La Corte Suprema di Cassazione Sez.V Penale si è espressa, con la sentenza del 28 febbraio 2025,n.8379,sull’utilizzo del“braccialetto elettronico” nei casi dell’adozione di misure cautelari personali, volto ad incrementare e rendere maggiormente effettivo il controllo sulla persona sottoposta a tale misura, alla luce di alcun inconvenienti generati dal malfunzionamento del dispositivo. Ed a tutela della sicurezza personale delle Vittime e dei loro familiari (v. sentenza in calce).
Giovedi 10 Aprile 2025 |
Con la importante decisione la S.C.ha, inoltre, sancito che “se l'applicazione del braccialetto elettronico non è tecnicamente fattibile, il Giudice che ha vietato l'avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa non può disporre in modo automatico una misura cautelare più afflittiva ma occorre una nuova valutazione da parte dell’Autorità Giudiziaria”.
Il caso esaminato traeva origine dal ricorso presentato dall’indagato per la eccepita violazione dell’art.612-bis C.P. che sanziona i c.d. “Atti persecutori”, avverso l’Ordinanza emessa dalla Sezione del Riesame del Tribunale di Milano con cui veniva disposta l’applicazione nei confronti del ricorrente della misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, come previsto dall’art. 282-ter CPP., misura rafforzata dal contestuale ricorso allo strumento del braccialetto elettronico in base a quanto previsto dall’art. 275-bis del Codice di rito.
Inoltre, nel provvedimento impugnato, il Tribunale aveva previsto che, laddove l’uso del braccialetto elettronico non fosse stato accettato dalla persona indagata ovvero se lo stesso fosse risultato tecnicamente inefficace, la misura cautelare adottata poteva essere sostituita, in modo automatico e senza alcun tipo di valutazione da parte dell’Autorità Giudiziaria, dalla misura, più gravosa, del divieto di dimora ex art.283 CPP (!!).
Per contro, la Cassazione, in virtù dei principi regolatori del c.d. Giusto Processo in ordine all’adeguatezza e proporzionalità della misura adottata, ha sancito che è necessario che il Giudice effettui una nuova valutazione in merito alle esigenze cautelari, pur non escludendo, in via aprioristica, l’applicazione di una misura più lieve rispetto a quella originariamente disposta.
La Suprema Corte ha disatteso il primo motivo del ricorso con cui il ricorrente lamentava la manifesta illogicità della motivazione in punto di fumus boni juris dei delitti contestati in rubrica allo stesso, evidenziando, in particolare, rispetto alle condotte di atti persecutori, che non si comprendeva il nesso individuato tra le richieste di aiuto economico formulate dall'ex moglie ai servizi sociali con la dedotta sussistenza di dette condotte.
La Corte ha accolto, invece, il secondo motivo del ricorso, proposto in via subordinata, riguardante la violazione dell'art. 282-ter, comma 1, CPP, oggetto di un’ampia disamina della Consulta con la sentenza n.173/2024,di cui infra, poiché il provvedimento impugnato aveva stabilito che “nell'ipotesi di denegato consenso all'applicazione del braccialetto elettronico ovvero di impossibilità tecnica di applicazione dello stesso, la misura doveva essere "automaticamente" aggravata in quella del divieto di dimora.
A sostegno della decisione, si Legge, nella motivazione, che l'art. 282-ter CPP è stato collocato nel codice penale dall'art.9, comma 1, lettera a), del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11,convertito, con modificazioni, nella Legge 23 aprile 2009, n. 38.
Sotto la rubrica «[d]ivieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa», il nuovo articolo recita: «[c]on il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il Giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa» (comma 1); «[q]ualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il Giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone» (comma 2); «[i]l Giudice può, inoltre, vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2» (comma 3);infine «[q]uando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il Giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni» (comma 4).
L'art. 7, comma 1, dello stesso Decreto Legge n. 11/2009,come convertito, ha inserito il reato dell’art.612-bis CP. «[a]tti persecutori» (c.d. stalking), rispetto al quale la misura cautelare del divieto di avvicinamento ha una specifica funzione protettiva della Vittima .
