Cittadini extracomunitari: sì al patrocinio a spese dello Stato presentando l'autocertificazione

Corte Costituzionale - sentenza 20 luglio 2021, n. 157.
Cittadini extracomunitari: sì al patrocinio a spese dello Stato presentando l'autocertificazione

Grazie alla Consulta, anche i cittadini Extracomunitari, al pari di quelli Italiani e UE, potranno finalmente accedere al patrocinio a spese dello stato, mediante la presentazione di una autocertificazione sul reddito prodotto all’estero.

Lunedi 2 Agosto 2021

Con la importante pronuncia additiva in commento, la Corte Costituzionale ha precisato, in tema di accesso al patrocinio a spese dello stato, che, onde evitare un irragionevole violazione del diritto di accesso alla tutela giurisdizionale, e una violazione del principio di uguaglianza con i cittadini italiani e quelli dell’Unione Europea, anche i cittadini Extracomunitari possono accedere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato utilizzando gli istituti di semplificazione amministrativa documentale, ovverosia la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, con la quale si dichiara la impossibilità di presentare la obbligatoria dichiarazione consolare relativa alla certificazione della veridicità dei redditi percepiti.

Vediamola nel dettaglio.

Due identiche ordinanze di rimessione del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, avevano sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione – quest’ultimo in relazione sia all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sia all’art. 3, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, concernente «Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa (Testo A)» – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non prevede che, nei casi di impossibile produzione dell’attestazione consolare, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea possano produrre «forme sostitutive di certificazione, in analogia agli istituti previsti dall’ordinamento nazionale», qualora dimostrino «di aver compiuto tutto quanto esigibile secondo l’ordinaria diligenza per ottenere la prevista attestazione consolare».

La illegittimità costituzionale risiederebbe, quindi, secondo il giudice rimettente, nella circostanza che l’esclusione dal patrocinio a spese dello Stato di uno straniero non abbiente, cittadino di un Paese non appartenente all’Unione europea, «viene a dipendere dall’inerzia di un soggetto pubblico terzo, non sopperibile [...] con gli istituti di semplificazione amministrativa e decertificazione documentale previsti, invece, per i cittadini italiani e dell’Unione europea».

Oltre a quanto esposto, vi sarebbe una irragionevole disparità di trattamento fra cittadini di differenti Paesi non aderenti all’Unione europea, in ragione della possibile diversa efficienza dei rispettivi apparati burocratici, nonché una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., relativamente a «tutte le convenzioni internazionali, stipulate e stipulande dallo Stato Italiano, che prevedano bilateralmente e multilateralmente l’estensione degli istituti della decertificazione amministrativa».

La Consulta ha più volte precisato – anche recentemente - che le scelte adottate dal legislatore nel regolare l’istituto del patrocinio a spese dello Stato sono connotate da una rilevante discrezionalità, che va preservata (sentenza n. 47 del 2020; ordinanze n. 3 del 2020 e n. 122 del 2016). Tuttavia, questo non sottrae tale normazione al giudizio sulla legittimità costituzionale, in presenza di una «manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate (da ultimo, sentenze n. 97 del 2019 e n. 81 del 2017; ordinanza n. 3 del 2020)» (sentenza n. 47 del 2020).

Il Supremo Consesso precisa che le norme del patrocinio a spese dello stato devono dare attuazione alla previsione costituzionale, secondo cui devono essere assicurati «ai non abbienti […] i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione» [(art. 24, terzo comma, Cost., il cui stesso secondo comma espressamente qualifica come diritto inviolabile (sentenze n. 80 del 2020, n. 178 del 2017, n. 101 del 2012 e n. 139 del 2010; ordinanza n. 458 del 2002)]

La natura inviolabile del diritto ad accedere ad una tutela effettiva, ai sensi dell’art. 24, terzo comma, Cost., non lo sottrae però al c.d. bilanciamento di interessi per effetto della scarsità delle risorse. Questa Corte «ha sottolineato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, è cruciale l’individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia (sentenza n. 16 del 2018 e n. 47 del 2020).

