Se volessimo sintetizzare i contenuti della Giustizia Riparativa, introdotta dal Legislatore con il D.lgs 150/2022,essa ha previsto,da una parte,l’inserimento,nell’ambito della “disciplina organica della giustizia riparativa”,le norme contenute nel titolo IV del Decreto agli artt. da 42 a 67,e, dall’altra, alcune disposizioni di carattere “processuale”. che definiscono molteplici aspetti della giustizia ripartiva,dal momento iniziale segnato dall’avvio dei programmi presso appositi Centri,che verranno istituiti a livello locale,fino al momento conclusivo che si concretizza nel raggiungi mento di un esito ripartivo e nei provvedimenti conseguenziali del Giudice sulla base di un obbligo di informazione delle parti..
Lunedi 2 Settembre 2024 |
Tale obbligo traspare, ad es., dal nuovo testo dell’art.152 c.p.,così come riformato dall’art.1,comma 1, lett. h del D.lgs.150/2022 che ha introdotto nel terzo comma due nuove ipotesi di remissione tacita della querela,in linea con le nuove modalità definitorie del giudizio:
1) quando il querelante, senza giustificato motivo, non compare all’udienza alla quale è stato citato in qualità di testimone;
2) quando il querelante ha partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo.
Tuttavia, qualora l’esito riparativo comporti l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali,la querela si intende rimessa solo quando gli impegni siano stati rispettati.
Inoltre, è stato inserito un nuovo art 90 bis. che ribadisce la disposizione di cui al primo comma dell’art.90 bis in relazione alla figura della “vittima del reato”, così come definita dal d.lgs. 150/2022 che recita:
«La vittima del reato di cui all'articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo citato, attuativo della legge delega n 134/2021, sin dal primo contatto con l’autorità procedente, viene informata in una lingua a lei comprensibile della facoltà di svolgere un programma di giustizia riparativa».
Si tratta,in definitiva,di un obbligo e non di una facoltà per l’avvio del procedimento ad esso connesso.
Sul fronte “opposto” della «persona indicata come autore dell’offesa»,l’informativa iniziale sui programmi di giustizia riparativa è sancita dal comma 1 ter dell’art.360 CPP,ai sensi del quale «Il Pubblico Ministero avvisa la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa che hanno facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa».
Anche in questo caso un soggetto del procedimento che potrebbe aver interesse allo svolgimento di un programma di giustizia riparativa riceve l’informazione circa la facoltà di accesso a tale programma sin dal primo momento in cui viene a contatto con l’Autorità procedente,ossia nel momento in cui acquisisce consapevolezza fatto di essere sottoposto ad indagini penali.
Il diritto delle parti ad essere informate
In entrambi i casi,il diritto di informazione sulla possibilità di accedere alla Giustizia Riparativa si concreta in un AVVISO che dà luogo al procedimento da avviare dinanzi ai Centri con l’ausilio di uno o più Mediatori Penali appositamente formati a tale scopo.
Ciò posto,l’importante questione procedurale è divenuta oggetto di discussione alla luce degli opposti orientamenti della Cassazione.
Va osservato,innanzitutto,che, in base a quanto sancito dall’art. 44, comma 2, del D.lgs. 150/2022, ai programmi di Giustizia Riparativa «si può accedere in ogni stato e grado del procedimento penale,nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse e all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere,per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell’art.344 bis del codice di rito o per intervenuta causa estintiva del reato».
Il successivo terzo comma dello stesso art. 44 estende il di ritto di accesso anche alla fase precedente alla proposizione della querela nei delitti la cui procedibilità è sottoposta a tale condizione.
Altri obblighi informativi circa la facoltà di accesso ai programmi di giustizia riparativa, inoltre,sono previsti da altre norme del codice di rito,
1) nell’art. 415 bis,che disciplina il contenuto dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari;
2) nell’art. 419,concernente gli atti introduttivi dell’udienza preliminare, che ha per oggetto la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare e le comunicazioni in esso contenute;
3) nell’art. 429, che descrive il contenuto del decreto che dispone il giudizio;
4) nell’art. 552, che disciplina il contenuto del decreto di citazione di retta a giudizio;
5) nell’art.601 , che disciplina il decreto di citazione per il giudizio in appello;
5) nell’art. 656., concernente l’esecuzione delle pene detentive.
