Usura e tasso di mora: il punto della giurisprudenza

Usura e tasso di mora: il punto della giurisprudenza

Recenti sentenze della S. Corte a raffronto: Cass. Civ. Sez. III n. 17447/2019; Cass. Civ. Sez. I n. 21470/2017; Ordinanza Cass. Civ. Sez. III 27442/2018

Venerdi 13 Settembre 2019

La recente sentenza della S. Corte n. 17447/19  asserisce la valenza del tasso di mora ai fini della usurarietà, chiamando a riferimento ulteriori pronunce di legittimità, ossia la n. 23912 del 04.10.2017, la n. 5598 del 06.03.2017 e  la n. 21470 del 15.09.2017.

Tuttavia bisogna rilevare che le stesse sentenze richiamate presentano solamente alcune caratteristiche comuni, divergendo in parte, sia nella dinamica dell’usurarietà, intesa quale momento di perfezionamento del reato ai sensi dell’art. 644 c.p., sia nelle conseguenze civilistiche ad essa riconducibili.

Ma procediamo per gradi!

Innanzitutto preme sottolineare che l’attuale “stato dell’arte” sulla materia usuraria, e più in generale sulle clausole contrattuali da includere nella rilevazione del TEG per poi confrontarlo con il tasso soglia, è alquanto confusionario e contraddittorio, dovuto alle contrastanti pronunce espresse dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, pur essendo chiara “la ratio” della Legge 108/96, della Legge 24/2001, dell’art 644 c.p., nonché della conseguenza civilistica di cui all’art.1815 comma 2 c.c.

Del resto la relazione Governativa di presentazione al Parlamento del D.L. 394/2000, poi convertito in L. 24/2001, spiega che, quando in un contratto di prestito venga convenuto un tasso di interesse, sia corrispettivo, che compensativo o moratorio, il momento a cui riferirsi per verificare l’eventuale usurarietà, sotto il profilo sia civile che penale, è quella della conclusione del contratto, a nulla rilevando l’effettivo pagamento degli interessi medesimi.

Va dunque verificato esclusivamente lo scenario corrispondente al programma negoziale fissato nel contratto ed al TEG che esso esprime.

La legge 24/2001 all’art. 1, comma 1, così recita “Ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 del codice penale e dell'articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 29/2002 (“Va in ogni caso osservato - ed il rilievo appare in sé decisivo - che il riferimento, contenuto nell'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi "a qualunque titolo convenuti" rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - l'assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”) rappresenta un valido sostegno sia alla ratio della L. 108/96, sia all’interpretazione costituzionale della L. 24/2001.

Non per nulla il reato di usura è stato definito dalla migliore dottrina come “reato di pericolo” con la funzione di eliminare tale fenomeno prima della sua reale insorgenza, ovvero già all’atto della conclusione negoziale, vagliando i futuri scenari realizzabili in dipendenza delle clausole negoziali convenute.

Per quanto precede, sembrerebbe oltremodo pacifico il vaglio della usurarietà al momento del perfezionamento contrattuale (usura genetica. Sul punto vedi Cassazione Civile SS.UU. n. 24675/2017).

Orbene, se la legislazione ha previsto e disciplinato in maniera organica il reato di usura, fornendo una chiara lettura sia del momento del perfezionamento del reato, sia delle voci rientranti nel cd. “carico economico” ai fini della valutazione del TEG, quale indice del costo effettivo del finanziamento da raffrontare al tasso soglia, ci si chiede come sia possibile che tutt’oggi vi sia una “variopinta” interpretazione del giudicato sia in sede di merito (Tribunali e Corti di Appello),  sia in sede di legittimità.

I contrasti emergono macroscopicamente nelle varie aree geografiche del Paese in ordine:

- alle differenti modalità di calcolo, relativamente  alle voci da includere nel TEG o da escludere,  così’ come rappresentato dalla Banca d’Italia e dagli Istituti di credito;

- al momento temporale della valutazione delle clausole negoziali, quali ad esempio la mora, l’estinzione anticipata, ai fini della determinazione dell’usura. Se cioè tali voci del costo debbano essere riconosciute valide solo al momento della loro effettiva incidenza sul costo dell’operazione o se esse debbano essere considerate a prescindere dalla loro realizzazione, come del resto le fonti normative innanzi citate hanno previsto e disciplinato.

Tale seconda ipotesi, definita da una certa parte della giurisprudenza “Worst Case”, considera il potenziale di tali costi (anche nella peggiore ipotesi realizzabile in danno al soggetto finanziato) disciplinati da clausole negoziali convenute e promesse sin dal perfezionamento dell’atto negoziale. Del resto esse costituiscono elementi strutturali del contratto, tanto che in assenza di esse il finanziatore non avrebbe negoziato (rectius, finanziato ed erogato il credito  al costo pattuito in sede di accordo negoziale).