Ma la stessa Corte ci ricorda anche che il testo unico in materia di spese di giustizia introduce, nell’art. 119, con riferimento al patrocinio a spese dello Stato, una equiparazione al trattamento previsto per il cittadino italiano di quello relativo allo «straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare».

A fronte di tale equiparazione, però, l’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia stabilisce che, per i soli cittadini di Paesi non aderenti all’Unione europea che «i redditi prodotti all’estero [debbano essere certificati dalla] autorità consolare competente, che attest[i] la veridicità di quanto in essa indicato», senza contemplare alcun rimedio all’eventuale condotta non collaborativa di tale autorità e, dunque, all’impossibilità di produrre la relativa certificazione.

L’art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia – invece - prevede per il solo processo penale che «in caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta ai sensi dell’art. 79, comma 2, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, la sostituisce, a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione».

Non può non rilevarsi, nel quadro appena tracciato, che l’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia palesa rilevanti distonie. Avvalendosi del mero criterio della cittadinanza, il TU:

  • richiede la certificazione dell’autorità consolare competente per i redditi prodotti all’estero solo ai cittadini di Stati non aderenti all’Unione europea e non anche a quelli italiani o ai cittadini europei, che pure possano aver prodotto redditi in Paesi terzi rispetto all’Unione europea.

  • sembra pretendere dai cittadini degli Stati non aderenti all’Unione europea la certificazione consolare per qualsivoglia reddito prodotto all’estero, compresi quelli realizzati in Paesi dell’Unione Europea.

  • Al suo art. TU consente di sostituire la predetta certificazione consolare con una autocertificazione, ma per i soli processi penali, rendendo tutto l’apparato normativo manifestamente irragionevole.

La norma censurata sottende, secondo il diritto vivente, una presunzione che lo straniero abbia redditi all’estero. Tale presunzione implica un onere gravoso, specie quando la prova abbia un contenuto negativo, poiché tali redditi in effetti non sussistono, il che non è neppure una ipotesi così rara, se è vero che spesso è proprio lo stato di indigenza ad indurre le persone ad emigrare.

Inoltre, il profilo che più palesa il vulnus costituzionale, dell’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia, è che esso fa gravare sull’istante il rischio del fatto del terzo (ossia l’autorità consolare), la cui eventuale inerzia o mancata collaborazione rendano impossibile produrre la corretta certificazione.

La Corte, in diverse occasioni, si è scagliata contro le violazioni dei diritti dei cittadini derivanti dalla inerzia discendente dal fatto del terzo, come avvenuto in tema di accesso ai benefici dell’edilizia residenziale pubblica (non possono “gravare sul richiedente le conseguenze del ritardo o delle difficoltà nell’acquisire la documentazione … che la renderebbe costituzionalmente illegittima …”, sentenza n. 9 del 2021) o in tema di notificazione degli atti giudiziari o amministrativi (la Corte ha ritenuto «palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza possa discendere […] dal ritardo nel compimento di un’attività riferibile non al medesimo notificante, ma a soggetti diversi […]”).

In sostanza, e possiamo anche dire in conclusione, la norma del TU censurata, contrasta con gli artt. 3, 24 e 113 Cost. perché fa gravare sull’istante il rischio della impossibilità di produrre una specifica prova documentale richiesta per ottenere il godimento del patrocinio a spese dello Stato. Essa, infatti, impedisce, a chi è in una condizione di non abbienza, l’effettività dell’accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del diritto alla tutela giurisdizionale.

E’ pertanto meritevole di accoglimento la richiesta del rimettente di una pronuncia additiva, che eviti il contrasto con il principio di autoresponsabilità, tramite l’aggiunta di una previsione che già trova riscontro nella disciplina dettata dall’art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia, per il processo penale, nonché dall’art. 16 del d.lgs. n. 25 del 2008: la legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia può essere ricostituita, integrando la previsione sull’onere probatorio, con la possibilità per l’istante di produrre, a pena di inammissibilità, una «dichiarazione sostitutiva di certificazione» relativa ai redditi prodotti all’estero, una volta dimostrata l’impossibilità di presentare la richiesta certificazione.

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