Con la nuova definizione del reato di stalking, quindi, il divieto di avvicinamento ha cessato di essere soltanto un'eventuale prescrizione accessoria dell'ordine di allontanamento ex art. 282-bis c.p.p. ed è divenuto una misura cautelare autonoma.
La modifica si è rivelata indispensabile, come sottolineato dalla giurisprudenza, per ampliare la protezione anche alle relazioni non fondate sulla convivenza o, comunque, sulla condivisione della casa familiare, presupposto, invece, necessario per l'applicazione della misura già esistente dal 2001 (v.Cass Sez.VI, sent. n. 24351 del 28 aprile 2023, T., Rv. 284760-01).
E ancora. L'art.15, comma 2, della Legge 19 luglio 2019, n. 69 c..d. "Codice Rosso"ha aggiunto, alla fine del primo comma dell'art. 282-ter CPP, le parole «anche disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275-bis», ossia l'utilizzo dei mezzi tecnici che quest'ultimo prevede per gli arresti domiciliari, ossia il c.d. braccialetto elettronico.
Inoltre l'art. 12,comma 1, lettera d), numero 1), della Legge 24 novembre, n. 168 (c..d."Nuovo Codice Rosso"), intervenendo sul comma 1 dell'art. 282-ter CPP, ha indicato una distanza dalla persona offesa o dai luoghi dalla stessa abitualmente frequentati «comunque non inferiore a cinquecento metri» ed ha aggiunto che il divieto di avvicinamento è assunto «disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275-bis» e che, «[q]ualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il Giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi».
Infine, lo stesso art. 12,comma 1, lettera d), numero 2), della medesima Legge, intervenendo sul comma 2 dell'art. 282-ter CPP, ha esteso la tutela anche ai prossimi congiunti della persona offesa e delle persone con questa conviventi o a questa legate da relazione affettiva, per una distanza«comunque non inferiore a cinquecento metri disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275-bis».
Come innanzi ricordato, la Cassazione ha recepito nella decisione i principi contenuti nella sentenza della Consulta del 4 Novembre 2024 n.173, che aveva dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 282-ter, commi 1 e 2, del Codice di Rito, come modificato dall'art. 12, comma 1, lettera d), numeri 1) e 2), della Legge 24 novembre 2023,n. 168,sollevate in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, dal GIP del Tribunale di Modena con Ordinanza del 15 dicembre 2023.
Invero, a seguito delle modifiche introdotte dal c.d. Codice Rosso, il GIP di Modena aveva eccepito, con riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, la legittimità costituzionale dell'art. 282-ter, commi 1 e 2, CPP., nella parte in cui, disciplinando la misura cautelare del divieto di avvicinamento, la norma «non consente al Giudice, tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto e motivando sulle stesse, di stabilire una distanza inferiore a quella legalmente prevista di 500 metri» e «prevede che, qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle modalità di controllo, il Giudice debba necessariamente imporre l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi, senza, invece, possibilità di valutare e motivare, pur garantendo le esigenze cautelari di cui all'art. 274 CPP., la non necessità di applicazione del dispositivo elettronico di controllo nel caso concreto».
Inoltre, lo stesso Magistrato aveva ritenuto illegittima la norma nella parte in cui, «non consente al Giudice, tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto e motivando sulle stesse, di stabilire una distanza inferiore a quella legalmente prevista di 500 metri» e al contempo «prevede che, qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle modalità di controllo, il Giudice debba necessariamente imporre l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi, senza, invece, possibilità di valutare e motivare, pur garantendo le esigenze cautelari di cui all'art. 274 CPP, la non necessità di applicazione del dispositivo elettronico di controllo nel caso concreto».
Si legge nella motivazione dell’Ordinanza del Giudice remittente che l’impossibilità di eseguire la misura disposta imporrebbe l'applicazione di una misura più grave, eventualmente congiunta alla prima, della quale, tuttavia, non vi sarebbe nella specie un'effettiva necessità, quando l'indagato risulti persona incensurata con una stabile occupazione lavorativa e genitore di figli minori.
