La Corte di Cassazione nella sentenza n. 28220 del 4 novembre 2019 torna ad pronunciarsi sulla risarcibilità del danno non patrimoniale ai congiunti per il peggioramento delle condizioni di vita nell'assistere il parente vittima di lesioni.
Mercoledi 6 Novembre 2019 |
Il caso: V.G. il marito A.T. e i figli R e B. T. convenivano in giudizio una clinica e il medico, prof. F.B., chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata diagnosi di un'endocardite infettiva; gli attori deducevano che:
- la tardiva diagnosi aveva comportato un progressivo peggioramento delle condizioni di salute della paziente, con necessità di numerosi ricoveri ospedalieri;
- la G. aveva avuto bisogno di assistenza costante, sia domiciliare che presso le strutture sanitarie in cui era stata ricoverata, e che all'inabilità temporanea (protrattasi per tredici mesi) era residuata una invalidità permanente del 50%;
- la malattia e l'invalidità della congiunta avevano determinato un gravissimo turbamento e un mutamento delle abitudini di vita di tutta la famiglia.
In corso di causa decedeva V.G.
Il Tribunale di Roma accertava la responsabilità del medico e quella della struttura ospedaliera e accoglieva la domanda svolta iure hereditatis, liquidando un importo di poco superiore a 50.000,00 euro; respingeva invece, le domande proposte dai T. iure proprio; la Corte di Appello di Roma, confermato l'accertamento di responsabilità, riconosceva agli attori l'ulteriore risarcimento di euro 3.772,20 a titolo di rimborso di spese mediche, rigettando -per il resto- le loro richieste.
Per i giudici di appello la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale richiesto dal marito e dai figli della G. - in ragione dello sconvolgimento delle loro abitudini di vita conseguente alla necessità di assistere la congiunta sia durante la malattia che nel periodo successivo - doveva essere rigettata, in quanto
- il prospettato grave stato di salute, che avrebbe reso la donna del tutto dipendente dai familiari, non era compatibile con i postumi accertati dal ctu;
- in ogni caso, si trattava di un'assistenza familiare, per quanto faticosa sul piano psicologico, evidentemente condivisa ed avvenuta principalmente durante i ricoveri ospedalieri.
Gli attori ricorrono in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. in relazione agli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione e dell'art. 360, comma 1, n. 5, e l'erroneità del ragionamento seguito dalla Corte territoriale.
La Cassazione, nel ritenere fondato il motivo, precisa quanto segue:
a) il risarcimento del danno non patrimoniale può spettare anche ai prossimi congiunti della vittima di lesioni personali invalidanti, «non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso”;
b) è pacifico, altresì, che la prova del danno non patrimoniale, patito dai prossimi congiunti di persona resa invalida dall'altrui illecito, può essere desunta anche soltanto dalla gravità delle lesioni, sempre che l'esistenza del danno non patrimoniale sia stata debitamente allegata nell'atto introduttivo del giudizio;
c) la Corte di merito ha errato quando ha escluso il danno patito dai congiunti per il fatto che la G. non fosse risultata «del tutto dipendente dai familiari» e quando ha mostrato di ritenere che, per il fatto di rivestire natura "familiare", l'assistenza prestata non giustificasse il risarcimento del danno:
d) al contrario, anche un'invalidità parzialmente invalidante può comportare, oltre al dolore per la menomazione del congiunto, anche la necessità di un impegno di assistenza (e, quindi, un apprezzabile mutamento peggiorativo delle abitudini di vita di chi la presti) a carico degli stretti congiunti;
e) peraltro, la circostanza che l'assistenza sia motivata da vincoli di affetto e solidarietà propri dei rapporti familiari non vale ad escludere che il congiunto non subisca concreto pregiudizio per la necessità di adattare la propria vita alle sopravvenute esigenze del familiare menomato;
f) in definitiva, il familiare di una persona lesa dall'altrui condotta illecita può subire uno stato di sofferenza soggettiva e un necessitato mutamento peggiorativo delle abitudini di vita (incidente sul profilo dinamico della propria esistenza);
g) entrambi i pregiudizi debbono essere risarciti, laddove rivestano i caratteri della serietà del danno e della gravità della lesione, senza che possano valere ad escludere la sussistenza del pregiudizio la circostanza che l'invalidità del congiunto non sia totale o il fatto che l'assistenza possa essere stata ripartita fra più familiari.
Esito: accoglimento
Cassazione civile sentenza n.28220/2019