Codice Rosso : incostituzionale l'art. 577 co.3 C.P.

Codice Rosso : incostituzionale l'art. 577 co.3 C.P.

La violenza nei confronti delle donne costituisce un problema sociale e pone una questione di riconoscimento e tutela dei diritti fondamentali in situazioni in cui spesso il reato si consuma in contesti dove preesistono legami tra la vittima e il suo aggressore», che impone agli operatori del diritto di fare i conti in concreto con l’Ordinamento vieìgente.

Lunedi 6 Novembre 2023

Il dato normativo

La prima questione che si pone in un Ordinamento composito è quella che ne definisce i contenuti formali e sostanziali per i quali occorre fare riferimento anche alle decisioni assunte in vari consessi internazionali.

Il diritto internazionale dei diritti umani stabilisce due ordini di obblighi per gli Stati: il principale è di natura negativa in quanto impone agli Stati di astenersi da dirette violazioni dei diritti umani attraverso i suoi agenti ed il suo apparato.

All’obbligo negativo si aggiunge l’obbligo positivo di intraprendere azioni concrete e misure specifiche di natura legislativa, politica e culturale, rivolte anche ai soggetti non statali che agiscono in violazione dei diritti umani degli individui.

Con l’espressione «violenza di genere» il Comitato di monitoraggio dell’attuazione della CEDAW indica[…]”la violenza che è diretta contro le donne in quanto donne, o che colpisce le donne in modo sproporzionato. Vi rientrano le azioni che procurano sofferenze o danni fisici, mentali o sessuali, nonché la minaccia di tali azioni, la coercizione e la privazione della libertà»,per rimuovere la quale le autorità statali sono tenute ad adottare misure di natura legislativa, politica, sociale, economica e amministrativa”.

Nella Dichiarazione per l’eliminazione di ogni forma di violenza nei confronti delle donne (DEVAW), adottato dalle Nazioni Unite nel 1993,si prende atto che la violenza nei confronti delle donne costituisce «manifestazione di relazioni di potere storicamente ineguali tra uomini e donne, che hanno portato al dominio e alla discriminazione delle donne da parte degli uomini e alla prevenzione del pieno avanzamento delle donne,[…]è uno de meccanismi sociali cruciali attraverso i quali le donne sono costrette a occupare una posizione subordinata rispetto agli uomini»

Il comma 3 dell’art. 577 c.p. venne introdotto, dalla L. n. 69 del 2019 (cosiddetta “Codice Rosso”), mirante nel suo complesso – come risulta dalla stessa denominazione ufficiale della legge – al rafforzamento della «tutela delle vittime di violenza domestica e di genere»,come sancito dalle Convenzioni Internazionali e di cui l’Italia è firmataria e il cui rispetto il legislatore si proponeva di garantire, prima fra tutte,la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cosiddetta “Convenzione di Istanbul”), ratificata con la legge 27 giugno 2013, n. 77(Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011).

L’insieme di tali obblighi impone agli Stati di garantire misure di ordine generale e misure specifiche individuali in ossequio al generale obbligo di due diligence (dovuta diligenza), codificato dall’art. 5 Convenzione di Istanbul.

La nozione di «violenza domestica», è,poi,offerta dall’art. 3, co. 1, d.l. 93/2013, conv. dalla l. 113/2013, sulla scia di quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul : laddove[..] si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».

L’art. 3 di tale Convenzione definisce, in particolare, la «violenza nei confronti delle donne» come «una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata»; e identifica la «violenza domestica» in «tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».

La violenza domestica e di genere, quindi, si articola in uno o più atti che possono confi gurare una o più fattispecie incriminatrici previste dal Codice Penale italiano e che puniscono la «violenza fisica, sessuale, psicologica o economica».

In conformità delle indicazioni contenute nel capitolo 5 della Convenzione di Istanbul, ma trascurando le misure di rafforzamento sociale e di cambiamento culturale,l’ambito di intervento privilegiato della legge n. 69/2019 è stato il Codice Penale, che ha visto l’aumento dei limiti edittali della pena per i seguenti delitti: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), per il quale è ora prevista la reclusione da tre a sette anni24; atti persecutori (art. 612-bis c.p.), punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi; violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), oggi punito con la reclusione da sei a dodici anni; violenza sessuale di gruppo (articolo 609-octies c.p.), punito con la reclusione da otto a quattordici anni.