D'altro canto, secondo il GIP, non sarebbe ammissibile un'interpretazione costituzionalmente orientata, delle norme innanzi richiamate atteso che, per effetto delle modifiche operate dalla Legge n.168 del 2023,stabiliscono testualmente e inderogabilmente sia la distanza minima di cinquecento metri, sia l'impiego del dispositivo di controllo elettronico, senza lasciare al Giudice alcun margine di discrezionalità.
Invero, avere stabilito la distanza minima di cinquecento metri e l'aggravamento della misura, determinato dagli ostacoli tecnici inerenti al dispositivo di controllo, impedirebbero di «tenere conto della gravità del fatto, della personalità dell'indagato e di altre specificità che possono presentarsi al Giudice come, nel caso di specie, la concreta conformazione del territorio.
Secondo il GIP, sebbene la distanza minima introdotta sia ragionevole per i grandi centri urbani, nei comuni di piccole dimensioni si negherebbe di fatto l'accesso a molti servizi fondamentali, anche attinenti alla salute, risultando insufficiente la previsione del comma 4 dello stesso art. 282-ter CPP, il quale consente una modulazione del divieto solo per motivi di lavoro o per esigenze abitative.
Inoltre, risulterebbe altresì violato l'art. 13 Cost., sotto il profilo della riserva di giurisdizione sulla misura restrittiva della libertà personale, in quanto sia l'estensione dell'area interdetta, sia le conseguenze di aggravamento a causa degli ostacoli tecnici, sarebbero stabilite dal Legislatore «direttamente ed indiscriminatamente.
Pertanto, secondo il Giudice remittente, prevedendo come inderogabili la distanza minima di cinquecento metri e l'attivazione del dispositivo di controllo elettronico, quali forme esecutive della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e prescrivendo l'applicazione di ulteriori anche più gravi misure cautelari nell'ipotesi di non fattibilità tecnica del controllo remoto, le disposizioni censurate violerebbero gli artt. 3 e 13 Cost.
Peraltro, una rigida applicazione di tali disposizioni applicative impedirebbe al Giudice di adeguare la misura coercitiva alle esigenze cautelari della fattispecie concreta, sicché le disposizioni stesse, per un verso, travalicherebbero «i limiti della ragionevolezza e della proporzione, quali corollari del principio di uguaglianza», oltre ad invadere la riserva di giurisdizione concernente la restrizione della libertà personale dell'indagato.
Nonostante le i motivazioni dell’Ordinanza in questione, la Corte delle Leggi ha ritenute infondate le eccezioni sollevate dal GIP Modenese.
La Corte ricorda, nella sua decisione, che la diffusione della violenza di genere e dei femminicidi ha indotto il Legislatore a reiterati interventi volti alla difesa delle persone vulnerabili.
Una componente essenziale è rappresentata dalle misure cautelari previste dal Legislatore come l'allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicina mento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, misure disciplinate, rispettiva mente, dagli artt. 282-bis e 282-ter CPP.
La rilevanza di queste misure emerge dall'essere le stesse puntuale trasposizione dell'ordine di protezione europeo, di cui al decreto legislativo 11 febbraio 2015, n. 9 (Attuazione della direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011), sia nella procedura, “attiva”quando l'ordine è emesso dal Giudice italiano (art. 5), sia nella procedura "passiva", nella quale il Giudice riconosce un ordine emesso all'estero (art. 9).
Il divieto di avvicinamento è stato previsto già dall'art.282-bis CPP, introdotto dall'art. 1, comma 2, della Legge 4 aprile 2001, n. 154 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari) che disciplina l'allontanamento dalla casa familiare, ma, al comma 2, prevede l'eventuale ordine aggiuntivo di non avvicinamento «a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa.
