Credito dell'avvocato nei confronti del cliente: rito applicabile e competenza

Avv. Luigi Sanguineti.
Credito dell'avvocato nei confronti del cliente: rito applicabile e competenza

Ritengo meritevole di segnalazione la sentenza n. 4485/2018 recentemente pronunciata dalle SS.UU. della Corte di Cassazione in materia di azione esperibile dall’avvocato per la tutela del credito maturato in seguito all’assistenza prestata nel giudizio civile.

Venerdi 13 Luglio 2018

E’ noto che il decreto legislativo n. 150 del 2011, unificando vari riti, ha tra l’altro disposto che il vecchio procedimento del 1942 (che consentiva all’avvocato creditore del cliente di adire, con rito camerale, l’ufficio giudiziario presso il quale aveva prestato la propria opera e che imponeva la stessa forma per il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal legale) venga regolato dal rito sommario di cognizione.

Questa, brevemente, la fattispecie recentemente decisa dalle SS.UU.: un avvocato del foro romano vanta un credito per assistenza prestata, avanti il Giudice di pace di Roma, il Tribunale di Roma e la Corte d’appello di Roma, in favore di cliente residente a Civitavecchia.

Il legale propone ricorso ex art. 702 bis c.p.c. al Tribunale di Civitavecchia che lo dichiara inammissibile sia perché, in luce delle eccezioni della cliente, il giudizio non sarebbe limitato alla sola determinazione del quantum (ma involgerebbe anche l’an debeatur) e sia perché la convenuta risiederebbe in Roma (circostanza, vedremo, poi smentita ex actis dalla Cassazione).

Avverso tale decisione, l’avvocato propone regolamento di competenza che la Corte decide a sezioni unite in considerazione della divergente giurisprudenza espressa dalle sezioni semplici in ordine all’ambito del giudizio de quo (se, cioè, sia esso esteso o meno oltre la mera determinazione del compenso spettante al professionista).

Per pronunziarsi, la Corte si pone espressamente la previa soluzione di due questioni:

a) Innanzitutto l’accertare se, per effetto dell’entrata in vigore della normativa di cui all’art. 14 dl d. lgs. 1° settembre 2011 n. 150 e del trasferimento in essa del procedimento già disciplinato dagli artt. 28-30 della l. 13 giugno 1942 n. 794 che poteva, in ipotesi, giustificarne la trattazione con quel procedimento (com’è noto allora riconducibile alla figura generale del procedimento in camera di consiglio, di cui agli artt. 737 e segg. cod. proc. civ.), la situazione quo ante riguardo ai procedimenti utilizzabili dall’avvocato per la tutela del credito delle prestazioni indicate nella normativa del 1942, quale si presentava anteriormente, sia rimasta oppure no incisa e, in caso positivo, in che modo;

b) in secondo luogo l’accertare se quel trasferimento sia stato realizzato dal legislatore lasciando inalterato la situazione giuridica che poteva essere azionata con il procedimento di cui alla legge del 1942, oppure, per il modo in cui si è realizzato, ne abbia comportato eventualmente un ampliamento ed eventualmente l’assunzione di forma di tutela esclusiva” (pag. 5 sentenza).

La risposta data al primo quesito (vi sono rimedi processuali concorrenti con quello introdotto nel 1942 e rivisitato nel 2011?) è che, diversamente da quanto opinato dalla giurisprudenza consolidatasi prima dell’intervento legislativo del 2011, nella fattispecie in esame, non si possa procedere per via ordinaria e quindi l’avvocato debba agire nei confronti del cliente, alternativamente ed esclusivamente, in via monitoria ovvero per il tramite del procedimento sommario.

La risposta al secondo (eventuale ampliamento dell’oggetto del procedimento rivisitato dal legislatore nel 2011) è che, sempre diversamente da quanto opinato dalla giurisprudenza formatasi prima dell’intervento legislativo del 2011, l’ambito del giudizio de quo non sia circoscritto alla mera liquidazione del compenso, ma, a fronte delle eccezioni del cliente, possa estendersi anche all’an debeatur.