Altro elemento che entra in gioco nella complessa materia è il ruolo della Banca d’Italia. È da evidenziare che parte della giurisprudenza di merito sembra sostenere il contenuto delle Circolari e delle Direttive della Banca d’Italia, giustificando nella loro scelta l’impostazione che tali fonti secondarie siano norme tecniche di attuazione della L.108/96. Ma così non è, essendo esse fonti secondarie e, come tali, gerarchicamente subordinate alla Legge.

Né del resto esiste una norma giuridica che attribuisca alla Banca d’Italia il ruolo o la funzione di determinare arbitrariamente quali siano le voci di costo da imputare nel calcolo del TEG.

Come noto, alla Banca d’Italia è stata data la sola facoltà di raccogliere i dati riguardanti i tassi effettivi globali medi applicati dalle banche e dagli istituti finanziari per le stesse tipologie di affidamenti.

Ben si comprende quindi come la posizione del giudicante, che a ben vedere a norma dell’art.101 della Costituzione è soggetto alla sola legge, abbia un peso determinate, poiché, qualora egli ritenga di aderire alle tesi della Banca d’Italia e degli istituti di credito, gli effetti saranno certamente penalizzanti per gli affidatari, vanificando lo spirito della legge anti usura, con conseguenze civilistiche e penali non apprezzabili in  diritto.

Sul punto, giova precisare, che gli Ermellini in più riprese si sono pronunciati osservando che, laddove le fonti secondarie (Circolari e Direttive Bankit) siano in contrasto con norme di legge, le stesse (circolari, direttive, istruzioni) devono essere disattese per il principio generale della gerarchia delle fonti. Sua conseguenza è la disapplicazione delle stesse da parte del giudicante. Tra le tante cfrs. Cass. Civ. n. 8806 del 05.04.2017, che definisce in modo chiaro e diretto la cd. Centralità sistematica dell’art. 644 c.p., che regola il fenomeno usura anche nei confronti delle disposizioni regolamentari, direttive ed istruzioni emanate dalla banca d’Italia; Cass. Civile III Sez. n. 5160 del 06 Marzo 2018; Cass. Civile VI° Sez. n. 5598 del 06 marzo 2017.

Si rileva che quest’ultima sentenza, considerando la valenza del tasso di mora ai fini del vaglio della usurarietà, analogamente alla sentenza n. 17447 del 28.06.2019 (pagina 8), che andremo ad argomentare di seguito “bastona” quei giudici che “ritengono in maniera apodittica che il tasso soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso (soglia)”.

Si è premesso quanto sinora argomentato solo per illustrare, a parere di chi scrive, le motivazioni a grandi linee che hanno indotto, ed inducono quotidianamente i Tribunali ed i Collegi della penisola, ad esprimersi in maniera contrastante, seguendo ora un’interpretazione, ora una diversa ed opposta, delle norme civilistiche, penali e della legislazione speciale (T.U.B.).

Dall’esame quotidiano della giurisprudenza emerge che la stessa è orientata favorevolmente al rispetto della sola legge in quelle aree in cui la dimensione circondariale della Corte è meno estesa di altre di maggiori dimensioni, dove invece spesso si seguono le istruzioni della Banca d’Italia a discapito della legge. A riprova basta leggere i quesiti di volta in volta demandati dal giudicante al proprio ausiliario (CTU), perché dal tenore degli stessi già si può ipotizzare l’orientamento del giudicante.

Certamente non sta a noi comprendere le motivazioni delle differenze interpretative dei giudicanti, ripetiamo anche in funzione dell’allocazione geografica dei vari Tribunali, lasciando al libero arbitrio dei lettori la loro soggettiva valutazione.

Ciò premesso, non solo la giurisprudenza di merito “sforna” quotidianamente  motivazioni del tutto differenti e contrastanti, ma anche in sede di legittimità ci troviamo spesso ad affrontare la stessa problematica, a discapito della certezza del diritto, disorientando l’attento avvocato, che nella redazione dei propri atti dovrà  affrontare le varie tematiche sotto “diverse e contrastanti angolazioni”.

Per quanto fin qui dedotto, non a caso si sono volute sinteticamente rappresentare alcune recentissime sentenze della Corte di Cassazione e più precisamente:

a) Sentenza Cass. Civ. III° Sez.n. 17447 del 28.6.2019.

b) Sentenza Cass. Civ. I° Sez.  n. 21470 del 15.9.2017  (relativa ai C/Correnti);

c) Ordinanza Cass. Civile n. 27442/2018  Tali sentenze ci offrono “un chiaro spaccato della realtà giuridica in cui operiamo, in tema non solo di usura ma anche di illegittimità delle clausole negoziali e delle conseguenze giuridiche che ne derivano.