Successivamente, l'avvertita necessità di includere nella sfera di protezione altre relazioni non fondate sulla condivisione della casa familiare, ha indotto il Legislatore a configurare il divieto di avvicinamento anche quale misura autonoma, con l'art. 282-ter cod. proc. pen., inserito dall'art. 9, comma 1, lettera a), del decreto-Legge 23 febbraio 2009, n. 11 convertito, con modificazioni, nella Legge 23 aprile 2009,n. 38 che ha inserito altresì l'art. 612-bis cod. pen., introducendo il reato di atti persecutori (c.d. stalking), rispetto al quale la misura cautelare del divieto di avvicinamento ha una specifica funzione protettiva.
L'art. 15, comma 2, della Legge 19 luglio 2019, n. 69 nota come "Codice Rosso" ha aggiunto, alla fine del comma 1 dell'art. 282-ter CPP le parole “anche disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275-bis, vale a dire l'utilizzo dei mezzi tecnici di controllo remoto”.
Il controllo elettronico venne in origine introdotto per gli arresti domiciliari ad opera dell'art.16, comma 2,del D.L. 24 novembre 2000,n. 341 (Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, nella Legge 19 gennaio 2001, n. 4.
Il testo originario dell'art. 275-bis rimetteva l'applicazione del controllo remoto al Giudice («se lo ritiene necessario»), mentre il testo odierno, modificato dall'art. 1, comma 1, lettera a), del decreto-Legge 23 dicembre 2013,n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, nella Legge 21 febbraio 2014, n. 10, sancisce una presunzione relativa di adeguatezza di tali procedure tecniche «salvo che [il giudice] le ritenga non necessarie», sicché gli arresti domiciliari con controllo elettronico sono adesso la regola e quelli "semplici" l'eccezione (v-Cass. SS.UU., sentenza 28 aprile-19 maggio 2016, n. 20769).
Tuttavia, mentre negli arresti domiciliari il braccialetto è un presidio unidirezionale, che consente alle Forze dell'Ordine di monitorare un'eventuale evasione, nel divieto di avvicinamento esso è un presidio bidirezionale, che, in caso di avvicina mento vietato, allerta non solo le Forze dell'Ordine ma anche la Vittima, dotata di un apposito ricettore.
Il divieto di avvicinamento può essere sia un divieto "fisso", riferito a luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, luoghi che occorre indicare nell'Ordinanza applicativa, sia un divieto "mobile", riferito proprio alla persona offesa, nel qual caso l'avvicinamento può dipendere anche dalla casualità degli spostamenti e la pertinente segnalazione si rivela viepiù essenziale in funzione di allerta. (v.Cass. SS.UU., sentenza 29 aprile-28 ottobre 2021, n. 39005)
Allo scopo di massimizzare la capacità difensiva della Vittima del tracciamento di prossimità, la Legge n. 168 del 2023 ha reso obbligatorio il controllo elettronico nel divieto di avvicinamento e l'art. 12, comma 1, lettera d), numero 1), ha eliso la congiunzione «anche» che nel testo anteriore del comma 1 dell'art. 282-ter CPP precedeva l'inciso «disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275-bis»; e ha pure stabilito che, «[q]ualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi», come ricordato dalla Cassazione nella sentenza in commento.
Sempre per assicurare una tutela effettiva quanto necessaria della Vittima, l'art. 12, comma 1, lettera d), numero 1), della citata Legge ha fissato una distanza minima per il divieto di avvicinamento, che deve essere «comunque» non inferiore a cinquecento metri, ed ha esteso tale distanza minima e il controllo elettronico obbligatorio pure per la tutela dei prossimi congiunti della persona offesa e delle persone con questa conviventi o a questa legate da relazione affettiva.
Le modifiche introdotte non hanno viceversa interessato il divieto di avvicinamento disposto in fase precautelare, quale prescrizione accessoria dell'allontana mento d'urgenza dalla casa familiare, di cui all'art. 384-bis CPP., norma, quest'ultima, inserita dall'art. 2, comma 1, lettera d), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province), convertito, con modificazioni, nella Legge 15 ottobre 2013, n. 119.