Messo in evidenza che tali risposte, ancorché precedute da approfondita e dotta motivazione, vengono date a fronte di un testo legislativo del 2011 sostanzialmente immutato, per la parte non abrogata, rispetto a quello del 1942 (e, aggiungerei, con cosciente distacco dai lavori preparatori ante d. lgs. del 2011 che espressamente perimetravano l’oggetto del giudizio in discussione alla sola liquidazione del quantum), è bene, date anche le finalità pratiche di queste brevi note, far presente che:

- il procedimento sommario applicabile in soggetta materia non è esattamente quello codicistico (artt. 702 bis e ss. c.p.c.), ma quello modellato su tale rito dall’art. 14 d. lgs. 150/2011 che prevede la competenza territoriale dell’ufficio giudiziario di merito presso il quale l’avvocato ha prestato la propria opera (si v. però infra la puntualizzazione delle SS.UU. in punto competenza territoriale), la composizione collegiale del Tribunale, la non obbligatorietà dell’assistenza legale, l’inappellabilità dell’ordinanza che definisce il giudizio - disposizioni specifiche da integrarsi con quelle comuni di cui all’art. 3 del medesimo decreto;

- nelle stesse forme del procedimento sommario speciale, così definito dalle SS.UU., va proposta dal cliente l’opposizione al decreto ingiuntivo richiesto dall’avvocato, anche se la Suprema Corte, in questa sorta di utile vademecum che appronta per l’avvocato creditore, opportunamente precisa che “peraltro, nel caso di introduzione dell’opposizione con citazione, la congiunta applicazione del comma 1 e del comma 4 dell’art. 4 del d. lgs. n. 150 del 2011 renderà l’errore privo di conseguenze” (pag. 22), in quanto il giudice dovrà disporre la trasformazione del rito;

- nell’ambito del giudizio di opposizione così trattato, permane l’applicabilità degli articoli 648, 649, 653 e 654 c.p.c.;

- questo modello speciale di rito sommario vale – ed è forse il rilievo pratico più importante - per il solo credito maturato dall’avvocato per “l’attività professionale svolta in un giudizio civile o con l’espletamento di prestazioni professionali che si pongano in stretto rapporto di dipendenza con il mandato relativo alla difesa o alla rappresentanza giudiziale, in modo da potersi considerare esplicazione di attività strumentale o complementare di quella propriamente processuale ………… restando, invece esclusa l’attività professionale stragiudiziale civile che non abbia detta natura, quella svolta nel processo penale (anche in funzione dell’esercizio dell’azione civile in sede penale) e amministrativa, o davanti a giudici speciali” (pag. 11);

- la competenza territoriale per il procedimento sommario speciale non è limitata al foro indicato dall’art. 14, 2° comma, d. lgs. 150/2011, andando essa, insegna la Corte, adeguata a quella prevista per il procedimento ingiunzionale. Ora, nel caso in cui l’avvocato proceda monitoriamente, può adire, oltre all’ufficio giudiziario presso il quale ha difeso (come congiuntamente dispongono sia l’art. 14 del d. lgs 150/2011 sia l’art. 637, 2° c., c.p.c.), anche il foro risultante dalle regole ordinarie di competenza (art. 637, 1° comma c.p.c.) nonché quello presso il quale ha sede l’Ordine professionale cui è iscritto (art. 637, 3° comma, c.p.c.). In questi casi o, meglio, nei casi di opposizione al decreto ingiuntivo pronunciato dai giudici aditi ex art. 637, 1° e 3° comma, c.p.c. – opposizione funzionalmente proponibile solo avanti questi giudici - va applicato, a mente dell’art. 14, 1° c., d. lgs. 150/2011, il rito sommario speciale. Se dunque va proposta col rito sommario speciale l’opposizione avanti i diversi fori previsti dall’art. 637, 1° e 3° comma, c.p.c., non vi è ragione – pare essere il ragionamento delle SS. UU. – per non consentire l’avvio ab origine (e non solo ex art. 645 c.p.c.) del procedimento sommario speciale anche avanti il foro individuabile in base alle regole ordinarie della competenza territoriale ed avanti quello nel cui ambito ha sede l’Ordine cui è iscritto il legale.

Aggiungo che la Corte, con apprezzabile senso pratico, una volta delineato l’ambito del giudizio in esame, prende lo spunto della propria pronuncia per soffermarsi sulle varie casistiche, trattando le ipotesi nelle quali il cliente convenuto ampli l’oggetto del giudizio introdotto dal legale con la formulazione di una domanda riconvenzionale senza porre problemi di competenza (pag. 38), ovvero ponga anche problemi di competenza (pag. 39), ovvero ancora l’ipotesi in cui venga adita la Corte d’appello e, in quella sede, svolta domanda riconvenzionale da parte del cliente.

Ovviamente, data l’ampiezza della casistica e la scivolosità della nostra materia, la Corte non poteva disaminare e contemplare ogni fattispecie.

Tra l’altro, dopo aver statuito che l’azione di accertamento negativo del credito professionale proposta dal cliente va introdotta secondo le regole ordinarie (e già questo non mi pare un approdo del tutto convincente, atteso che la stessa identica materia verrebbe trattata con riti diversi a seconda del promotore), non dice cosa accadrebbe nel caso, assai probabile, di proposizione di correlativa domanda riconvenzionale da parte dell’avvocato.