Non a caso esse in parte convergono nei contenuti e nelle motivazioni ed in parte sono in aperto contrasto tra di loro. Infatti la sentenza n. 17447 del 28.06.2019  richiama le altre due pronunce summenzionate, che solo in parte sono conformi alla sentenza richiamante (17447/2019).

Ma veniamo al commento pratico delle suindicate pronunce, evidenziando schematicamente le differenze sostanziali in punto di diritto, che purtroppo confermano quanto testé sostenuto.

Sentenza Cass. Civ. III° Sez. n. 17447 del 28.6.2019.

a) La mora deve essere concreta e non potenziale (“se il debitore è in termini deve corrispondere gli interessi corrispettivi, quando è in ritardo qualificato dalla mora, al posto degli interessi corrispettivi deve pagare quelli moratori; di qui la conclusione che i tassi non si possono sommare semplicemente perché si riferiscono a basi di calcolo diverse”, pag. 7).

b) In caso di superamento della sola mora, sempre quando essa si verifichi (c.d. mora in concreto), si andrà ad applicare il tasso legale in sostituzione del solo tasso di mora (“peraltro, secondo questa Corte – Cass. 30/10/2012 n. 27442 - la previsione di un saggio degli interessi moratori sovrasoglia non sarebbe colpita dalla nullità di cui all’art. 1815, comma 2, c.c. ma comporterebbe la riduzione del tasso convenzionale degli interessi a quello legale secondo le norme generali”, pag. 7).

c) Il tasso corrispettivo quindi non andrà disatteso, essendo fonte autonoma negoziale (cfr. pag. 9).

d)  Non si applica la sommatoria dei tassi corrispettivi e moratori, tranne nel solo caso in cui il contratto di mutuo preveda che, in caso di mancato pagamento della rata, il tasso di mora non si sostituisca al tasso corrispettivo, ma si aggiunga ad esso, ovvero sul costo della intera rata.  Di fondamentale importanza risulta essere il punto d), poiché solo parte della giurisprudenza di merito si è uniformata a tale principio. Tra le tante cfr. Tribunale di Prato n. 651  dell’11.06.2016; Tribunale di Pesaro del 5 luglio 2016; Ordinanza Collegio Tribunale di Savona del 2.9.2015; Ordinanza Tribunale di Siena del 17.4.2015; Ordinanza Tribunale di Sassari del settembre 2015; Ordinanza del Tribunale di Agrigento del 25.9.2014, ed altre ancora.

Sul punto ci riportiamo al tenore letterale della sentenza in esame, che così osserva in merito – cfr. pag. 8: “non è stato confutato dalla ricorrente che i canoni non corrisposti fossero stati calcolati, a differenza di quanto statuito dalla sentenza gravata, attraverso il conteggio di interessi moratori sugli interessi scaduti, cioè sulla rata di canone, già precedentemente capitalizzata a titolo di interessi corrispettivi.

In tal caso, ma solo in tal caso, sarebbe stato possibile lamentare che il tasso effettivamente applicato avesse superato il tasso soglia per essere stati i singoli canoni, già comprensivi degli interessi corrispettivi, maggiorati ad ogni scadenza degli interessi moratori (c.d. tesi dell’effettività; usura effettiva e a posteriori) (sono questi i casi cui la giurisprudenza di legittimità si riferisce quando ritiene che la questione dell’accertamento sub specie usurae non possa liquidarsi sbrigativamente escludendo che gli interessi moratori si sommino a quelli corrispettivi: Cass. 04/10/2017, n. 23912; Cass. 06/03/2017, n. 598; né argomenti in senso contrario possono trarsi dalla decisione n. 350 del 9/01/2013, con cui, aderendo ad un precedente orientamento, la Corte ha ribadito che, "ai fini dell'applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte Cost. 25 febbraio 2002 n. 29: "il riferimento, contenuto ne! D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - l'assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori.)..” .

A parere dello scrivente, quindi, solamente in tal caso e per espressa pattuizione si può operare, conformemente a quanto dedotto dalla S. Corte, la sommatoria dei tassi. Conseguenza sanzionatoria sarà l’applicazione dell’art.1815, comma 2, c.c.

Tale dato, pur non espresso chiaramente in sentenza, si deduce dal contenuto della stessa, laddove nel trattare la valenza in concreto della mora in caso di travalicamento del tasso soglia, la Corte si esprime sulla sola nullità della mora, con applicazione del tasso legale in luogo dei moratori, senza disapplicare gli interessi corrispettivi in quanto autonoma clausola negoziale.

