Offese su WhatsApp: diffamazione e non ingiuria.

Offese su WhatsApp: diffamazione e non ingiuria.

Integra il delitto di diffamazione e non di ingiuria aggravata dalla presenza di piu' persone, la condotta di chi pronunzi espressioni offensive mediante comunicazioni dirette alla persona offesa attraverso messaggi rivolti a un gruppo WhatsApp.

Lunedi 24 Luglio 2023

In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 27540/2023.

Il caso:  Il Tribunale dichiarava Tizio responsabile dei reati di cui agli articoli 81, 595, primo e comma 3, 660 c.p., per aver offeso la reputazione di Caio (capo a), e dei reati di cui agli articoli 81, 595, comma 1, 660 c.p., per aver offeso la reputazione di Mevio (capo b); la Corte d'Appello dichiarava non doversi procedere per il reato di cui all'articolo 660 c.p. perche' estinto per prescrizione, rideterminando la pena in mesi sette di reclusione, e confermava nel resto la decisione di primo grado anche con riguardo alla condanna al risarcimento a favore delle parti civili.

Tizio, tramite il proprio difensore, ricorre in Cassazione, deducendo, per quel che qui interessa:

  • errata applicazione della legge penale, per avere la Corte territoriale ritenuto integrato il reato di diffamazione, anziche' quello di ingiuria, trascurando come, nel caso di specie, visto il mezzo di propagazione (social network WhatsApp, utilizzato con riferimento al gruppo denominato Delta) dell'offesa, si fosse instaurato quel rapporto diretto tra offensore e offeso, che avrebbe consentito a quest'ultimo di interloquire in via immediata con l'offensore, a scopo difensivo;

  • Pertanto, posto che il contestato reato di diffamazione doveva essere riqualificato ai sensi dell'articolo 594 c.p., e posto anche che il reato di ingiuria e' ormai depenalizzato, il ricorrente invoca l'assoluzione perche' il fatto non e' piu' previsto come reato.

Per la Cassazione la censura è infondata:

1) riguardo all'elemento distintivo tra il delitto di ingiuria e quello di diffamazione, si è affermato che  soltanto il requisito della contestualita' tra comunicazione dell'offesa e recepimento della stessa da parte dell'offeso vale a configurare l'ipotesi dell'ingiuria;

2) in difetto di tale immediatezza, l'offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con piu' persone e non e' posto in condizione di interloquire con l'offensore: nel qual caso, si profila la diversa ipotesi della diffamazione;

3) si e' pertanto ritenuto integrato il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di piu' persone, nel caso di invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una "chat" condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell'immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito;

4) nel caso in esame, trattandosi di comunicazione attraverso messaggi rivolti a un gruppo WhatsApp, viene a mancare il requisito dell'immediatezza della comunicazione, erroneamente invocato dal ricorrente;

5) la Corte territoriale ha quindi operato buon governo dei suddetti orientamenti giurisprudenziali, evidenziando la modalita' temporalmente asincrona con cui i diversi componenti di un gruppo WhatsApp possono accedere alla lettura dei messaggi, a dispetto della definizione di tale forma di comunicazione come messaggistica istantanea: tale aggettivo attiene, infatti, all'ordinaria trasmissione immediata del messaggio ma non implica affatto la contestuale ricezione, che dipende da numerosi, variabili fattori (il telefono potrebbe essere spento, potrebbe non essere collegato alla rete etc.).

Allegato:

Cassazione penale sentenza 27540 2023

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