La Cassazione, con ordinanza n. 19025, depositata l' undici luglio scorso, ha ribadito che i compensi minimi per gli avvocati, possono essere rivisti al ribasso, anche al di sotto dei parametri ministeriali, di cui al decreto n. 55/2014, qualora si tratti di cause ripetitive con esito negativo.
Giovedi 18 Luglio 2024 |
Nel caso di specie, un avvocato chiedeva la condanna di una società al pagamento della somma complessiva di € 86.668,00, per aver patrocinato, in suo nome e conto, dieci procedimenti giudiziari. La S.r.l., costituitasi in giudizio contestava, per ogni singolo procedimento, la misura del compenso richiesto in ragione ora della natura della causa, ora dei criteri da applicare, ora dello scaglione utilizzato, eccependo la piena satisfattività di quanto già corrisposto, nella misura di € 15.945,06.
All' esito del giudizio, il tribunale accoglieva parzialmente la domanda dell' avvocato, liquidando un importo di € 8.558,95 a titolo di onorario, oltre accessori. Il professionista adìva la Suprema Corte sollevando ben cinque motivi:
con il primo lamentava la riduzione del compenso con riferimento ai ricorsi in opposizione agli atti esecutivi, perché calcolati sulla base dee tariffe minime ridotte poi del 70%, in violazione delle norme del DM n. 27/2018 che consentivano sì la riduzione delle tariffe medie ma in misura non superiore al 50%;
con il secondo contestava al tribunale di non aver calcolato il compenso per ogni procedimento, come richiesto, ma di aver effettuato un calcolo complessivo, con conseguente obbligo a suo carico di dover restituire gli acconti versati e mai contestati dalla controparte;
con il terzo disapprovava la mancata valutazione delle prove prodotte in relazione al valore di determinate controversie;
con il quarto eccepiva la violazione di alcune disposizioni del DM n. 55/2014 perché in relazione alle opposizioni, l’autorità giudicante riduceva i compensi del 70% rispetto ai valori minimi, mentre il giudice avrebbe dovuto applicare i valori medi e diminuirli eventualmente del 50%;
con il quinto e ultimo motivo contestava al giudice di aver omesso di analizzare alcune circostanze, come la corresponsione di acconti e quindi l’indicazione in parcella delle somme dovute a saldo, evitando in tal modo di indicare importi inferiori a quelli già incassati.
La Cassazione ha accolto solo il secondo motivo, ritenendo che i giudici abbiano violato il principio secondo cui la liquidazione dei compensi, nel rispetto del DM 55/2014, deve avvenire per ogni fase del giudizio travalicando, inoltre, i limiti della domanda, in quanto era stato richiesta la sola liquidazione delle spettanze della fase decisionale.
Per la Corte, i giudici di merito hanno calcolato il compenso sullo scaglione minimo che hanno ridotto del 70% in virtù della considerazione che tutte le opposizioni riguardassero “contestazioni del credito similari, proponibili anche unitariamente e non, come avvenuto, scaglionate; che l 'esito fosse stato per tutte infausto; che nessuna delle cause presentasse questioni giuridiche o fattuali particolarmente complesse; e che la società debitrice si trovasse in una condizione complessa in quanto soggetta a custodia giudiziaria”.
Secondo la Cassazione, la riduzione del 70% operata sulle spettanze, dai giudici di merito, non origina alcuna violazione di legge, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione perchè tutte le opposizioni facevano riferimento a contestazioni del credito simili tra loro sottolineando, inoltre, che il giudice ha un'ampia discrezionalità nel determinare i compensi degli avvocati, a patto che la sua decisione sia adeguatamente motivata, così da consentire il controllo e le ragioni giustificatrici dello scostamento e della relativa misura e sempre in osservanza del disposto dell'art. 2223, secondo comma, cod. civ., il quale vieta di liquidare somme simboliche, non consone al decoro professionale.
Cassazione civile ordinanza 19025 2024