L’istituto della inutilizzabilità di cui all’art. 191 c.p.p. non può essere applicato per ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa. In tal caso, anche una prova inutilizzabile deve essere valutata dal giudice ai fini di un eventuale proscioglimento dell’incolpato.
Giovedi 13 Aprile 2017 |
Può il giudice pervenire ad una sentenza di proscioglimento dell’accusato se l’unica prova dell’innocenza è stata acquisita in spregio ad espresse proibizioni di legge?
L’art. 191 cpp – in base al quale le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate – sembra non lasciare spazio ad interpretazioni diverse da quella letterale. Quindi, per esempio, stando alla norma, se da un’intercettazione inutilizzabile o da un atto di indagine compiuto dopo la scadenza dei termini, emergesse la completa estraneità dell’imputato, rispetto ad una serie di fondati indizi relativi alla sua colpevolezza, il giudicante dovrebbe escludere dal suo vaglio decisionale l’unico elemento in grado di garantire una prognosi assolutoria e condannare l’incolpato pur sapendolo innocente.
Si pensi ancora al caso di violazione dell’art. 64 comma 3 lett. a) cpp, norma che prevede che prevede una serie gli avvisi a favore dell’incolpato prima che si proceda al suo interrogatorio. In mancanza degli avvertimenti il giudice dovrebbe dichiarare inutilizzabili le dichiarazioni anche se contengono elementi favorevoli alla tesi difensiva: una sorta di aberrazione che già mezzo secolo fa Franco Cordero deprecava a conclusione di un suo celebre saggio, ove sosteneva che l’accertamento dell’innocenza è una posta troppo importante per essere sacrificata agli idoli della procedura.
Non mancano, in un’ottica garantista, diversi e condivisibili orientamenti tesi ad aprire il varco nei rigidi canoni del principio di legalità della prova: l’inutilizzabilità cede il passo ai principi costituzionali di rango superiore e la prova acquisita irritualmente acquista la dignità delle altre quando è strumentale all’accertamento dell’innocenza.
La stessa Corte Costituzionale nella sentenza n.1/2013, in effetti, dopo aver sancito l’inutilizzabilità delle captazioni telefoniche effettuate nei confronti del Capo dello Stato ritiene che “tuttavia l’Autorità Giudiziaria dovrà tenere conto della eventuale esigenza di evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi: tutela della vita e della libertà personale e salvaguardia dell’integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica (art. 90 Cost.). In tali estreme ipotesi, la stessa Autorità adotterà le iniziative consentite dall’ordinamento”.
L’illuminante suggerimento della Consulta sembra propendere appunto per una attività valutativa e di vaglio delle intercettazioni illegittime che il giudicante deve effettuare prima di procedere alla distruzione delle stesse. Valutazione, questa, che dovrebbe tener conto in maniera garantistica dell’utilità per l’imputato, o per terzi, dei contenuti favorevoli contenuti nella prova da eliminare.
Già la Consulta con la sent. n. 34 del 1973, in tema di inutilizzabilità della prova penale, sembra aver circoscritto l’operatività dell’istituto alle sole acquisizioni contra reum affermando che «le attività compiute in dispregio dei diritti inviolabili del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione e a fondamento di atti processuali, posti a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito».
Tali posizioni trovano conferma nella sentenza della Cass. Pen. sez IV, n. 11027 del 26.11.1996 che ha sancito il principio di utilizzabilità pro reo delle prove illegalmente formate: l’istituto della inutilizzabilità di cui all’art. 191 c.p.p. è posto a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove illegittimamente acquisite contro divieti di legge, quindi in danno del giudicabile, vale a dire come prove a carico. Tale istituto, pertanto, in tutte le sue articolazioni (una delle quali è rappresentata dall’ipotesi prevista dall’art. 195 comma 1 c.p.p.) non può essere applicato per ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa che, invece, deve essere considerato e discusso secondo i canoni logico razionali propri alla funzione giurisdizionale.
Di certo, le suddette aperture giurisprudenziali potranno mostrare il fianco a situazioni in cui la prova illegale, acquisita o acquisibile, a sostegno dell’innocenza dell’accusato può avere fragile consistenza probatoria. Si pensi, ad esempio, all’art. 188 c.p.p. che vieta, in sede di assunzione della prova, l’utilizzazione di qualsiasi strumento idoneo a comprimere la capacità di autodeterminazione della persona sottoposta ad esame (ipnosi, la somministrazione del c.d. siero della verità, i c.d. lie detectors etc.). In tali casi, sarà il giudice attraverso la motivazione della sentenza ad illustrare l’itinerario logico seguito nella valutazione delle prove raccolte. Può pertanto concludersi che in linea di principio una prova irritualmente formata è ammissibile ed utilizzabile nel caso in cui da questa emergono argomentazioni favorevoli all’imputato. Il giudice poi valuterà, di caso in caso, il giusto peso da conferire al materiale. Acquisito.
In pratica, per dirla alla Cordero, ci si troverà di fronte ad una felice disobbedienza del giudice, ovvero, si potrà buttar via il bambino con l’acqua sporca solo quando ciò che si getta via non contenga tracce d’innocenza.