Estinzione delle esecuzioni immobiliari sulla prima casa dopo la sentenza n. 128/2021 della Consulta.

Avv. Aldo Martinenghi.
Estinzione delle esecuzioni immobiliari sulla prima casa dopo la sentenza n. 128/2021 della Consulta.

LA CORTE COSTITUZIONALE, riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile l’intervento di C. L. nel giudizio incidentale relativo alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Rovigo, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 14, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2021.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA “.

Giovedi 16 Settembre 2021

A tal proposito, rileva la decorrenza del termine per riassumere le esecuzioni sospese per Covid-19 in seguito alla sentenza n. 128/2021, con la  quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultima proroga della sospensione ex art. 54-ter d.l. 18/2020 (convertito ed inserito nella legge di conversione n. 27 del 2020, sotto la rubrica “Sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa”) delle procedure immobiliari aventi ad oggetto immobili costituenti l’abitazione unica (a ns. avviso sarebbero escluse le prime case ove l’ esecutato fosse in proprietà e/o possesso di altre unità immobiliari adibibili a sua abitazione) del debitore esecutato.

La proroga di cui innanzi – legittimata legislativamente onde limitare le conseguenze socialmente devastanti della crisi economica prodotta dalla pandemia effetto del covid-19, sul diritto a godere della propria abitazione - era stata perimetrata a decorrere dal 1° gennaio 2021 sino al 30 giugno 2021, per cui, per tutto il periodo indicato, non si è potuto proseguire la esecuzione vs gli immobili che costituiscono l’abitazione principale dell’ esecutato.

Per riassumere le esecuzioni immobiliari sospese ai sensi dell’art. 54-ter d.l. 18/2020 e per evitarne l’estinzione, il termine di sei mesi previsto dall’art. 627 c.p.c. (rubricato, appunto, “Riassunzione”) decorre, per quanto attiene alla questione che si sta chiosando, dall’ 1 gennaio 2021 con scadenza 30 giugno 2021.

La norma da ultima citata, infatti, afferma espressamente: “Il processo esecutivo deve essere riassunto con ricorso nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione e, in ogni caso, non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l'opposizione”.

Poiché nulla ha disposto la norma eccezionale in ordine alla riassunzione /o sua eventuale omissione, si ritiene, senza alcun ragionevole dubbio al riguardo, che, la stessa, debba avvenire secondo le regole generali del codice di procedura civile, ritualmente applicabile: artt. 627-630-632-307-310.

Il termine di sei mesi rileva in quanto la sospensione de quo trova fondamento nella legge, la quale ha così disposto per fronteggiare una situazione assolutamente imprevedibile ed incresciosa, e non in un provvedimento giudiziale (come, invece, contemplato dalla prima parte dell’art. 627 c.p.c.).

Dato il silenzio serbato dall’art. 54-ter sulla riassunzione delle procedure da esso sospese e, contemporaneamente, la necessità di rispettare il termine legale imposto dal codice di rito, per risolvere il quesito che ci siamo posti bisogna far riferimento a quelle che sono le caratteristiche intrinseche e le conseguenze pratiche delle pronunce con cui la Corte costituzione dichiara illegittima una disposizione impugnata per contrasto con una norma della Carta fondamentale. Particolare rilievo assume, ai nostri fini, il carattere così detto “retroattivo” delle sentenze di accoglimento della Consulta: in base ad esso, infatti, una norma che sia stata dichiarata illegittima alla luce dei principi dettati dalla Costituzione è tale sin dall’origine, ossia sin dal momento in cui è entrata in vigore.

Quest’ultimo effetto costituisce una specificità affermata dallo stesso Giudice delle Leggi il quale, ha ripetutamente statuito che le sue pronunce di accoglimento, oltre ad esplicare gli effetti delineati dall’art. 136 della Costituzione (perdita di efficacia della disposizione illegittima dal giorno successivo alla pubblicazione della relativa declaratoria), comportano una regressione – dal punto di vista temporale – dell’illegittimità di una norma di legge o di un atto avente tale forza al momento in cui essi vennero ad esistere (Corte cost., 07/05/1984, n. 139; Corte cost., 09/01/1996, n. 3).

La conseguenza di ciò è che le norme dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Consulta non possono più trovare applicazione alcuna, in quanto è a loro sottratta l’idoneità a produrre effetti giuridici vincolanti, anche se non effettivamente abrogate, poiché una legge può essere abrogata solo ed esclusivamente da una successiva che sia di pari grado o di grado superiore, e che sia ritualmente approvata dal Parlamento.

Tuttavia, una legge che non sia sopravvissuta al vaglio di legittimità costituzionale della Consulta, continua ad esplicare i suoi effetti su quei rapporti giuridici sorti e perfezionatisi, processualmente parlando, prima che essa venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, definiti – RAPPORTI ESAURITI -.

Da quest’ultima asserzione si trae la conclusione per cui una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima non si applica esclusivamente a quelle situazioni o a quei rapporti giuridici sorti - prima del e purché ancora pendenti al - momento della sentenza di accoglimento del Giudice delle Leggi.

Se il postulato precedente apparisse condivisibile sul piano logico-giuridico, corollario conseguente di notevolissima rilevanza pragmatica, essendo tale sillogismo applicabile al caso che ci occupa, sarebbe costituito dalla obiettiva circostanza che - per le procedure esecutive immobiliari, sospese ai sensi dell’art. 54-ter d.l. 18/2020, promosse prima della declaratoria di incostituzionalità del 22 giugno scorso ed ancora non esaurite, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale della proroga della sospensione delle esecuzioni aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, - il termine semestrale che, ai sensi dell’art. 627 c.p.c., dovrebbe essere osservato, - a pena di estinzione - per riassumere il processo, decorrerebbe a partire dal 1° gennaio 2021.

Ciò costituisce una naturale conseguenza dell’efficacia ex tunc delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale: essendo la proroga della sospensione di cui all’art. 54-ter, prevista dal 1 gennaio 2021 sino al 30 giugno 2021, illegittima ab origine, essa deve considerarsi come se non fosse mai esistita; ergo, ai sensi del combinato disposto dell’ art. 630 c.p.c. che al comma 3 richiama espressamente gli artt. 307-310 stesso codice, il G.E. può, anzi, - nella prospettiva necessaria di evitare una vera e propria “DEFLAGRAZIONE” di opposizioni e lungaggini procedurali, ed anche al fine di consentire, limitando i danni obiettivamente conseguiti al creditore che abbia agito in sede di esecuzione immobiliare, che intendesse riproporre la esecuzione immobiliare, - deve dichiarare, SUA SPONTE, la intervenuta estinzione della procedura immobiliare, con conseguente rimessione dell’ immobile nella immediata e libera disponibilità del proprietario-debitore, ordine di restituzione di eventuali somme versate, in acconto, per l’ esercitata conversione al compendio immobiliare, sul libretto di risparmio ai sensi dell’ art. 524 c.p.c. e compensazione di tutte le spese e competenze della procedura dichiarata estinta.



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