Com’è noto, al verificarsi di alcuni eventi il processo civile si interrompe. Tali eventi, elencati negli artt. 299, 300 e 301 del codice di procedura civile, sono la morte o la perdita della capacità della parte di stare in giudizio prima della costituzione per interdizione, inabilitazione o fallimento, la morte o la perdita della capacità della parte costituita o del contumace, la morte o altro impedimento del procuratore (radiazione dall’albo o sospensione del procuratore).
Lunedi 20 Gennaio 2020 |
Secondo quando disposto dall’art. 305 c.p.c., una volta intervenuta l’interruzione del processo, al fine di evitare che venga dichiarata la sua estinzione, la parte che ne abbia interesse deve procedere alla riassunzione entro il termine perentorio di tre mesi dall’interruzione.
Che succede se entro il suddetto termine viene depositato il ricorso in riassunzione e la successiva notifica del ricorso unitamente al decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti hanno esito negativo o addirittura il ricorrente in riassunzione non proceda alla notifica nei confronti di alcune parti del processo interrotto? Il processo si estingue?
A questa domanda ha fornito, di recente, risposta negativa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 450/2020, pubblicata il 14 gennaio 2020.
IL CASO: La vicenda nasce dall’opposizione promossa avverso un decreto ingiuntivo ottenuto da un’associazione professionale nei confronti di un ex cliente per il pagamento dei compensi dovuti per l’attività professionale svolta in suo favore.
Il giudizio veniva interrotto e riassunto due volte: la prima volta per l’intervenuto decesso di uno dei due avvocati dello studio professionale e la seconda volta per il decesso di uno degli eredi del legale in precedenza deceduto.
Nella seconda riassunzione, il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza venivano notificati solo ad alcuni degli eredi della parte deceduta.
Pertanto, lo Studio Professionale opposto eccepiva l’estinzione del giudizio, ma il Tribunale rigettava l’eccezione disponendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi ai quali non era stata notificata la riassunzione.
All’esito del giudizio, il Tribunale accoglieva l’opposizione con conseguente revoca del decreto ingiuntivo e condanna degli opposti alla restituzione in favore dell’originario ingiunto delle somme versate in esecuzione del suddetto decreto.
In sede di gravame interposto dall’originario creditore, la Corte di Appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado con condanna degli eredi dei creditori originali alla restituzione delle somme incassate nei limiti della quota ereditaria a loro spettante.
Quindi, i giudici di appello confermavano il rigetto dell’eccezione di estinzione del giudizio formulato dagli opposti, ritenendo che il ricorso in riassunzione era stato tempestivamente depositato nei termini di legge e nessuna rilevanza assumeva, ai fini della tempestività della riassunzione, la circostanza dell’omessa notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza a tutti gli eredi.
La vertenza è così giunta in Cassazione, che si è pronunciata sul ricorso proposto dagli originari creditori i quali deducevano, fra l’altro, l’erroneità della decisione della Corte di Appello nella parte in cui era stata rigettata l’eccezione di estinzione del giudizio da loro formulata per effetto della mancata notifica della riassunzione ad alcuni degli eredi che erano litisconsorzi necessari.
LA DECISIONE: Con la sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno ritenuto il motivo del ricorso infondato e nel rigettarlo hanno:
ribadito il consolidato principio affermato dalla stessa giurisprudenza della Cassazione secondo il quale ai fini del rispetto del termine dei tre mesi dall’interruzione del processo è sufficiente il deposito del ricorso in Cancelleria;
il tempestivo deposito del ricorso entro il suddetto termine comporta che questi non gioca più alcun ruolo, in quanto la fissazione da parte del giudice di un ulteriore termine per la notifica alle parti, che ha lo scopo di garantire il corretto ripristino del contradditorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della “vocatio in ius”;
di conseguenza, non si comunica alla riassunzione l’eventuale vizio della notifica del ricorso per riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza, anzi in questi casi il giudice deve ordinare, anche se è già decorso il termine dei tre mesi dall’interruzione, la rinnovazione della notifica, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c. con la concessione di un nuovo termine;
essendo tale ultimo termine perentorio, il mancato rispetto dello stesso comporterà la dichiarazione di estinzione del giudizio così come previsto dal combinato disposto dal suindicato art. 291 c.p.c., comma 3 e dell’art. 307 c.p.c., comma 3.
Cassazione civile sentenza n. 450/2020