Tuttavia, tali norme, appaiono del tutto inconferenti fino al raggiungimento della piena operatività dei nuovi Centri per la Giustizia Riparativa, come pure degli istituendi “Servizi di assistenza alle vittime” previsti dalla Direttiva 2012/29/UE che,invero,non hanno ricevuto ancora una efficace considerazione da parte del Legislatore della Riforma, come segnalato dallo scrivente sulle pagine della stessa Rivista, con grave pregiudizio per l’avvio della Riforma a cui sono funzionalizzati...
Alla situazione appena descritta,già abbastanza critica sul piano normativo,si aggiunge una sorta di forte ritrosia di una parte della Magistratura a valorizzare appieno l’istituto della giustizia riparativa ed il suo ruolo tra le prerogative della difesa,su cui ai dirà infra, specialmente in relazione al diritto di impugnazione dell’Ordinanza ammissiva che, allo stato,risulta completamente escluso dalla Suprema Corte sulla base di una pretesa facoltatività del provvedimento che,invero,non lascia alcun spazio alle ragioni della difesa dell’imputato e della Vittima che può solo suire il provvedimento..
Nondimeno,le prime pronunce sulla delicata materia’ da parte della Corte di Cassazione dimostrano che detto istituto costituisce uno dei temi della Riforma Cartabia che continua a sollevare problemi applicativi, dovuti in parte ad inspiegabili omissioni legislative e in parte all’impreparazione degli operatori del diritto dinanzi ad un istituto distante, almeno in apparenza, dalla tradizione penalistica italiana (sul punto v. Del Popolo in Giurisprudenza Penale)
Uno dei tanti aspetti su cui è auspicabile un intervento chiarificatore da parte della giurisprudenza di legittimità,che ristabilisca la centralità del diritto ed assicuri l’effettività del diritto di difesa,è senz’altro costituito dalle conseguenze e dai possibili vizi che si determinano nell’ipotesi in cui l’Autorità Giudiziaria non avvisi l’imputato/indagato e/o la Vittima della facoltà di accedere ai programmi previsti dalla normativa introdotta..
Si tratta di un contrasto che risulta di fondamentale importanza per l’avvio stesso della giustizia ripartiva sia per la natura sostanziale o processuale dell’Istituto ma anche per il ruolo che lo stesso è chiamato a svolgere in ambito processuale per l’accesso ai programmi voulti dalla Riforma Cartabia. .
L’esigenza di un auspicabile intervento sulla rilevante questione nasce,infatti,da un contrasto sorto tra due sezioni della Corte di Cassazione che,con due distinte sentenze, sono pervenute a due risultati diametralmente opposti.
In particolare,con la sentenza 25367/23,la Sesta Sezione della Suprema Corte ha ritenuto che l’omesso avviso della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa non integri alcuna nullità e, dunque, non inficia l’atto che non lo contenga.
Per contro,con la sentenza 32360/23, la Quarta Sezione ha ritenuto che tale omissione integri una nullità a regime intermedio,ai sensi dell’art. 178, lett. c, del Codice di Rito.
Invero,con le pronunce sopracitate,nel primo caso,la Corte ha ritenuto che «le nuove previsioni contenute all'art. 129-bis e 419, comma 3-bis, cod.proc.pen. non contemplano alcuna ipotesi di nullità nel caso di mancata applicazione» poiché, da un lato, «l'art. 129-bis cod.proc.pen.. nel prevedere la possibilità che il Giudice disponga d'ufficio l'invio delle parti ad un centro per la mediazione, si limita a disciplinare un potere -essenzialmente discrezionale -riconosciuto al Giudice, senza introdurre espressamente un obbligo di attivarsi» e, pertanto, «non impone al giudice di avvalersi del richiamato potere, né di motivare la sua scelta, con la conseguenza che nel caso di mancata attivazione del percorso riparativo non è configurabile alcuna nullità, né speciale, né di ordine generale, non essendo compromesso alcuno dei diritti e facoltà elencati all'art. 178, lett.c), cod.proc.pen».
