Si segnala l'ordinanza n. 2173/2025 con la quale il Tribunale di Velletri si pronuncia in merito al valore probatorio di una comunicazione epistolare al fine di provare l'intervenuto spoglio legittimante l'azione di reintegra.
Il caso: Tizia ricorreva al tribunale contro Caio per chiedere di essere reintegrata nel compossesso della casa coniugale, mediante la consegna alla stessa ricorrente di una copia delle chiavi del portone di ingresso, del telecomando del cancello e dei codici del sistema di allarme ivi installato, nonché nel possesso dei beni mobili, capi di vestiario, accessori ed effetti personali di proprietà della ricorrente presenti nell’immobile.
Il Tribunale ha respingeva la domanda di reintegra nel compossesso dell’immobile, accoglieva quella di restituzione degli effetti personali e compensava per la metà le spese di lite, ponendole per la seconda metà a carico del resistente Caio.
In merito all'asserito spoglio nel composesso dell'immobile, il Tribunale riteneva che l’intervenuto rilascio dell’immobile da parte del resistente in favore della comodante (la madre Mevia) escludeva la sussistenza, in capo a lui, dell’animus spoliandi, avendo egli “proceduto a restituire l’immobile alla madre sulla base della richiesta avanzata dalla stessa rispetto alla quale, sulla base di una valutazione necessariamente sommaria, non emergono gli elementi della simulazione”.
Tizia propone reclamo avanti al Collegio, il quale, nel revocare l'ordinanza reclamata con conseguente ordine di reintegra, chiarisce quanto segue:
a) sotto il profilo probatorio, la prova dello spoglio è fornita da una nota del legale del resistente Caio – avv. Sempronio - nella quale dava atto che il suo cliente si era visto costretto a sostituire le chiavi di accesso all’abitazione in conseguenza delle ripetute “incursioni” della stessa Tizia “presso la abitazione”;
b) a tale nota il difensore dell’odierna reclamante ha fatto seguito chiedendo, ripetutamente, la consegna delle chiavi; con una seconda nota un altro difensore del resistente, avv. Catone, scrivendo «in nome e per conto» di quest’ultimo, ha fatto proprio il «contenuto delle comunicazioni epistolari scambiate con le procuratrici della Sua assistita anche da parte del collega Avv. Prof. Sempronio», così ribadendone il contenuto, e ha contestato la pretesa di Tizia di essere reintegrata nell’immobile senza tuttavia negare la sostituzione delle chiavi;
c) le suddette dichiarazioni non hanno valore confessorio in quanto non sono state sottoscritte anche da Caio, tuttavia esse costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal Tribunale e che, in considerazione della loro reiterazione e del loro stesso tenore letterale sono sufficienti, anche in considerazione della sommarietà dell’accertamento tipica della presente fase, a ritenere provato lo spoglio, realizzatosi con la sostituzione delle chiavi avvenuta all'insaputa della ricorrente e in modo violento ossia contro la di lei volontà;
d) quanto poi all’animus spoliandi, ai fini dell'esistenza dello spoglio o della turbativa del possesso non è necessaria la prova dell’animus spoliandi o turbandi in quanto gli artt. 1168 e 1170 c.c. prescindono del tutto dal riferimento psicologico, sicché va escluso che dalla natura di atto illecito della molestia o dello spoglio derivi che il possessore debba altresì provare la consapevolezza dell'autore dell’aggressione di aver violata la norma posta a tutela del pieno e libero esercizio del possesso;
e) più in particolare il concetto di animus spoliandi altro non indica se non la mera consapevolezza dell’autore dello spoglio di agire contro la volontà espressa o presunta del possessore, consapevolezza insita nel fatto stesso di privare l’altro del possesso in modo violento o clandestino, e non esclusa nemmeno dalla convinzione di esercitare un proprio diritto.