In particolare, l’art. 577 C.P.., che prevede la pena dell’ergastolo per l’omicidio, è stato modificato dall’art. 11 legge n. 69/2019, così da estenderne l’applicabilità al reato commesso in danno dell’ascendente o del discendente «per effetto di adozio ne di minorenne» e della persona «stabilmente convivente con il colpevole o a esso legata da relazione affettiva»

L’ultimo comma dell’art. 577 C.P.. che prevedeva,sino alla sentenza che ci occupa,la pena della reclusione da ventiquattro a trenta anni in presenza di determinate relazioni qualificate dell’autore del reato contro la persona offesa,è stato interpolato in modo da consentirne l’applicazione anche qualora la persona offesa sia «legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate» ovvero ne sia «l’adottante o l’adottato nei casi regolati dal titolo VIII del libro primo del Codice civile».

L’art. 11 ultimo comma ha introdotto, altresì, un limite al bilanciamento tra circo stanze atte nuanti e aggravanti, escludendo che possano essere ritenute preva lenti le circo stanze attenuanti rispetto alle aggravanti elencate all’art. 577 C.P..

La sentenza della Consulta.

La Corte Costituzionale,con la sentenza n.197/2023,ha dichiarato incostituzionale l’art.577,terzo comma, del Codice Penale,introdotto dalla Legge 69/2019 detta del .Codice Rosso,laddove si tratti di un omicidio commesso nei confronti di un familiare o convivente, che vieta eccezionalmente al Giudice di dichiarare prevalenti le attenuanti di cui agli artt. 62 co. 1 n. 2 e 62 bis C.P. rispetto all’aggravante dei rapporti familiari tra autore e vittima dell’omicidio.

La Corte ha sancito che il Giudice deve avere la possibilità di valutare caso per caso se diminuire la pena in presenza della circostanza attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche.

In conseguenza la norma è stata ritenuta incostituzionale nella parte in cui fa divieto assoluto per il Giudicante di diminuire la pena in presenza di circostanze attenuanti poiché vietava eccezionalmente di dichiarare prevalenti le due attenuanti rispetto all'aggravante dei rapporti familiari tra autore e vittima dell'omicidio.

La questione era stata sollevata da due ordinanze della Corte d'Assise d'Appello di Torino e da un'ordinanza della Corte d'assise di Cagliari.

La Corte di Torino, procedendo nei confronti di un giovane, diciottenne al momento del fatto, accusato di avere ucciso il padre in occasione di un ennesimo episodio aggressivo nei confronti propri, della madre e del fratello, non ritiene - a differenza di quanto stabilito dai Giudici in primo grado - che l'imputato abbia agito in legittima difesa, ma gli riconosce varie attenuanti, tra cui la provocazione e le attenuanti generiche.

In un diverso procedimento, la stessa Corte dovendo giudicare della responsabilità penale di una donna che aveva ucciso il marito, autore di reiterati comportamenti violenti e prevaricatori nei confronti propri e del figlio,ha escluso la legittima difesa, ma ha ritenuto che all'imputata dovesse essere riconosciute, tra l'altro, l’attenuante della pro vocazione e le attenuanti generiche.

La Corte cagliaritana, infine, procedendo nei confronti di un uomo, sessantasettenne al momento del fatto, accusato di avere ucciso la moglie sessantenne, in un momento di esasperazione provocato dai continui comportamenti aggressivi della vittima, alcolista e affetta da patologie psichiatriche ha adito la Corte per le medesime considerazioni.

La Consulta, decidendo sulla delicata questione, ha ritenuto che il divieto posto dalla norma censurata determini una violazione dei principi di parità di trattamento di fronte alla legge, di proporzionalità e individualizzazione della pena sanciti dagli articoli 3 e 27 della Costituzione.

La norma impugnata di legittimità, imponeva, infatti, al Giudice di applicare la stessa pena (l'ergastolo o, in alternativa, la reclusione non inferiore a ventun anni) sia ai più efferati casi di femminicidio, sia a casi come quelli oggetto dei procedimenti principali, caratterizzati da significativi elementi che diminuiscono la colpevolezza degli imputati, e nei quali una pena così severa risulterebbe manifestamente sproporzionata.

La decisione, ha sottolineato la Corte, non contraddice in alcun modo la legittima, ma anche apprezzabile, finalità del "Codice Rosso" di intervenire con misure incisive, di natura preventiva e repressiva, contro il drammatico fenomeno della violenza e degli abusi commessi nell'ambito delle relazioni familiari e affettive.

Tuttavia,si afferma in sentenza, che "l'assolutezza del divieto posto dal legislatore può comportare nei singoli casi risultati contraddittori rispetto a questo scopo, finendo per determinare l'applicazione di pene manifestamente eccessive in situazioni in cui è il soggetto che ha subito per anni comportamenti aggressivi a compiere l'atto omicida, per effetto di una improvvisa perdita di autocontrollo causata dalla serie innumerevole di prevaricazioni cui era stato sottoposto".