La sentenza afferma che «analoghe considerazioni valgono anche in relazione all'omesso avviso in ordine alla facoltà di accedere ai programmi eli giustizia riparativa contemplato dall'art. 419, comma 3-bis, cod.proc.pen.» che « non prevede alcuna nullità speciale per il caso in cui l'avviso venga omesso, né può ritenersi che l'omissione vada a ledere il diritto dell'imputato di accedere a tale forma di definìzione del procedimento». posto che «l'avviso in esame, a ben vedere, ha solo una finalità informativa e, peraltro, si inserisce in una fase in cui l'imputato beneficia dell'assistenza difensiva, con la conseguenza che dispone già del necessario presidio tecnico finalizzato alla migliore valutazione delle molteplici alternative processuali previste dal codice, ivi compresa quella di richiedere l'accesso al programma di giustizia riparativa», con ciò addossando l’onere informativo al difensore nominato dalle parti..
Ad una conclusione diametralmente opposta è pervenuta la sentenza 9 maggio 2023, n. 32360,laddove la Corte si è pronunciata su un ricorso dell’imputato che lamentava l’omesso avviso della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa, nonostante l’art. 447, comma 1, espressamente lo contempli tra gli avvisi da fornire all’imputato.
In questo caso,la Suprema Corte ha affermato che «Non pare dubbio che l'inosservanza di tale disposizione determini un vulnus ai danni della parte interessata ad accedere a tali statuti riparativi e la sua inosservanza deve essere ricondotta ad una ipotesi di nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c) in quanto incide sulla completezza dell'assistenza,intesa quale completa informazione sulle facoltà difensive a tutela dell'imputato».
La Corte ha chiarito che «Trattasi peraltro di nullità di ordine generale a regime intermedio e non assoluta in quanto non rientrante nel novero delle ipotesi disciplinate dall'art. 179 c.p.p. e pertanto soggetta al regime delle nullità a regime intermedio, per cui la parte era onerata dall'obbligo di eccepirla, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., comma 2 a margine della udienza di comparizione per la definizione del giudizio ai sensi dell'art. 444 c.p.p., cui il difensore era presente ed in cui ha riformulato la richiesta di applicazione della pena, rinunciando in tal modo implicitamente a dedurre il vizio e comunque decadendo dalla facoltà di rilevarlo nei motivi di impugnazione ( come in relazione alla ipotesi di mancato avviso nel decreto penale di condanna della facoltà di accesso alla messa alla prova sez. IV,sent. n. 17659 del 14/02/2019, Giorgesch,)»
La motivazione adottata dalla sentenza della Quarta Sezione siccome formulata è destinata ad incidere sulla natura sostanziale dell’istituto della giustizia riparativa.
In effetti, ritenendo che l’omesso avviso determini «un vulnuns ai danni della parte interessata ad accedere a tali statuti riparativi», poiché, in assenza, la parte non riceve una «completa informazione sulle facoltà difensive a tutela dell'imputato», la Corte riconosce implicitamente che la richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa costituisca una vera e propria modalità di esercizio del diritto di difesa.
Questa interpretazione trova conforto in due diversi passi della motivazione:
1)un primo passo è quello relativo all’affermazione per cui l’omesso avviso in esame integra una nullità a regime intermedio ex art. 178, lett. c), c.p.p.;
29il secondo è quello in cui, richiamando una precedente pronuncia relativa all’omesso avviso della possibilità di richiedere la messa alla prova, si afferma che «Trattasi peraltro di nullità di ordine generale a regime intermedio e non assoluta in quanto non rientrante nel novero delle ipotesi disciplinate dall'art. 179 c.p.p. e pertanto soggetta al regime delle nullità a regime intermedio, per cui la parte era onerata dall'obbligo di eccepirla, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., comma 2 a margine della udienza di comparizione per la definizione del giudizio ai sensi dell'art. 444 c.p.p.(…)»
In effetti,l’accostamento tra l’avviso della facoltà di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova e l’avviso della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa non può che essere letto nel senso che, al pari della MAP, la giustizia riparativa «costituisce anch’essa una modalità, tra le più qualificanti,di esercizio del diritto di difesa (ex plurimis,v-sentenze n. 219 del 2004, n. 70 del 1996,n.497 del 1995 e n.76 del 1993)»-
In conseguenza,l’affermazione,nella prima sentenza, per cui nei casi di omesso avviso della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa «non è configurabile alcuna nullità, né speciale, né di ordine generale, non essendo compromesso alcuno dei diritti e facoltà elencati all'art. 178, lett.c)» non tiene in alcun conto che l’avviso costituisce una delle modalità di esercizio del diritto di difesa, come si dirà oltre.
