La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione nella sentenza n. 18887 del 15 luglio 2019 affronta la questione della illegittimità del licenziamento intimato al dipendente che rifiuti di lavorare il 1° maggio.
Mercoledi 24 Luglio 2019 |
Il caso: Il Tribunale rigettava la domanda proposta da L.M., dipendente di una società operante nel settore chimico, diretta ad accertare e dichiarare l'illegittimità, la nullità e l'ingiustificatezza del licenziamento, comminatogli, con condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro, con i conseguenziali provvedimenti di legge.
Il licenziamento era stato intimato perché il ricorrente aveva rifiutato di adempiere, in data 1° maggio, all'incarico conferitogli dal suo collega responsabile il giorno precedente, di effettuare un'operazione di controllo della sigillatura delle valvole e di assistenza delle operazioni di misurazione di un serbatoio di gasolio da caricare su una nave.
La Corte di appello, in riforma della sentenza di prime cure, convertiva il recesso intimato in licenziamento per giustificato motivo soggettivo e condannava la società a corrispondere in favore del ricorrente l'indennità di preavviso spettante in base al contratto collettivo, oltre accessori, compensando tra le parti le spese di giudizio.
Per la Corte territoriale era possibile, ai sensi delle disposizioni del CCNL di settore, per i dipendenti l'obbligo di prestare attività lavorativa in giorno festivo, entro ovviamente i limiti previsti il cui superamento, nel caso di specie, non risultava documentato.
L.M. ricorre in Cassazione, denunciando, per quel che qui interessa, violazione e disapplicazione delle leggi n. 260 del 1949, n. 90 del 1954 e n. 54 del 1977 nonché l'erronea e falsa applicazione degli artt. 1418, 1460, 2118 e 2119 cod. civ.: la Corte territoriale aveva errato nel non ritenere legittimo il rifiuto di L.M. di prestare l'attività infrasettimanale che avrebbe dovuto esplicarsi nella festività del 1° maggio, giorno di riposo previsto dalle leggi sopra richiamate e che le clausole contrattuali non avrebbero dovuto derogare.
La Cassazione, nel ritenere fondato il primo motivo di ricorso, osserva quanto segue:
- la legge n. 260 del 1949 (come modificata dalla legge n. 90 del 1954) riconosce al lavoratore il diritto di astenersi dal prestare la propria attività in determinate festività celebrative di ricorrenze civili e religiose, con esclusione, quindi, di eventuali sue integrazioni analogiche o commistioni con altre discipline;
- la legge citata n. 260 del 1949 non ha, poi, esteso alle festività infrasettimanali quelle eccezioni alla inderogabilità previste da una legge anteriore (la legge n. 370 del 1934) per il riposo infrasettimanale;
- solo per il "personale di qualsiasi categoria alle dipendenze delle istituzioni sanitarie pubbliche e private" è stato statuito l'obbligo della prestazione lavorativa durante le festività ("nel caso che l'esigenza del servizio non permetta tale riposo") in presenza di esigenze di servizio;
- il diritto del lavoratore di astenersi dall'attività lavorativa in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili è un diritto soggettivo ed è pieno con carattere generale;
- tale diritto non può essere posto nel nulla dal datore di lavoro, potendosi rinunciare al riposo nelle festività infrasettimanali solo in forza di un accordo tra il datore di lavoro e lavoratore e non già in virtù di una scelta unilaterale (ancorché motivata da esigenze produttive) proveniente dal primo;
- la rinunciabilità al relativo riposo è rimessa al solo accordo delle parti individuali o ad accordi sindacali stipulati da 00.SS cui il lavoratore abbia conferito esplicito mandato: i contratti collettivi, quindi, non potendo derogare in senso peggiorativo ad un diritto del singolo lavoratore se non nel caso in cui egli abbia loro conferito esplicito mandato in tal senso, non possono prevedere l'obbligo dei dipendenti di lavorare nei giorni di festività infrasettimanali, in quanto incidenti sul diritto dei lavoratori indisponibile da parte delle organizzazioni sindacali di astenersi dalla prestazione.
In sintesi: la possibilità di svolgere attività lavorativa non è rimessa alla volontà esclusiva del datore di lavoro o a quella del lavoratore, dovendo - invece- derivare da un loro accordo.