In conseguenza, le Corti d'Assise avranno nuovamente la possibilità di valutare caso per caso se debba essere inflitta la pena dell'ergastolo, prevista in via generale per gli omicidi commessi nei confronti di un familiare o di un convivente, ovvero debba essere applicata una pena più mite, adeguata alla concreta gravità della condotta dell'imputato e al grado della sua colpevolezza.

E’ utile commentare le ragioni della Sentenza della Consulta alla luce delle motivazioni di segno contrario poste a base del c.d. Codice Rosso dal Legislatore.

In funzione di questa generale tutela, il “Codice Rosso” ha arricchito ulteriormente le misure volte non solo ad assicurare severe sanzioni penali a carico degli autori di vittime di violenza contro le donne o di violenza familiare – in particolare attraverso l’innalza mento delle pene previste per il delitto di maltrattamenti in famiglia –, ma anche a potenziare gli strumenti idonei a consentire una più efficace e tempestiva protezione delle vittime da parte della forza pubblica.

In particolare il c.d. Codice Rosso ha introdotto:

a. la possibilità di utilizzare strumenti di controllo elettronico nei confronti delle persone sottoposte alla misura cautelare del divieto di avvicinamento dei luoghi frequentati dalla persona offesa di cui all’art. 282-ter c.p.p.;

b. la previsione, all’art. 387-bis c.p., del delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa;

c. la subordinazione della sospensione condizionale della pena per reati in materia di violenza contro le donne o domestica alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso Enti o Associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati (art. 165 c.p.);

d. misure di formazione specifica per gli addetti ai lavori nella lotta contro la violenza domestica e di genere (art. 5 L. n. 69 del 2019).

Pertanto, anche alla luce dell’aumento degli episodi di violenza familiare, il Legislatore abbia inteso, in via generale, inasprire ulteriormente la risposta sanzionatoria contro gli omicidi commessi all’interno di relazioni familiari o affettive, specie a danno delle donne e comunque dei soggetti più vulnerabili all’interno di tali contesti, limitando il potere del Giudice di determinare la pena per tali omicidi – punibili con l’ergastolo in assenza di circostanze attenuanti – al di sotto dei ventun anni di reclusione.

Si era ipotizzato, in dottrina, che la selezione delle sole quattro circostanze attenuanti sottratte al divieto di bilanciamento fosse dovuta al timore che il Giudice potesse riconoscere e ritenere prevalenti altre attenuanti, ed in particolare la provocazione ovvero le attenuanti generiche; e ciò specialmente in situazioni in cui l’autore dell’omicidio agisca in preda al turbamento emotivo provocato da circostanze come:

- la gelosia nei confronti del partner,

- il rifiuto di accettare la conclusione di una relazione;

- un distorto senso di possesso nei confronti della vittima;

- il timore del “disonore” ricadente su se stesso e sulla propria famiglia, derivante da comportamenti inappropriati della vittima.

La Giurisprudenza

Sul punto, occorre,tuttavia, rilevare che simili preoccupazioni non trovano riscontro nella giurisprudenza di legittimità, che è invece compatta nel rigettare allegazioni difensive miranti al riconoscimento della provocazione come nei casi innanzi menzionati.

La tendenza è stata quella di riconoscere in simili ipotesi la circostanza aggravante dei futili motivi (v. in questo senso, Cass. pen., sez. I, sentenza 9 giugno-3 novembre 2021, n. 39323; sentenza 21 maggio-30 ottobre 2019, n. 44319).

In queste ipotesi, infatti, è stato ritenuto dalla Cassazione che difetti in radice un “fatto ingiusto” della vittima (Cass. pen., sez. V, sentenze 14-luglio-22 settembre 2023, n. 38755, 3 marzo-10 giugno 2021, n. 23031 e 25 settembre-13 dicembre 2017, n. 55741), o che comunque sussista una grave e macroscopica incongruenza fra il fatto scatenante e la reazione (Cass. pen., sez. V, sentenza 4 luglio-10 dicembre 2014, n. 51237).

D’altra parte è da escludere che il mero dato psicologico di un forte turbamento emotivo possa essere ritenuto sufficiente a esprimere un minor contenuto di colpevolezza in capo all’autore di una simile condotta, ed a giustificare, di per sé, il riconoscimento delle attenuanti generiche (sul punto,v. Cass. pen.sez. I, sentenza 8 novembre 2019).

Si è ritenuto che l’intensità della spinta psicologica è infatti decisiva ai fini del giudizio di minore colpevolezza,ma la valutazione in termini di umana comprensibilità delle ragioni che spingono il soggetto ad agire, in maniera contraria alla legge penale,vada parimenti valutata ai fini della decisione..

