Corte d'Appello Catania: somministrazione del vaccino antipolio Sabin e responsabilità del Ministero

Corte d'Appello Catania: somministrazione del vaccino antipolio Sabin e responsabilità del Ministero

Responsabilità del Ministero della Salute in tema di vaccini per violazione dei doveri di precauzione, vigilanza, controllo preventivo, informazione, prudenza e diligenza.

Sabato 10 Aprile 2021

IL CASO

Nel 1978 un neonato di 3 mesi si sottopose al vaccino antipolio Sabin, obbligatorio per legge.

A 15 giorni dalla vaccinazione venne purtroppo diagnosticata “paraplegia arti inferiori di sospetta natura poliomielitica”.

Successivamente la diagnosi definitiva accertata dall’Unità sanitaria locale fu di “Paraparesi spastica con impossibilità alla deambulazione autonoma”.

L’uso del vaccino Sabin poteva infatti determinare una grave reazione avversa.

Per le caratteristiche proprie del vaccino (creato con virus attenuati, ma vivi), infatti, durante il transito intestinale dei virus attenuati poteva verificarsi la retromutazione, cioè i virus ritornavano ad essere virulenti, con grave complicanza (poliomielite paralitica post-vaccinica, cd. VAPP).

E’ stato statisticamente accertato che ogni 750.000 prime dosi insorgeva un caso di VAPP. Siffatto rischio era statisticamente maggiore per chi doveva iniziare la profilassi vaccinale, cioè per chi doveva sottoporsi alla prima dose del vaccino, come nel caso che ci occupa.

Dopo decenni, negli USA, già negli anni settanta, il Sabin venne infatti abbandonato per tornare al vaccino inattivato tipo Salk.

Solo in Italia si registrarono 13 casi di retromutazione, e tra questi vi rientra il caso che ci occupa. In altre parti del mondo, per esempio in USA, tra il 1973 ed il 1984 si verificarono 138 casi di poliomielite paralitica ed il 76% di questi casi era dovuto al vaccino orale Sabin.

Avendo dovuto fare i conti con la gravissima malattia insorta in conseguenza del vaccino inoculato, il vaccinato aveva agito in giudizio onde ottenere il risarcimento dei gravissimi danni subiti.

Ma il Tribunale di Catania, in persona del Giudice unico di primo grado Dott.ssa Claudia Cottini, aveva negato il giusto risarcimento; pur ammettendo la sussistenza di un nesso di causalità fra la vaccinazione antipoliomielitica praticata al neonato con il Sabin e la paraparesi spastica sofferta dallo stesso, il Tribunale escludeva la responsabilità del Ministero e rigettava la domanda.

Il Tribunale giungeva a tale conclusione sulla base di un mero formalismo, affermando che l’indicazione alla somministrazione del vaccino SABIN era formalmente corretta e conforme alla legge vigente all’epoca e che la retromutazione era incontrollabile e quindi non prevenibile.

Il giovane paraplegico, oggi quarantatreenne, ritenendo gravemente ingiusta siffatta conclusione, oltre che lesiva delle sue legittime istanze risarcitorie, proponeva appello avverso la sentenza di primo grado dinanzi alla Corte d’Appello di Catania.

LA DECISIONE

La speranza sta nei sogni, nell’immaginazione e nel coraggio di coloro che osano trasformare i sogni in realtà” (cit. Jonas Salk).

Questa citazione, concretizzatasi per il vaccinato con l’esito vittorioso dell’impugnazione, appartiene al padre del vaccino Salk (alternativa vaccinale al Sabin), vaccino completamente sicuro, perché inattivo.

L’appellante chiedeva che la Corte etnea, in riforma della sentenza impugnata, statuisse che malgrado la indicazione alla somministrazione del vaccino Sabin fosse formalmente corretta e conforme alla legge vigente all’epoca (motivazione inconferente fornita dal Giudice di prime cure), il Ministero della Salute, in conformità agli obblighi di vigilanza e controllo ed alla stregua della riconosciuta pericolosità di detto vaccino, già conosciuta all’epoca della somministrazione (e comunque, in subordine, conoscibile), avrebbe dovuto, anziché operare vaccinazioni a rischio retromutazione per l’utilizzo di un virus attivo, vietare nel rispetto del fondamentale principio di precauzione la vaccinazione o, in subordine, consentirla con rigorose modalità tali da minimizzare i rischi ad essa connessi, e ciò adottando un rigido, serio ed accurato protocollo di anamnesi e verifica delle condizioni del vaccinando, che all’epoca della vaccinazione certamente non sussisteva, e che comunque non vi era alcuna prova in atti che fosse stato attuato (ciò che porta anche ad escludere che i sanitari che eseguirono la vaccinazione avessero preventivamente eseguito, proprio per la mancanza di un protocollo vaccinale ministeriale, un’accurata e rigorosa analisi delle condizioni di salute del vaccinando, in contrasto con quanto tautologicamente affermato dal CTU e dal Giudice, senza alcuna documentazione e/o obiettività a supporto).

