Mancata notifica dell'atto di appello di lavoro: conseguenze

Mancata notifica dell'atto di appello di lavoro: conseguenze

Con l’ordinanza n. 453/2020, pubblicata il 14/01/2020, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in merito alle conseguenze derivanti dalla mancata notifica nel rito del lavoro del ricorso in appello e del decreto di fissazione dell’udienza.

Venerdi 24 Gennaio 2020

IL CASO: La vicenda trae origine dalla sentenza con la quale la Corte di Appello dichiarava improcedibile il gravame promosso da un lavoratore avverso la decisione con la quale il Tribunale aveva rigettato il ricorso promosso contro il proprio datore di lavoro teso ad ottenere la condanna di quest’ultimo al pagamento di somme a titolo di differenze retributive.

La Corte territoriale aveva fissato l’udienza per la discussione del ricorso in appello e il decreto di fissazione dell’udienza veniva comunicato dalla Cancelleria all’appellante a mezzo pec. Quest’ultimo, all’udienza fissata non forniva la prova di aver provveduto alla notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza alla società appellata, che non si costituiva.

Avverso la sentenza della Corte di Appello, il lavoratore interponeva, pertanto, ricorso per Cassazione, allegando la relazione di notifica a mezzo posta elettronica con la ricevuta di accettazione e l’avviso di mancata consegna, deducendo, fra l’altro, l’erroneità della decisione impugnata in quanto, nel caso di specie la notifica era avvenuta.

LA DECISIONE: Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione, la quale ritenendo che con la sentenza impugnata la Corte di Appello si era attenuta al principio enunciato dalle Sezione Unite con la sentenza n. 20604 del 2008, secondo il quale "Nel rito del lavoro l'appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza non sia avvenuta, non essendo consentito - alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo "ex" art. 111 Cost., comma 2, - al giudice di assegnare, ex art. 421 c.p.c., all'appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 c.p.c.";

Il suddetto principio, hanno continuato gli Ermellini, è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità non solo in materia di lavoro, ma anche in materia di locazioni e anche nell'ambito dei procedimenti camerali (cfr. Cass. n. 29870 del 2008; n. 1721 del 2009; n. 11600 2010; n. 9597 del 2011; n. 27086 del 2011; n. 20613 del 2013; n. 6159 del 2018).

Inoltre, secondo i giudici di legittimità, con la decisione n. 20613 del 2013 la stessa Cassazione, ha precisato che nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, il vizio della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell'attività processuale cui l'atto è finalizzato (con conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l'improcedibilità), non essendo consentito al giudice di assegnare all'appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente.

Pertanto, hanno concluso, non solo non è consentito, nel silenzio normativo, allungare - con condotte omissive prive di valida giustificazione, come nel caso deciso con l’ordinanza in commento - i tempi del processo sì da disattendere il principio della sua "ragionevole durata", ma l'improcedibilità dell'impugnazione, nelle controversie di lavoro, conseguente alla mancata notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, senza possibilità per il giudice di assegnare un termine perentorio per provvedervi, trova giustificazione anche nell'esigenza di tutelare la legittima aspettativa della controparte al consolidamento, entro un termine predefinito e ragionevolmente breve, di un provvedimento giudiziario già emesso, ciò a differenza di quanto avviene nel processo del lavoro di primo grado, dove la notifica del ricorso assolve unicamente la funzione di consentire l'instaurazione del contraddittorio (Cass. n. 6159 del 2018; n. 17368 del 2018).

Allegato:

Cassazione civile ordinanza n.453/2020

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