Con la sentenza n. 29327 del 13/11/2019 la Corte di Cassazione si pronuncia sulla questione se la curatela del fallimento abbia la legittimazione per proseguire un giudizio di opposizione al precetto iniziato dalla società poi fallita.
Venerdi 15 Novembre 2019 |
Il caso: Una banca intimava alla A.C. s.r.I., con vincolo di solidarietà nei confronti dei due soci, il pagamento della somma complessiva di euro 6.222.036,50 oltre interessi al tasso convenzionale e spese successive.
Avverso l'atto di precetto la A.C. s.r.l. proponeva opposizione, ai sensi dell'art. 615, primo comma, cod. proc. civ., innanzi al Tribunale, chiedendo che fosse dichiarata l'illegittimità dell'atto, in quanto il credito era stato transatto e interamente pagato.
Il Tribunale rigettava la domanda principale proposta dagli opponenti e riduceva l'importo del precetto alla somma indicata dalla creditrice.
La A.C. s.r.l. appellava la decisione: nel corso del giudizio di appello interveniva la dichiarazione di fallimento della A.C. s.r.l. e pertanto la curatela riassumeva il giudizio, insistendo nelle domande già presentate dalla società in bonis.
La Corte d'appello, riformando la decisione di primo grado, dichiarava l'inefficacia del precetto e compensava interamente le spese dei due gradi di giudizio.
La banca propone ricorso in Cassazione, lamentando che la Corte d'appello erroneamente aveva omesso di esaminare l'eccezione preliminare di improseguibilità della domanda a seguito della intervenuta dichiarazione di fallimento della A.C. s.r.I.: infatti, poiché la banca, per il medesimo credito, era stata ammessa al passivo fallimentare, la curatela non poteva proseguire la domanda di accertamento negativo della esistenza del proprio debito proposta dalla società in bonis.
La Suprema Corte accoglie il ricorso, rilevando che:
sul punto vige il principio di intangibilità dello stato passivo fallimentare non impugnato, in ragione del quale agli organi della procedura non è consentito di far valere la revocabilità o l'inopponibilità alla massa di crediti già ivi ammessi definitivamente con mezzi diversi dagli specifici rimedi previsti dalla legge fallimentare
essendo l'opposizione a precetto un giudizio di accertamento negativo, quando il debitore opponente è una curatela fallimentare, essa si configura come un rimedio volto a contestare l'esistenza dell'esposizione debitoria in una sede diversa da quella endofallimentare;
di conseguenza, la Corte d'appello avrebbe dovuto dichiarare l'improseguibilità della domanda riassunta dalla curatela, in quanto volta a recuperare, in violazione della vis actrattiva della competenza del tribunale fallimentare, ragioni di contestazione circa l'esistenza del credito che non erano state fatte valere - o che comunque erano state disattese - in sede di verifica dello stato passivo.
La Corte quindi enuncia il seguente principio di diritto: "Il giudizio di opposizione a precetto, ai sensi dell'art. 615, primo comma, cod. proc. civ., non può essere proseguito, successivamente alla dichiarazione di fallimento del debitore opponente, dalla curatela fallimentare, in quanto, trattandosi di una causa di accertamento negativo dell'esistenza del credito di cui è stato intimato il pagamento, resta attratta nella competenza del tribunale fallimentare stabilita dall'art. 52, secondo comma, I.fall., secondo cui ogni credito deve essere accertato secondo le norme stabilite per la verifica dello stato passivo".
Cassazione civile sentenza n.29327/2019