Con l’atto di appello la sfortunata vittima evidenziava pertanto:

  1. che era una contraddizione in terminis esentare da responsabilità il Ministero sull’assunto che non poteva esercitare il suo potere di controllo su tale pericolosa conseguenza (retromutazione del virus) quando, invece, sia la conseguenza che la sua incontrollabilità erano ben note e costituivano proprio una caratteristica specifica intrinseca del vaccino;

  2. ciò che fondava la responsabilità in capo al Ministero della Salute era la conoscenza da parte del medesimo (o, in subordine, la conoscibilità sulla base delle conoscenze della comunità scientifica dell’epoca) del pericoloso (perché non prevedibile né prevenibile) rischio intrinseco alla tipologia di vaccino Sabin (complicanza post vaccinale VAPP).

Il D.M. del 25.05.1967, avente ad oggetto “Disposizioni relative alla quantità e tipo di vaccino da impiegare, modi e tempi della sua somministrazione, e categorie di bambini che possono essere temporaneamente dispensati dall’obbligo della vaccinazione contro la poliomielite”, disponeva all’art. 2, comma I (vigente all’epoca dei fatti), che la vaccinazione obbligatoria contro la poliomielite con il metodo Sabin “è temporaneamente sospesa nei confronti dei soggetti che presentano manifestazioni di malattia acuta, febbrile o diarrea e dovrà essere ripresa appena scomparso lo stato di controindicazione”.

La stessa formulazione della norma del D.M. in commento confermava che già nel 1967, e comunque all’epoca dei fatti (1978), era ben nota al Ministero la pericolosità del vaccino, tanto da escluderne temporaneamente la somministrazione nei predetti casi (anche per comuni patologie febbrili e diarroiche).

Ne consegue che, a fronte della conosciuta pericolosità del vaccino Sabin nei casi sopra menzionati, lo Stato avrebbe dovuto predisporre ed imporre alle Aziende operanti nel settore medico-sanitario, uno specifico e chiaro protocollo ministeriale che imponesse una preventiva accurata ed approfondita visita medica ed indagine anamnestica, attraverso il rispetto di predeterminati obblighi informativi, ai fine di prevenire ogni rischio, in coerenza con l’art. 2, comma I del D.M. del 25.05.1967.

Il collegio della Corte Etnea (Giudici: Presidente Dr. Ferreri, Consigliere Dott.ssa Zema, Consigliere Relatore ed Estensore Dott.ssa Romano), in accoglimento del gravame, riconosciuto il nesso causale tra vaccinazione e la paraparesi spastica, la responsabilità per colpa del Ministero della salute, e la sussistenza di postumi da invalidità permanente pari al 100%, ha riconosciuto in favore dello sfortunato protagonista della pratica vaccinale de quo agitur, che ha visto sul nascere tragicamente trasformata per sempre la sua vita, il diritto ad una liquidazione dei danni non patrimoniali sulla scorta delle ultime tabelle del Tribunale di Milano 2021, nella misura di € 824.149,00, oltre interessi legali dal 1978 e le spese processuali del doppio grado.

La Corte d’Appello di Catania, ha innanzitutto chiesto che il CTU medico-legale integrasse la sua relazione con le statistiche accreditate più risalenti, relative al rischio della retromutazione del virus, nonché che verificasse se, nell’anno 1978, anno in cui il neonato fu vaccinato, fosse già specificatamente accertato il legame fra il vaccino Sabin e la polio paralitica.

Il CTU di primo grado, esperto nel campo dei vaccini, ha evidenziato che il pericolo della retromutazione del virus, insito nelle caratteristiche del vaccino Sabin, era certamente noto all’epoca dei fatti.

Pertanto la Corte Etnea ha ritenuto sussistente la prova che, sin dall’epoca della vaccinazione antipoliomielitica obbligatoria del neonato, era già nota la possibilità che potesse verificarsi tale grave conseguenza avversa, con conseguente manifestazione degli effetti devastanti della malattia, e pertanto ha riconosciuto la responsabilità del Ministero della Salute, che avrebbe dovuto vietare quel tipo di vaccinazione o quantomeno consentirla solo con modalità idonee a limitare i rischi ad essa connessi.

D’altronde il Ministero non aveva disposto specifiche modalità per la somministrazione del vaccino Sabin; peraltro mancava a quel tempo uno specifico e chiaro protocollo ministeriale vaccinale che imponesse una preventiva accurata ed approfondita visita medica ed indagine anamnestica, attraverso il rispetto di predeterminati obblighi informativi, al fine di prevenire ogni rischio.

