Sezioni Unite: negata la risarcibilità iure hereditatis del danno tanatologico

Sezioni Unite: negata la risarcibilità iure hereditatis del danno tanatologico

Le Sezioni Unite confermano l'orientamento giurisuprudenziale che esclude la risarcibilità del danno iure hereditatis in favore degli eredi nel caso in cui la morte del congiunto subentri immediatamente all'evento lesivo.

Giovedi 30 Luglio 2015

Con la sentenza n. 15350 del 22/07/2015 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione pongono la parola “fine” al contrasto giurisprudenziale relativo alla risarcibilità o meno iure hereditatis del danno consistente nella morte subito da un individuo immediatamente dopo aver riportato delle lesioni gravissime a seguito di incidente stradale.

Senza voler ripercorrere l'iter giurisprudenziale che ha condotto a tale decisione, merita in questa sede segnalare e riportare le argomentazioni più significative che hanno condotto la Suprema Corte ad escludere tale risarcibilità.

In primo grado i genitori e sorelle di M. citano in giudizio L. e la Compagnia di assicurazioni chiedendo la condanna di entrambi al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla morte del congiunto avvenuta a causa della collisione frontale tra l'auto condotta da M. e l'auto condotta da L, assumendo che l'incidente era avvenuto per esclusiva responsabilità di L. che aveva effettuato la svolta a sinistra per immettersi in un'area privata senza concedere la dovuta precedenza all'auto che marciava in senso opposto, che non aveva potuto evitare l'urto.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello, per quel che qui interessa, rigettano la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali futuri e del danno biologico iure hereditatis in quanto, secondo i giudici di primo e secondo grado, in conformità con l'orientamento della Corte di Cassazione, gli eredi possono chiedere solo il riconoscimento, pro quota, dei diritti entrati nel patrimonio del de cuius, e quindi, nel caso di morte che si verifica immediatamente o a breve distanza di tempo dalla lesione, possono ottenere solo il risarcimento del danno per lesione del diritto alla salute della vittima, ma non quello per la lesione del diverso bene giuridico della vita, che, per il definitivo contestuale venir meno del soggetto, non entra nel suo patrimonio e può ricevere tutela solo in sede penale.

I familiari della vittima propongono ricorso per Cassazione, osservando, in merito alla negata risarcibilità del danno biologico iure hereditatis nel caso di morte del congiunto seguita immediatamente dopo la lesione subita a causa dello scontro, che non è da condividere la netta distinzione fra il bene della salute e il bene della vita: emerge quindi una contraddizione tra l'ammissione del risarcimento a favore degli eredi per il danno meno grave derivante dalla perdita della salute e la negazione di tale risarcimento per il danno ben più grave derivante dalla perdita della vita dalla quale, indipendentemente dal venir meno del soggetto, non può che derivare un danno risarcibile.

D'altra parte, si evidenzia nel ricorso, tra la lesione e la morte esisterebbe sempre un sia pur impercettibile spazio temporale e quindi non esisterebbe giustificazione logica tra ammettere il risarcimento nel caso in cui tale spazio è ampio e negarlo quando è minimo.

Del resto, la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014 ha ammesso la risarcibilità, iure hereditatis, del danno derivante da perdita della vita verificatasi immediatamente dopo le lesioni riportate in un incidente stradale: da qui il contrasto con il precedente contrario e costante orientamento, risalente alla sentenza delle sezioni unite n. 3475 del 1925 e che ha anche trovato conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994.

Con la presente sentenza le Sezioni Unite ribadiscono i seguenti principi:

a) Nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue è rappresentato dalla perdita del bene giuridico "vita" che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente.

La morte, quindi, non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene "salute", pregiudicato dalla lesione dalla quale sia derivata la morte, diverse essendo, ovviamente, le perdite di natura patrimoniale o non patrimoniale che dalla morte possono derivare ai congiunti della vittima, in quanto tali e non in quanto eredi.

b) Poiché una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l'irrisarcibilità deriva dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo.

c) Secondo le Sezioni Unite, peraltro, non è condivisibile quanto affermato nella sentenza n. 1361 del 2014 e cioè che il credito risarcitorio del danno da perdita della vita si acquisirebbe istantaneamente al momento dell'evento lesivo che, salvo rare eccezioni, precede sempre cronologicamente la morte cerebrale, ponendosi come eccezione al principio della risarcibilità dei soli "danni conseguenza".

Ma, a parte che tale eccezione sarebbe difficilmente conciliabile con lo stesso sistema della responsabilità civile, fondato sulla necessità ai fini risarcitori del verificarsi di una perdita rapportabile a un soggetto, l'anticipazione del momento di nascita del credito risarcitorio al momento della lesione verrebbe a mettere nel nulla la distinzione tra il "bene salute" e il "bene vita" sulla quale concordano sia la prevalente dottrina che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità.

Da ciò discende quindi, per il massimo Consesso della Suprema Corte, la non invocabilità di un diritto al risarcimento dei danno iure hereditatis in caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni.

Significativa e terribile nella sua crudezza l'affermazione di Epicuro, contenuta nella “Lettera sulla felicità a Meneceo”, rievocata dalla stessa Corte nella sentenza: “Quindi il più temibile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte non ci siamo più noi. La morte quindi è nulla, per i vivi come per i morti: perché per i vivi essa non c'è ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci”.

Leggi il testo della sentenza n. 15350

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