In assenza di ogni plausibile ratio giustificativa ulteriore, rispetto alla generica volontà di assicurare un trattamento sanzionatorio particolarmente severo per tutti i casi di omicidio commesso nell’ambito di relazioni familiari o affettive, la disposizione censurata non ha superato il vaglio di legittimità costituzionale sollecitato dai Giudici con le Ordinanze di rimessione che hanno posto in discussione, tuttavia, la risposta sanzionatoria manifesta mente sproporzionata che l’introduzione dell’art. 577, terzo comma, Cost. provocava rispetto a casi del tutto eterogenei rispetto a quelli disciplinati dal legislatore,

Nei casi in cui è proprio la persona vulnerabile, vittima di reiterati comportamenti aggressivi all’interno del proprio contesto familiare, a compiere alla fine un atto omicida, sospinta dall’esasperazione per una situazione percepita come non più tollerabile, una tale risposta costituisce un effetto collaterale, di natura per così dire “preterintenzionale”, prodotto da una norma che, benché persegua una finalità legittima, tuttavia, nell’impatto con la varietà dei casi reali, determina anche risultati incongrui rispetto a quella stessa finalità (per un caso simile in materia di misura della pena v. la sentenza n. 68 del 2012).

Nondimeno, secondo la Consulta, la dichiarazione di illegittimità costituzionale non contraddice in alcun modo la legittima, ed anzi certamente apprezzabile, finalità di tutela perseguita dal legislatore con l’approvazione del “Codice Rosso” e ciò benché le statistiche annue sui femminicidi, sulle quali ha insistito l’Avvocatura generale dello Stato negli atti di intervento e nella discussione orale, dimostrino la necessità per il Legislatore di intervenire con misure incisive, preventive e repressive, per contrastare efficacemente questo drammatico fenomeno, nonché la generalità dei fenomeni di violenza e abusi commessi nell’ambito di relazioni familiari e affettive.

In definitiva, come nella sostanza sottolineano tutte le Ordinanze di rimessione, alla luce dell’impianto complessivo della legge n. 69 del 2019 è verosimile che il Legislatore abbia inteso,con l’ultimo comma dell’art. 577 cod. pen.,assicurare una più energica reazione sanzionatoria contro soggetti già autori di maltrattamenti e prevaricazioni nei confronti di persone vulnerabili a loro legate da relazioni familiari e affettive, i quali – al culmine di una spirale di violenza – uccidano queste stesse persone.

I casi oggetto dei giudizi a quibus sono invece relativi a situazioni in cui è il soggetto che ha subìto per anni comportamenti aggressivi a compiere l’atto omicida, per effetto di una improvvisa perdita di autocontrollo causata dalla serie innumerevole di prevaricazioni cui era stato sottoposto,tali da giustificare la decisione assunta dalla Consulta..

I Centri Anti Violenza

La mancanza di attività di prevenzione, di ascolto e di tutela delle vittime della violenza domestica finisce con l’acuire il problema anche alla luce della sentenza in commento.

La legge n. 69/2019 interviene solo marginalmente in tema di centri antiviolenza, misure di assistenza a favore degli orfani dei crimini domestici e in tema di indennizzo, senza apportare modifiche sostanziali che possano concretamente rafforzare il persegui mento delle finalità correlate alle disposizioni novellate.

Con riguardo ai centri antiviolenza, l’art. 18, legge n. 69/2019 sopprime una clausola introdotta all’art. 5-bis, d.l. n. 93/2013, convertito dalla legge n. 119/2017,destinata a promuovere la costituzione di nuove case rifugio e centri antiviolenza.

Il Legislatore del 2013, infatti, aveva valutato l’opportunità di riservare un terzo dei fondi disponibili «all'istituzione di nuovi centri e di nuove case-rifugio al fine di raggiungere l'obiettivo previsto dalla raccomandazione «Expert Meeting sulla violenza contro le donne», Finlandia, 8-10 novembre 1999», documento nel quale già si evidenziavano le carenze dell’Ordinamento italiano in tema di protezione e accoglienza per le donne in fuga da situazione di violenza domestica.

L’abrogazione della clausola di riserva dei fondi conferma la fondatezza delle preoccu pazioni espresse dalle organizzazioni di donne impegnate sul territorio ad assicurare una gestione secondo i canoni di indipendenza e con una prospettiva di genere come richiesto dalla Convenzione di Istanbul (artt. 9, 22 e 23) che hanno segnalato l’insuffi cienza delle risorse stanziate e i ritardi nella loro erogazione.

Ma questa è un’altra questione da approfondire… ..tra qualche femminicidio ancora…

Allegato:

Corte Costituzionale sentenza 197 2023

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