Il Ministero avrebbe quindi dovuto, in adempimento dei propri doveri di precauzione, vigilanza e controllo preventivo, nonché in ossequio alle comuni norme di cautela e prudenza, nonché a tutela della salute dei cittadini che con fiducia si affidavano alle direttive impartite dallo Stato in materia di sanità, proibire la somministrazione di detto vaccino; invero con una valutazione ex ante, sulla scorta delle migliori cognizioni scientifiche del momento, il Ministero della Salute poteva e doveva prevedere il rischio connesso all’utilizzo del Sabin, prova ne è che se avesse tenuto una condotta doverosa, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento (concretizzarsi del rischio connesso al vaccino Sabin).

Tale violazione è in sé un comportamento colposo ed antigiuridico e costituisce fonte di responsabilità per il Ministero poiché “l’omissione di un comportamento dovuto è di per sé un comportamento antigiuridico” (cfr.Cassazione civile, 20/05/2015 n.10291 che richiama le Sezioni Unite, 11/01/2008 n. 576).

Cassazione Civile, Sezione III, n. 9406 del 27.04.2011 ha, sul tema controverso, affermato che “in tema di responsabilità del Ministero della Salute per i danni conseguenti alla vaccinazione obbligatoria contro la poliomielite, inquadrabile nella previsione generale dell'art. 2043 cod. civ., la normativa nazionale ha previsto in un primo tempo che tale vaccinazione si svolgesse con il sistema del virus attenuato (Sabin) e, successivamente, con quello del virus inattivato (Salk), essendo stata riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale l'astratta pericolosità del primo tipo di vaccino in determinate situazioni. Ne consegue che, ai fini dell'accertamento della responsabilità del Ministero, una volta dimostrato che il danno si sia verificato in conseguenza della vaccinazione col sistema Sabin, il giudice di merito è tenuto a verificare se la pericolosità di quel vaccino fosse o meno nota all'epoca dei fatti e se sussistessero, alla stregua delle conoscenze di quel momento, ragioni di precauzione tali da vietare quel tipo di vaccinazione o da consentirla solo con modalità idonee a limitare i rischi ad essa connessi.

La Corte d’Appello ha peraltro sottolineato che già all’epoca esisteva una valida alternativa per la vaccinazione antipoliomielitica; infatti il CTU aveva indicato come alternativa valida il vaccino Salk, completamente sicuro e valido poiché a differenza del vaccino Sabin, vivo attenuato, il Salk, vaccino IPV, già utilizzato nello stesso periodo in ambito internazionale, era un vaccino inattivo.

Si ritiene comunque che il thema decidendum ed il thema probandum vada in ogni caso così circoscritto: non sussiste un onere probatorio in capo al paziente di individuare il vaccino che avrebbe dovuto essere utilizzato per una sicura vaccinazione, il punto nodale è che il vaccino approvato dal Ministero doveva essere non pericoloso e sicuro, e tale non lo era certamente il SABIN se si ha la contezza di diversi episodi conosciuti di VAPP ogni anno nel mondo.

La scelta di un vaccino con le caratteristiche del Sabin, quale unico tipo di vaccino obbligatorio contro la poliomielite, non poteva apparire giustificata neppure se finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo dell’immunizzazione di gregge a tutela della salute pubblica, scenario certamente esistente in Italia al momento dell’entrata in vigore della legge 04.02.1966 n. 51 e dei successivi D.M. del 25.05.1967 e del 14.01.1972.

A distanza di circa dodici anni dall’entrata in vigore della legge sull’obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica, nel 1978, infatti, il male della poliomielite era stato ormai eradicato (cfr. grafico della poliomielite in Italia: fonte ministero della Sanità-dipartimento di prevenzione).

grafico del vaccino Sabin

Nota bene l'azzeramento della curva negli anni settanta.

L’argomento vaccini oggi è più che mai delicato e attuale, di certo possiamo concludere, nel massimo rispetto delle opinioni di tutti su un tema così delicato, che rigore, trasparenza, informazione e soprattutto sicurezza dei vaccini rappresentino una pregiudiziale imprescindibile della campagna vaccinale: ogni singola vita umana persa per un effetto collaterale del vaccino vale tanto quanto la singola vita che la stessa medicina riesce a salvare con il vaccino ed in un moderno Stato di diritto non pare conforme ai principi costituzionali di libertà, eguaglianza ed al diritto alla salute accettare la logica del morire pochi per salvare tanti, ovvero impedire la scelta, tra diversi vaccini esistenti, di quello ritenuto più efficace e/o sicuro da parte del paziente, nell’esercizio del diritto fondamentale all'autodeterminazione.

Allegato:

Corte Appello Catania sentenza n.696 2021

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