Se si può convenire sulla non configurabilità di una nullità speciale, poiché il legislatore – con una scelta alquanto discutibile – non ha previsto una sanzione processuale nei casi di omissione dell’avviso in commento, altrettanto non può dirsi in relazione alla non configurabilità di una nullità di ordine generale.
In effetti, dovendosi ritenere che la giustizia riparativa è un istituto di carattere sostanziale e non meramente processuale, non vi possono essere dubbi sulla configurabilità di una nullità di ordine generale nel caso di omesso avviso della facoltà di accedere ai citati programmi.
La predetta natura sostanziale dell’istituto si ricava, piuttosto, sia dalle conseguenze che dal buon esito dei programmi avviati.,
Questa conclusione, peraltro,è seriamente confortata dal “precedente storico” della sospensione del procedimento con messa alla prova esaminata dal Giudice delle leggi che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 460 c.p.p. nella parte in cui, tra i requisiti del decreto penale di condanna, non annovera l’avvertimento per l’imputato della facoltà di poter richiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova, ha affermato che «L’istituto della messa alla prova, introdotto con gli artt. 168-bis, 168-ter e 168- quater cod. pen. ha effetti sostanziali, perché dà luogo all’estinzione del reato, ma è connotato da un’intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso del quale il giudice decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova» (Corte Cost. sent.n. 240 del 2015)».
Analogamente, in una più recente pronuncia,la medesima Corte ha affermato che «la sospensione del procedimento con messa alla prova, di cui agli artt 168-bis e seguenti del codice penale, si configura come un istituto di natura sia sostanziale, laddove dà luogo all’estinzione del reato»17 e «costituisce anch’essa una modalità, tra le più qualificanti (sentenza n. 148 del 2004), di esercizio del diritto di difesa» (ex plurimis, sentenze n. 201 del 2016 e n. 237 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 219 del 2004 e n. 497 del 1995)».
Il diritto alla difesa delle parti
Una volta definita la natura sostanziale dell’istituto, non possono esservi dubbi sulla necessità di ricomprendere la giustizia riparativa tra le modalità di esercizio del diritto di difesa,con la conseguenza per cui l’omesso avviso della facoltà di accedere a detti programmi costituisca una limitazione del diritto di difesa dell’indagato/imputato e della Vittima poiché gli interessati non vengono posti nelle condizioni di esercitare con pienezza la propria difesa.
L’introduzione del predetto istituto,come avvenuto per la messa alla prova con le due sentenze della Corte Costituzionale citate,pone in capo all’Autorità Giudiziaria un preciso obbligo di fornire all’interessato una informazione precisa in ordine a questa modalità di esercizio del diritto di difesa e detto obbligo, peraltro, è compiutamente descritto all’art. 47 d.lgs. 150/2022.
In particolare, l’affermazione della Sesta Sezione della Corte sembra ignorare il disposto dell’art. 47 – rubricato non a caso “Diritto all’informazione” – che, per bocca dello stesso legislatore,«mira a consolidare il nesso fra informazione e libera esplicazione del consenso alla partecipazione conricadutei sulla «natura del percorso e sui possibili esiti e implicazioni, ivi incluso l’impatto che eventualmente il percorso di giustizia riparativa avrà su futuri procedimenti penali» (v.§16 della Raccomandazione 2018/8), ponendosi l’obiettivo di assicurare l’incontro con la vittima del reato», che costituisce il nocciolo del provvedimento affidato al Giudice...