Sentenza Cass. Civ. I° Sez. n. 21470 del 15.09.2017 (relativa ai C/Correnti ed al tasso intra fido ed extra fido). La sentenza n. 17447 del 28.06.19 richiama la n. 21470 del 15.09.2017, effettuando dunque un parallelismo tra il tasso di mora ed il tasso extra fido. Tale richiamo appare inconferente, poiché diverse sono le conseguenze che la S.C. Sezione III°, chiamata a decidere sui rispettivi ricorsi, adotta nelle due pronunce.

Infatti la III° Sezione, con la sentenza n. 17447/19, osserva che in caso di mora concreta (la quale cioè trovi realmente applicazione e quindi non potenziale), qualora essa travalichi il tasso soglia, si sostituisce il tasso legale a quello contrattuale di mora, rimanendo inalterata la corresponsione del tasso corrispettivo.

Esaminando più da vicino entrambe le pronunce, noteremo le seguenti analogie e differenze.

1) ANALOGIE

1A) Verificazione in concreto dell’evento (sia del tasso di mora, sia del tasso extra fido): La sentenza n. 21470 del 15.09.2017, recita che il tasso extra fido dovrà essere concretamente applicato: questa è una delle due analogie con la sentenza n. 17447/19, poiché entrambe adottano il criterio della reale verificazione,  escludendo quindi il criterio della potenzialità della determinazione (rectius, della effettiva applicazione di quanto convenuto e promesso);

1B)  Qualora il tasso extra fido andrà a superare il tasso soglia, secondo la sentenza n. 21470/2017 avremo come conseguenza la sola disapplicazione del tasso extra fido, rimanendo inalterata la clausola relativa agli interessi corrispettivi intra fido, che non sarà colpita da alcuna sanzione; analogamente la n. 17447/19 prevede che, in caso del reale” superamento da parte della mora del tasso soglia, si andrà a disapplicare il solo tasso di mora, rimanendo inalterato il tasso corrispettivo.

2) DIVERGENZE

sotto il profilo delle conseguenze giuridiche in caso del travalicamento del tasso soglia ad opera delle due clausole negoziali:

2A) Con la sentenza n. 17447/2019, la Corte perviene alla conclusione della sostituzione del tasso di mora con quello legale;

2B) Con la sentenza n. 21470/2017, la Corte perviene ad una diversa decisione, adottando il criterio dell’applicazione dell’art.1815, comma 2 c.c., ovvero la nullità della clausola degli interessi extra fido e la gratuità del finanziamento solo per il periodo in extra fido; rimanendo inalterati i tassi corrispettivi  intra fido se non usurari;

Ordinanza Cass. Civile Sez. III n. 27442/2018. 

A differenza delle succitate pronunce , l’Ordinanza in commento ritiene rilevante il tasso di mora all’atto della convenzione negoziale a prescindere dalla sua reale applicazione, ovvero vige il principio della potenzialità del suo reale verificarsi in costanza di rapporto negoziale.

In definitiva vale la sola pattuizione e la possibilità che in futuro essa possa applicarsi.

Del resto, senza la pattuizione di questa, così come delle altre condizioni contrattuali promesse e convenute, la banca non avrebbe concesso il finanziamento e pertanto esse esprimono condizioni contrattuali accettate dalle parti in funzione dell’erogazione del finanziamento. Inoltre la S.C. ritiene non applicabile la “fantomatica” maggiorazione del 2,1% sul tasso di mora, a fronte di una rilevazione meramente statistica e datata della Banca d’Italia.

Anche con detta Ordinanza, così come con la pronuncia a raffronto (sentenza n. 17447/19)  la Corte ritiene, in caso di superamento della mora sul tasso soglia, l’applicazione del tasso legale in sostituzione di quello moratorio.

Nulla dice a proposito del tasso corrispettivo, ovvero se lo stesso rimanga valido o venga anch’esso travolto dall’effetto sanzionatorio dell’art. 1815, comma 2, c.c., poiché non oggetto di impugnazione, sebbene la Corte territoriale si fosse pronunciata sull’applicazione dell’interesse corrispettivo in caso di mora oltre soglia.

Ciò nonostante, la S. Corte ha affrontato la questione osservando che  sembrerebbe sostenibile, in caso di superamento del tasso soglia,  la tesi dell’applicazione dell’art.1815, comma 2, c.c. ai soli  interessi corrispettivi.

Tutto quanto precede conferma le attuali oscillazioni della giurisprudenza di legittimità, con inevitabili conseguenze presso i Giudici di merito in punto di certezza del diritto, auspicandosi pertanto un intervento a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che possa dirimere in maniera finalmente chiara e definitiva le oscillazioni giurisprudenziali fin qui esaminate, nel rispetto della vigente normativa antiusura.

Allegato:

Cassazione civile sentenza n.17447/2019

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