La Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 5732/2019 chiarisce in quali ipotesi è applicabile anche in ambito condominiale la disciplina generale delle distanze.
Mercoledi 6 Marzo 2019 |
Il caso: S.L. e F.P., poi deceduto in corso di causa, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale M.G., M.O. e P.A. (ai quali ultimi due, deceduti in corso di causa, succedeva a titolo universale il primo) perchè, in quanto proprietari di unità immobiliare posta nello stesso edificio condominiale, fossero condannati alla rimozione di una costruzione eseguita nell'area scoperta di loro proprietà esclusiva in violazione delle distanze rispetto alla soprastante veduta esercitata dall'appartamento di proprietà esclusiva degli attori, oltre al risarcimento del danno.
Si costitutiva il convenuto il quale deduceva l'infondatezza dell'avversa domanda, in quanto entrambe le unità immobiliari erano collocate nello stesso edificio, dovendosi quindi escludere l'applicazione dell'art. 907 c.c., essendo prevalente la disposizione di cui all'art. 1102 c.c..
Il Tribunale rigettava la domanda, mentre la Corte d'Appello accoglieva l'appello del S.L, condannando il M.G. a rimuovere la tettoia ed i pali di sostegno sino al rispetto della distanza legale di cui all'art. 907 c.c.,
M.G. propone quindi ricorso per Cassazione, deducendo, in particolare, la violazione e falsa applicazione degli artt. 907 e 1102 c.c. e osservando che:
a) gli immobili sono collocati all'interno di un condominio, come peraltro già sostenuto dal giudice di primo grado, per cui dovrebbe prevalere la previsione di cui all'art. 1102 c.c.
b) tale norma giustifica anche una deroga alla comune disciplina in materia di distanze, dovendosi assicurare prevalenza, in un'ottica di contemperamento tra contrapposte esigenze, all'interesse al concorrente godimento della cosa comune;
c) tale conclusione è rafforzata dal fatto che le opere che asseritamente violano le distanze legali sono indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell'immobile.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, precisa che:
- sebbene le due unità immobiliari delle parti siano ubicate in un condominio, il manufatto di cui si denuncia l'illegittimità è stato posto non su di un'area comune, ma a copertura di un'area scoperta annessa alla proprietà esclusiva del ricorrente ed a sua volta appartenente a quest'ultimo in regime di proprietà esclusiva;
- atteso che il conflitto si pone tra diritti spettanti alle proprietà esclusive dei contendenti, risulta non invocabile la diversa previsione di cui all'art. 1102 c.c., che attiene al concorrente godimento della cosa comune, mentre la controversia deve avere la sua soluzione in base alla sola applicazione dell'art. 907 c.c.;
La Corte quindi richiama il principio per cui “il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell'edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l'esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l'art. 907 c.c. il bilanciamento tra l'interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita”