Con l'ordinanza n. 23184 del 23 ottobre 2020 la Corte di Cassazione chiarisce che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, richiesto dell'ordine di demolizione della costruzione, ne ordini il semplice arretramento, essendo la decisione contenuta nei limiti della più ampia domanda di parte.
Il caso: A.G., nella qualità di tutore del padre, G.A. conveniva avanti al tribunale P.B. e M.C., chiedendone la condanna all'eliminazione di una sopraelevazione dalle medesime realizzata per violazione della servitù di veduta in favore di G.A. , che era stata oggetto di specifica convenzione con atto del 10.3.1952.
La Corte d'appello di Firenze confermava la sentenza di primo grado, che aveva disposto l'eliminazione dell'intera sopraelevazione.
P.B. e M.C. ricorrono in Cassazione, deducendo, tra i vari motivi, la violazione e falsa applicazione dell'art.907 c.c., dell'art.2697 c.c. e dell'art.612 c.p.c., in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c., in quanto la corte di merito avrebbe disposto la demolizione e non l'arretramento della sopraelevazione, sull'erroneo presupposto dell'assenza di indicazione, da parte dell'appellante delle concrete modalità di realizzazione dell'arretramento, mentre dette modalità sarebbero demandate al giudice dell'esecuzione.
Per la Corte la doglianza è fondata: sul punto rileva che:
a) non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, richiesto dell'ordine di demolizione della costruzione, ne ordini il semplice arretramento, essendo la decisione contenuta nei limiti della più ampia domanda di parte;
c) nel caso in esame, la corte distrettuale non si è conformata ai suindicati principi di diritto e, nonostante i ricorrenti, appellanti nel giudizio di secondo grado, avessero prospettato la possibilità di arretrare la costruzione in alternativa alla demolizione, ha disatteso la richiesta per mancata indicazione delle modalità di esecuzione.