente operante;

b’) neppure la qualificazione della decadenza in termini meramente processuali, e non sostanziali, appare convincente.

Sul punto, va evidenziato come la natura meramente processuale, e non anche sostanziale, della decadenza ex art. 25 D. Lgs. 46/1999, non convince, sembrando prima facie del tutto improprio l’uso dell’aggettivo processuale.

Il primo argomento che consente di respingere la qualificazione della decadenza in tali termini è quello legato alla distinzione stessa tra effetti meramente processuali ed effetti sostanziali, facendosi rientrare nella prima categoria (con l’interpretazione da cui deriva la sopravvivenza alla decadenza del credito contributivo) quelli prodotti dalla decadenza ex art. 25 D. Lgs. 46/1999.

Tuttavia, la distinzione non appare correttamente posta, essendo innanzitutto palese l’improprietà terminologica: come può un termine previsto per l’attività procedimentale di competenza di un ente previdenziale avere natura processuale ? Se l’atto da porre in essere entro il termine previsto per evitare la decadenza (iscrizione nei ruoli/emissione e notifica dell’avviso di addebito) attiene alla fase amministrativa, quale sarebbe il giudizio ? Nessuno, ovviamente; come può il termine di decadenza avere natura processuale ? Non può, ovviamente.

Si aggiunga che di distinzione tra gli effetti della decadenza non è dato rinvenire traccia nella disciplina generale, ricavabile dalle norme del codice civile: queste, in particolare gli artt. 2965 e 2966 cod. civ., dettano solamente l’effetto preclusivo di cui si è detto, cioè l’impedimento all’esercizio del diritto, temporaneo o definitivo.

Neppure l’art 25 D. Lgs. 46/1999 offre indicazioni in merito, seppur dovendosi tenere presente che l’effetto preclusivo ivi previsto non è ben definito, disponendo la norma solo che l’iscrizione nei ruoli è compiuta entro il . . . ; ciò implica che l’iscrizione del credito contributivo nei ruoli rappresenta l’attività da compiere (seguita dalla notifica della cartella o dell’avviso di addebito) per impedire che essa maturi; pertanto, se si vuole individuare l’effetto di detta decadenza, essa non può che consistere nella impossibilità di agire per la riscossione.

Quindi, quella che, verificatasi la decadenza, rimane preclusa, è ogni forma di riscossione del credito contributivo, che deve arrestarsi, non potendosi più procedere con il compimento degli atti successivi della sequenza procedimentale, parimenti preclusi; se compiuta ugualmente malgrado la decadenza, tale attività sarebbe illegittima, come illegittimi sarebbero i successivi atti esecutivi; lo stesso sarebbe a dirsi se per ipotesi la riscossione venisse intrapresa secondo le forme ordinarie.

Inoltre, a ben guardare la suddetta contrapposizione tra decadenza con effetti processuali e decadenza con effetti sostanziali, proposta come necessaria, non lo è affatto: non è infatti detto che un termine di decadenza possa essere solo processuale o solo sostanziale, ricorrendo anche numerose fattispecie ibride.

Queste ultime hanno la loro base storica nella pronuncia della Corte Costituzionale di accoglimento della q. l. c. della norma sulla sospensione feriale dei termini che, prima dell’intervento del Giudice delle leggi, era ritenuta non applicabile al termine previsto per l’opposizione alla stima nell’ambito del procedimento di espropriazione per pubblica utilità (Corte Cost. 40/1985; analogamente, ancora Corte Cost. 255/1987, che ha cura di aggiungere che i termini di decadenza presidiano l’obiettivo della certezza dei rapporti giuridici, obiettivo che però non risulta pregiudicato dall’applicare, anche al termine per la proposizione del giudizio di opposizione alla stima, la sospensione feriale).

Nella motivazione della prima pronuncia citata viene chiarito come il termine per proporre detta opposizione abbia natura mista: il termine di trenta giorni ivi previsto a pena di decadenza ha natura ad un tempo processuale e sostanziale, in quanto l’opposizione avanti il giudice competente è l'unico rimedio posto a disposizione dell'espropriato per conseguire il giusto indennizzo; ne consegue che se la sospensione feriale non si applicasse a detto termine, si attenterebbe al diritto di agire in giudizio per la tutela delle pretese dell’espropriato.

Quindi, al termine di decadenza previsto per la proposizione dell’opposizione alla stima (unico rimedio per la tutela del diritto dell’espropriato all’adeguato ristoro) è stata autorevolmente riconosciuta la natura processuale (ed in questo caso parre appropriato, perché condiziona il processo, ponendosi quale condizione di proponibilità della domanda giudiziale) e insieme sostanziale (perché la mancata osservanza determina il venir meno del diritto alla determinazione giudiziale dell’indennizzo, consolidando quella compiuta in sede amministrativa).