Pertanto, la previsione dell’art. 47 cit. impone di riconoscere al dovere d’informazione il ruolo di «Presupposto indefettibile» che l’Ufficio del Massimario della Suprema Corte ha correttamente ravvisato e.come tale,deve ritenersi non corretta l’affermazione che l’omissione dell’avviso non integri alcuna nullità.
Infine, non può essere condivisa l’idea, a sostegno della sussistenza di ipotesi di nullità, che l’avviso «si inserisce in una fase in cui l'imputato beneficia dell'assistenza difensiva, con la conseguenza che dispone già del necessario presidio tecnico finalizzato alla migliore valutazione delle molteplici alternative processuali previste dal codice, ivi compresa quella di richiedere l'accesso al programma di giustizia riparativa».
Anzitutto, sotto un primo profilo, una simile affermazione,in spregio al dato normativo, finisce per addossare sul difensore un onere che,al contrario,non può che gravare sull’Autorità Giudiziaria ossia quella di dare l’informazione completa sul diritto di difesa.
Inoltre,va ricordato che il contenuto di quest’obbligo è stato oggetto di diversi interventi normativi che sono sempre andati nella direzione di ampliare le informazioni da dare all’imputato/indagato come pure alla Vittima anche se non costituita Parte Civile.
Come ricordato,la Corte Costituzionale ha ribadito più volte l’importanza del «diritto dell’accusato di essere messo personalmente, immediatamente e compiutamente a conoscenza di quanto avviene nel processo» e del «diritto dell’imputato di svolgere la propria attività difensiva, anche in forma di autodifesa, conformandola, adattandola e sviluppandola in correlazione continua con le esigenze che egli stesso ravvisi e colga a seconda dell’andamento della procedura, ovvero comunicando con il proprio difensore» .
In definitiva,non sembra che possa convenirsi con l’affermazione della sentenza 25367/23 poiché una precisa informazione alla persona indagata/imputata costituisce la condicio sine qua non per porre l’interessato in condizioni di valutare l’accesso a detti programmi.
Con la Riforma Cartabia, proprio al fine di incentivare l’accesso ai suddetti programmi, il legislatore delegato ha inserito l’obbligatorietà del predetto avviso in tutti gli atti di vocatio in iudicium da notificare alla persona interessata tra cui la nuova formulazione degli artt.419 che stabilisce che «L’imputato e la persona offesa sono altresì informate che hanno facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa”.
Si tratta,quindi,anche in questo caso di una delle ragioni che rendono non condivisibile l’orientamento della Sesta Sezione,è sicuramente condivisibile l’affermazione di nullità dell’omesso avviso.
L’orientamento espresso dalla sentenza 32360/23 è quello che meglio si presta a garantire, da un lato, l’operatività dell’istituto e,dall’altro, la pienezza del diritto di difesa dell’indagato/imputato e della Vittima.
In questo quadro,allora, è facile immaginare che l’immediato futuro della giustizia riparativa è rimesso alle prossime decisioni della Corte delle Leggi per dirimere il contrasto sulle conseguenze dell’omesso avviso della facoltà di accedere a detti programmi,come puree in relazione al diritto di impugnazione,non sancito dal Legislatore, del provvedimento ammissivo. ed in violazione dello stesso diritto di difesa.
Invero,l’art.129 bis c.p.p., rubricato “accesso ai programmi di giustizia ripa rativa” e inserito nel codice di procedura penale dall’art. 7, comma 1, lett. c, del d.lgs. 150/2022 attribuisce al Giudice un ruolo di assoluta preminenza e centralità nella fase dell’iniziati va in punto di attivazione dei percorsi di giustizia riparativa.
Già la collocazione sistematica di questa norma è sintomatica della volontà legislativa di valorizzare il ruolo dell’Autorità Giudiziaria procedente nella fase “genetica” del processo riparativo poichè risulta inserita nel libro II (Atti), e in particolare all’interno del titolo II che, com’è noto, contiene la disciplina generale degli Atti e Provvedimenti del giudice.
