L’art. 353 bis c.p. stabilisce che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032”.
Mercoledi 2 Febbraio 2022 |
Il reato previsto dall’art. 353 bis c.p., introdotto dall’art. 10 della l. 13 agosto 2010, n. 136, costituisce una fattispecie residuale, applicabile, in virtù dell’espressa clausola di riserva con cui si apre la norma, solo nelle ipotesi in cui il fatto non costituisca un reato più grave.
La collocazione sistematica della nuova fattispecie penale e la sua lettura organica insieme con le altre due disposizioni (artt. 353 e 354 c.p.) che la precedono, rendono evidente che, attraverso l’art. 353 bis, il legislatore ha inteso evitare ogni vuoto di tutela, incriminando anche quei tentativi di condizionamento «a monte» degli appalti pubblici che risultino, ex post, idonei ad alterare l’esito delle relative procedure.
Di conseguenza, l’illecita interferenza nel procedimento amministrativo, finalizzata a condizionare la modalità di scelta del contraente (ad esempio, mediante la «personalizzazione» dei requisiti prescritti), determina, già di per sé sola, l’applicazione delle sanzioni penali (Così G. LATTANZI, E. LUPO, Codice penale: rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Volume VII, (a cura di) M. CASSANO, Giuffrè, 2010, p. 811).
Si tratta di un reato a forma vincolata, nel senso che esso può essere commesso soltanto in uno dei modi tassativamente indicati nella norma, ossia mediante violenza, minaccia, doni, promesse, collusioni.
In alternativa alle condotte tipiche sopradescritte, la norma indica, quale condotta residuale e di chiusura, gli «altri mezzi fraudolenti».
Con tale locuzione deve intendersi qualsiasi attività ingannevole idonea a determinare anomalie procedurali nella definizione del bando (o di un altro atto equipollente) in modo da influire sulle modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione.
Differenze tra il reato di cui all’art. 353 bis c.p. e il reato di cui all’art. 353 c.p.
Il delitto previsto dall’art. 353 bis c.p. costituisce una fattispecie residuale, applicabile, in virtù dell’espressa clausola di riserva presente nell’incipit della norma, solo nelle ipotesi in cui il fatto non costituisca un diverso reato.
Con l’introduzione della fattispecie incriminatrice in parola, il legislatore ha inteso anticipare la tutela penale alle fasi iniziali del procedimento amministrativo, propedeutico alla individuazione dei contenuti del bando (odi un altro atto equipollente), in guisa da garantire che la scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione avvenga all’esito di una gara ispirata a principi di legalità e di trasparenza.
In proposito, è stato affermato che il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, previsto dall’art. 353 bis c.p., è un reato di pericolo, posto a tutela dell’interesse della Pubblica Amministrazione di poter contrarre con il miglior offerente, per il cui perfezionamento è necessario che sia posta concretamente in pericolo la correttezza della procedura di predisposizione del bando di gara, ma non anche che il contenuto di detto provvedimento venga effettivamente modificato in modo tale da condizionare la scelta del contraente (Cfr. Cass., Sez. VI, sentenza n. 29267 del 26 giugno 2018).