Questo lo schema seguito dalla Corte Costituzionale in quella fattispecie, che ammette che una decadenza di rilevanza processuale abbia anche effetti sostanziali.

Se si torna all’analisi della decadenza ex art. 25 D. Lgs. 46/1999, dettato per disciplinare il procedimento di riscossione della contribuzione previdenziale, si noterà agevolmente che la decadenza può essere impedita solo attraverso l’iscrizione del credito nei ruoli e la successiva notifica della cartella o dell’avviso di addebito, ed è un’attività che attiene alla potestà pubblica dell’ente previdenziale (da svolgersi secondo un procedimento amministrativo nel quale non vi è neppure un contraddittorio e comunque non si celebra un giudizio davanti ad un giudice terzo ed imparziale), mentre il giudizio è del tutto estraneo a detto procedimento amministrativo, in quanto sia successivo, che eventuale, dipendendo dalla reazione del contribuente.

Nessun effetto processuale, dunque, della decadenza in esame, e neppure tale argomento può essere ritenuto idoneo ad escludere la natura sostanziale del termine in questione, dovendosi ritenere che, decorso esso invano, la preclusione alla riscossione in ogni forma sia maturata ad ogni effetto;

c’) gli enti previdenziali possono agire nelle forme ordinarie per la riscossione dei contributi ? Il sistema unico di riscossione venuto ad esistenza con il D. Lgs. 46/1999 suggerisce esattamente il contrario.

L’opposta soluzione implicherebbe che tutti gli enti impositori contemplati nell’art. 17 di detto provvedimento, quindi anche l'Agenzia delle Entrate e così via, potrebbero agire nel giudizio ordinario, chiedendo l’accertamento del credito e la condanna del contribuente al pagamento dei tributi dovuti. Ciò è forse previsto dall’ordinamento ed accade ? No, ovviamente. Ciò rappresenta forse una limitazione al potere di azione a difesa dei propri diritti, cioè una violazione dell’art. 24 Cost. ai danni degli enti impositori ? No, non sembra che alcuna lesione sia stata mai percepita in tal senso. Analogamente, anche nell’opposizione proposta in materia tributaria, il giudice munito di giurisdizione adìto dal contribuente (la Commissione Tributaria), pur rilevata la decadenza dalla potestà impositiva prevista per i tributi statali, dovrebbe ignorarla e procedere all’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza della pretesa tributaria, come se si trattasse di un’opposizione a decreto ingiuntivo, consentendo all’Erario di coltivare la pretesa sostanziale, che si dovrebbe ritenere non estinta.

Di contro, questo potere la Commissione tributaria non ha - e non risulta che lo eserciti - e, vista l’omogeneità dei sistemi di riscossione, anzi l’unicità del sistema di riscossione posto dai citati artt. 17 e 18 del D. Lgs. 1999/46 - neppure il giudice ordinario, in funzione di giudice dell’opposizione in materia di contributi previdenziali, può vantarlo;

d’) l’iscrizione nei ruoli è uno strumento di riscossione dei crediti previdenziali che semplifica e rende più celere la riscossione, come chiarito anche da Corte Cost. 111/2007 ? Si può concordare con questa affermazione, mentre si dissente decisamente - per amore della logica e del buon senso - dall’altra, secondo cui le esigenze di semplificazione e celerità sarebbero inficiate dalla presenza di un termine di decadenza. L’assunto portato a sostegno della sopravvivenza del credito contributivo alla decadenza è certamente fuorviante, atteso che, esattamente all’opposto, la celerità sarebbe garantita proprio dal rispetto del termine di decadenza; in ogni caso, la decadenza, anche se per assurdo la si ritenesse di ostacolo alla semplificazione della riscossione, non è rinunciabile, tanto meno in sede interpretativa, in quanto espressiva del bilanciamento, di cui si è già detto, tra l’interesse dell’erario alla riscossione e quello del contribuente a non rimanere esposto a tempo indefinito alla pretesa impositiva;

e’) la scissione tra titolare del potere impositivo e titolare del potere di riscossione, il secondo spettante al concessionario (o agente) della riscossione, è un argomento certamente inesatto.

L’atto da compiere entro il termine di decadenza è, come già visto, quello della iscrizione nei ruoli del credito contributivo; tale atto è di competenza, per i tributi come per i contributi previdenziali, dell’ente impositore, non certo del concessionario (o agente).

Si rende pertanto opportuno il riesame approfondito della problematica, che tenga conto dei principi applicabili in materia, lasciando che la fattispecie di decadenza prevista dall’art. 25 del D. Lgs. 46/1999 trovi applicazione.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza n.24134 2021

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