Secondo la “Relazione illustrativa”, la collocazione della nuova disposizione su bito dopo l’art. 129 (“immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità”) rappresenterebbe la “sede naturale” per la disciplina dell’accesso ai programmi di giustizia riparativa, posto che le due norme oggi contigue sottenderebbero un’analoga ratio di intervento da parte del giudice: «se l’articolo 129 prescrive al giudice di attivarsi, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, per il proscioglimento dell’imputato, il nuovo articolo 129 bis stabilisce che il giudice debba, su richiesta o anche di propria iniziativa, inviare i soggetti interessati – ossia l’imputato o l’indagato e la vittima del reato, ove individuata – al Centro per la giustizia riparativa di riferimento (cioè quello del luogo o altro indicato dal giudice stesso)».
Tuttavia, è proprio l’attribuzione al Giudice di un ampio e penetrante potere di iniziativa ad aver suscitato obiezioni e riserve critiche oltre che censure sulla legittimità della norma.come già segnalato su questa Rivista..
Nella legge delega, peraltro, l’iniziativa pareva essere stata affidata soltanto all’Autorità Giudiziaria (art. 1, comma 18, lett. c: «prevedere la possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale e durante l’esecuzione della pena, su iniziativa dell’autorità giudiziaria competente […]»,ma la formulazione adottata dal decreto attuativo nel capoverso dell’art. 129 bis c.p.p. lascia aperta la possibilità che anche la parti possano assumere l’iniziativa facendo richiesta di attivazione di un programma (sul punto v. nota critica di Dario Guidi in Riv. Crimen)
Dalla “richiesta” dell’imputato o della vittima,si desume che l’iniziativa possa essere presa anche da questi ultimi: in tal caso la richiesta è proposta “personalmente” o “per mezzo di procuratore speciale”.che consolida il ruolo del difensore nominato..
L’invio dei richiedenti ad un Centro per la giustizia riparativa è disposto con Ordinanza dal Giudice che procede, sentite le parti,i difensori nominati e, se lo ritiene necessario(??), la Vittima del reato,qualora reputi che lo svolgimento del programma possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti.
Nel corso delle indagini preliminari il potere di iniziativa rispetto all’avvio dei programmi di giustizia riparativa compete invece al Pubblico Ministero, che provvede con decreto motivato.
La clausola secondo cui la Vittima viene ascoltata solo “ove ritenuto necessario” dal Giudice viene motivata dalla Relazione illustrativa con «la necessità di non appesantire eccessivamente il procedimento onerando il giudice della ricerca della vittima e della sua audizione»(!!) che svilisce l’impostazioe dell’impianto normativo rivolto alla tutela della stessa,come,invece,affermato dalla Dottrina.
Questa scelta del Legislatore,tuttavia, pare ispirata esclusivamente da ragioni di economia processuale, e, quindi, risulta distonica rispetto alle finalità precipue della giustizia riparativa, che mira, non già ad accelerare i tempi della giustizia penale in ottica deflattiva, bensì a valorizzare il ruolo della Vittima nella gestione delle conseguenze della vicenda penale, favorendone il pieno e consapevole coinvolgimento in sede di risoluzione del conflitto sociale scaturito dalla commissione del reato.
Pertanto,sarebbe stata auspicabile una diversa disciplina delle audizioni, che attribuisse pari dignità ai potenziali partecipanti al programma, vista anche l’importanza di sentire il parere della Vittima in una fase preliminare rispetto all’avvio del programma stesso ovvero attribuendo alla stessa un diritto alla impugnazione del provvedimento.
Nel caso di reati perseguibili a querela soggetta a remissione il Giudice, a richiesta dell’imputato,può disporre con ordinanza la sospensione del procedimento o del pro- cesso per lo svolgimento del programma di giustizia riparativa per un periodo non superiore a centottanta giorni.
Al termine del programma, l’Autorità Giudiziaria acquisisce la relazione trasmessa dal mediatore (art. 129 bis, comma 4, c.p.p.).
Anche la disposizione del comma 4 rappresenta una forma di coordinamento con il testo riformato dell’art. 152 c.p. e con la nuova ipotesi di remissione tacita della querela in caso di esito ripartivo, come segnalato più innanzi a proposito dell’obbllgo dell’avviso..
