Con la sentenza n. 22047/2020, pubblicata il 13 ottobre 2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla sussistenza o meno dell’interesse dell’opponente al decreto ingiuntivo a riassumere il giudizio nel caso in cui lo stesso venga interrotto a seguito della sua dichiarazione di fallimento e sulla sua capacità processuale alla riassunzione.
Mercoledi 2 Dicembre 2020 |
IL CASO: Dopo aver proposto opposizione ad un decreto ingiuntivo, la società opponente veniva dichiarata fallita e, pertanto, il giudizio veniva interrotto.
Quest’ultima, deducendo di avere interesse alla definizione del procedimento, al fine di evitare che il decreto ingiuntivo opposto divenisse definitivo e potesse essere azionato come titolo esecutivo per l’esecuzione, una volta che l’opponente fosse tornata in bonis, procedeva alla riassunzione del giudizio.
Nel costituirsi in tale giudizio, il creditore opposto eccepiva la carenza di interesse alla riassunzione da parte dell’opponente deducendo di aver depositato istanza di ammissione al passivo nel fallimento e che il credito era stato ammesso al passivo senza nessuna opposizione da parte del curatore.
Sia il Tribunale che la Corte di Appello, ritenendo fondata l’eccezione del creditore opposto, dichiaravano l’inammissibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo.
Pertanto, la società fallita, rimasta soccombente in entrambi i gradi di giudizio, interponeva ricorso per cassazione, deducendo, fra l’altro, l’errata interpretazione o applicazione dell’art. 43 della legge fallimentare da parte della Corte di Appello, osservando che con il fallimento la perdita della capacità processuale riguarda i soli rapporti patrimoniali compresi nel fallimento e che era suo preciso interesse affinchè il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo venisse definito al fine di evitare che ai sensi dell’art. 653 c.p.c. l’ingiunzione diventasse definitivamente esecutiva consentendo, così, al creditore di azionarla una volta che la società fallita fosse tornata in bonis. Inoltre, secondo la società fallita, la perdita della capacità processuale del fallito poteva essere eccepita solo dalla curatela fallimentare, salvo che quest’ultima avesse fornito prova circa il suo interesse al rapporto oggetto della lite, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.
LA DECISIONE: Il motivo del ricorso è stato ritenuto fondato dalla Cassazione la quale lo ha accolto con rinvio ad alla Corte di Appello in altra composizione, applicando il principio secondo cui “in caso di interruzione, per intervenuto fallimento, del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il detto decreto rimane inopponibile alla massa, ed è interesse (e onere) del debitore riassumere il processo nei confronti del creditore ingiungente per evitare che l’effetto della definitiva esecutorietà del decreto, conseguente alla mancata o intempestiva riassunzione, si verifichi nei confronti di esso debitore e gli possa essere opposto quando tornerà in bonis”.
In altri termini, secondo i giudici di legittimità, nessuna preclusione sussiste circa la legittimità della riassunzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo da parte del debitore ingiunto al fine di impedire che esso si estingua ex art. 305 c.p.c. e che il decreto ingiuntivo acquisti, di conseguenza definitiva efficacia esecutiva, a norma dell’art. 653 c.p.c., comma 1. Infatti, al fine di impedire che il decreto, pur essendo non opponibile al fallimento, possa dopo la chiusura della procedura fallimentare essere azionato nei suoi confronti quale titolo esecutivo nel caso in cui il credito non abbia trovato, in tutto o in parte soddisfacimento in sede fallimentare, al debitore deve essere riconosciuto il potere processuale di far si che lo stesso non diventi definitivo.
Diversamente, secondo gli Ermellini, si verificherebbe un intollerabile violazione del diritto di difesa del debitore opponente, che ridonderebbe anche sul piano della tenuta costituzionale del sistema.