Probabilmente, la risposta va desunta applicando analogicamente la chiave interpretativa suggerita dalle SS. UU. per l’ipotesi consimile esaminata a pag. 38 e, cioè, la separazione delle cause da trattarsi con riti diversi, salvo ricorra la possibilità di attrarre la domanda del cliente nelle forme prescritte per quella dell’avvocato, previa naturalmente trasformazione del rito.

Non è invece chiaro o, almeno, non è detto chiaramente, se il Giudice di pace partecipi della competenza delineata da questo assetto normativo.

Cenni al giudice di pace se ne trovano alla pagina 42 della sentenza, quando la Corte passa ad applicare le regole enunciate alla fattispecie sottopostale.

A questo punto della pronuncia, le SS. UU. ricordano che il legale ricorrente, avendo prestato la propria opera avanti il giudice di pace, il tribunale e la corte d’appello romani, avrebbe potuto, tra l’altro, “a norma del combinato disposto dell’art. 28 della legge del 1942 e dell’art. 14 del d. lgs. del 2011 ……. proporre tre distinte domande davanti a detti uffici ai sensi del comma 2 dell’art. 14 e dunque non far luogo al cumulo”.

Inoltre, “sempre a norma del detto combinato disposto e dell’art. 637 c.p.c. avrebbe potuto:

a) proporre le domande in cumulo con il rito monitorio ai sensi dell’art. 637, primo comma, cod. civ. e, dunque, davanti al Tribunale competente secondo le regole della cognizione ordinaria; b) proporle separatamente davanti all’ufficio di espletamento delle prestazioni ai sensi del secondo comma della stessa norma; c) proporle cumulativamente davanti al Tribunale del luogo indicato dal terzo comma dell’art. 637 cod. proc. civ.”.

Da quanto sopra e, in particolare, dal chiaro cenno “alle tre distinte domande davanti a detti uffici”, mi pare si evinca senza dubbio che il Giudice di pace può essere adito e, se così è, può esserlo non solo col ricorso monitorio, ma anche col rito sommario speciale, ‘direttamente’ ovvero in fase di opposizione a decreto ingiuntivo.

E’ una estensione di disciplina processuale che, se sussiste – e, in luce di quanto appena letto, sembra proprio sussistere - suscita non poche perplessità sistematiche.

In proposito, la Corte aveva insegnato, in un caso proprio di domanda del legale proposta al Tribunale ancorché rientrante nell’ambito della competenza per valore del Giudice di pace, che “Il procedimento sommario, previsto dagli art. 702 bis e seguenti c.p.c. (introdotto dall’art. 51 l. 18 giugno 2009 n. 69), è applicabile esclusivamente alle controversie di competenza del tribunale in composizione monocratica, con la conseguenza che in tutte le ipotesi in cui la competenza appartenga ad un diverso giudice (nella specie, il giudice di pace), non se ne può invocare l’applicazione” (Cass. [ord.], sez. VI, 11-11-2011, n. 23691).

Vero è che trattasi di un principio espresso sostanzialmente ante vigenza d. lgs. del 2011, ma le perplessità – rafforzate dal silenzio delle SS.UU in proposito (rispetto alla facondia mostrata nella trattazione del resto) – permangono.

In particolare, non si comprende la ragione per la quale il giudice deciderebbe questa materia in composizione collegiale in Tribunale ed in Corte d’appello, mentre sarebbe monocratico nel caso del Giudice di pace.

E la composizione collegiale non è un tratto di poco conto, andando a ‘compensare’, come pure si legge nella sentenza che s’annota, la speditezza del procedimento (la cui decisione, ricordiamo, è inappellabile).

Il fatto che il legislatore del 2011, da un lato, abbia abrogato gli articoli 29 e 30 della legge del 1942 che tra l’altro coinvolgevano nel procedimento pure il pretore ed il conciliatore e, dall’altro, abbia imposto la decisione collegiale del Tribunale poteva forse legittimare deduzioni interpretative differenti circa la partecipazione del Giudice di pace.

Un’occasione, dunque, non colta per fare piena chiarezza anche a questo riguardo.

Per sola completezza, le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso dichiarando la competenza del Tribunale di Civitavecchia ove la cliente-consumatrice risultava residente (particolare evidentemente sfuggito al giudice a quo), prevalendo per l’appunto tale foro ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. u) del d. lgs. 206 del 2005.

Allegato:

Cass. civile Sez. Unite Sentenza n. 4485 del 23/02/2018

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