La sospensione è prevista solo in questo caso ossia quando il raggiungimento dell’esito riparativo si traduce nell’estinzione del reato e quindi in un effetto concreto di deflazione. In tale evenienza il ritardo è ampiamente compensato dalla definizione extragiudiziale del conflitto e dal conseguente risparmio di attività processuale.
Tuttavia,la scelta di affidare l’attivazione dei programmi di giustizia riparativa al Giudice procedente (v. art. 129 bis c.p.p.) senza introdurre alcun “filtro”, in termini di incom- patibilità, rispetto al successivo giudizio, suscita non poche perplessità in relazione alla sua legittimità in relazione alla decisione finale che deve prescindere da ogni provvedimento emanato stante la terzietà del Giudice,sancita dall’art 111 della Cost. ..
Il Giudice è chiamato a disporre con Ordinanza l’invio dell’imputato e della vittima ad un Centro per la giustizia riparativa previo apposito vaglio di “utilità” e ciò implica, inevitabilmente, che egli debba parametrare la propria valutazione preliminare agli obiettivi di fondo della giustizia ripartiva ,tipizzati nell’art. 43, comma 2, del d.lgs. 150/2022, ai sensi del quale i programmi tendono a promuovere: a) il riconoscimento della vittima del reato, b) la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa c) la ricostituzione dei legami con la comunità.
Se il programma non produce i risultati sperati e non si raggiunge l’esito riparativo, l’imputato torna davanti al giudice nelle vesti di colui che non ha voluto riconciliarsi con la vittima o comunque non ha compiuto gli sforzi necessari per riconoscere i propri torti e addivenire ad un accordo,il pregiudizio negativo iniziale non potrà che aggravarsi con conseguenze sulla pena da comminare in concreto.
Conclusioni
Da queste considerazioni appare evidente che la norma regolatrice del procedimento risulta carente in vari punti e finisce con il deprimere il diritto alla difesa inteso come opposizione al procedimento avviato di entrambe le parti attraverso l’impugnazione del provvedimento ammissivo.
La ratio della norma è quella di tutelare l’imputato,ma potrebbe anche darsi che, nonostante gli sforzi compiuti da quest’ultimo, la vittima incontri (comprensibili) difficoltà emotive nell’intraprendere un percorso di avvicinamento a colui che percepisce come l’artefice della sua sofferenza,e,quindi, rinunci unilateralmente a prose guire in tale percorso,ed è del tutto legittimo.
Ma anche in questo caso è presumibile che il Giudice, ignaro degli sforzi compiuti dall’imputato,attribuisca, anche istintivamente e a livello inconscio,la responsabilità dell’insuccesso del programma all’imputato stesso e non alla Vittima.
Anche in questo caso, negare il diritto di impugnazione alla Vittima risulterebbe lesivo dei suoi diritti processuali e di difesa dei propri interessi lesi.
Anche su questo punto le scelte del legislatore della riforma non appaiono pienamente condivisibili.
È,infatti, previsto che il descritto percorso di riconciliazione debba avvenire in larga parte senza la presenza dei difensori.
Questi ultimi hanno facoltà di intervenire ai colloqui preliminari,su richiesta delle persone interessate(art. 54, comma 2) e possono assistere i partecipanti nella definizione degli accordi relativi all’esito materiale (art. 56, comma 5).
La loro partecipazione, viceversa, non è prevista da alcuna disposizione nella fase “centrale” del programma, quella in cui le parti cercano di avvicinare le rispettive posizioni e di trovare punti di incontro al fine di raggiungere l’accordo conclusivo (e infatti è previsto che, con riguardo all’esito “simbolico”, le parti siano assistite dai mediatori e non dagli avvocati)
Per contro, in una fase del processo di avvicinamento tra le parti che riveste importanza cruciale sia per la Vittima che per l’imputato,sarebbe auspicabile un coinvolgimento più fattivo dei difensori anziché una loro (quasi totale) estromissione dai programmi di giustizia riparativa.
Per concludere,occorre rivedere il contenuto delle norme emanate al fine di assicurare l’assistenza del difensori delle parti anche nella fase dei programmi prima di assistere ad un vero e proprio “naufragio” della Giustizia Riparativa nell’attuale assetto normativo.