Nonostante sia intervenuta anche sulla disciplina di questa misura precautelare, in origine adottabile solo in flagranza di reato ma attualmente anche al di fuori di essa, la Legge n. 168 del 2023, all'art. 11, comma 1, non ha esteso a tale misura l'irrigidimento delle modalità esecutive, viceversa previsto per la misura cautelare.
Sul punto la Consulta ha richiamato la giurisprudenza intervenuta sugli automatismi nelle misure cautelari, sebbene sottolinei che l'applicazione del braccialetto elettronico non è di per sé una misura cautelare, ma soltanto una modalità applicativa (v. Cass. SS UU, sentenza n. 20769 del 2016).
A partire dalla sentenza n. 265 del 2010 (analoga alla sentenza n. 299 del 2005), la Corte Cost. ricorda nella sentenza che ha più volte affermato che la coercizione cautelare, in ossequio al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e al favor libertatis ex art. 13 Cost., deve rispondere ai criteri del minor sacrificio necessario e dell'individualizzazione, non essendo tollerabili automatismi né presunzioni assolute (v.sentenza n. 232 del 2013 e in ultimo richiamato dalla sentenza n. 22 del 2022).
Detto orientamento ha trasformato da assoluta in relativa la presunzione di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere per gran parte dei reati elencati dall'art. 275,comma 3, CPP, fino al recepimento del principio nell'art. 4, comma 1, della Legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali e. modifiche alla Legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità), che, intervenendo proprio sull'art. 275,comma 3,ha mantenuto la presunzione assoluta unicamente per i delitti associativi di cui agli artt. 270,270-bis e 416-bis cod. pen.
Con riferimento a tale tipologia di reati ed al persistente automatismo custodiale, la Consulta, investita delle censure ex artt. 3,13 e 27 Cost., ha dichiarato le stesse manifestamente infondate (ordinanza n. 136 del 2017, per il reato ex art. 416-bis cod. pen.) o non fondate (sentenza n. 191 del 2020, per il reato ex art. 270-bis cod. pen.).
Tali decisioni hanno fatto leva sull'eccezionale pericolosità correlata alla normale persistenza del vincolo associativo (mafioso o terroristico), a fronte della quale si è ritenuto non censurabile il bilanciamento effettuato dal legislatore, con la finalità di prevenire il rischio di un'«eventuale sopravvalutazione, da parte del Giudice, dell'adeguatezza di una misura non carceraria» (v.sentenza n. 191 del 2020).
Secondo la Consulta, il braccialetto elettronico. invero, non impedisce alla persona soggetta al divieto di avvicinamento di uscire dalla propria abitazione e soddisfare tutte le proprie necessità di vita, purché essa non oltrepassi il limite dei cinque cento metri dai luoghi specificamente interdetti o da quello in cui si trova la Vittima del reato in relazione al quale il divieto stesso è stato disposto.
La distanza indicata nella normativa non appare in sé esorbitante e corrisponde alla funzione pratica del tracciamento di prossimità, che è quella di dare uno spazio di tempo sufficiente alla potenziale Vittima di più gravi reati di trovare riparo e alle Forze dell'Ordine di intervenire rapidamente in soccorso della stessa.
Sebbene negli abitati più piccoli, la distanza di cinquecento metri può rivelarsi stringente, all'indagato ne deriva un aggravio che può ritenersi sopportabile come quello di recarsi nel centro più vicino per trovare i servizi di cui necessita, senza rischiare di invadere la zona di rispetto.
Inoltre, qualora, vi siano «motivi di lavoro» o «esigenze abitative», la cui individua zione è rimessa al Giudice che dispone la misura, il comma 4 dell'art. 282-ter CPP. consente al Magistrato di stabilire modalità particolari di esecuzione del divieto di avvicinamento, restituendo così all'applicazione della misura margini di flessibilità.
Questo bilanciamento asseconda il criterio di priorità enunciato dall'art. 52 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, approvata a Istanbul l'11 maggio 2011,ratificata e resa esecutiva con Legge 27 giugno 2013,n. 77.
Il controllo elettronico per l'attuazione delle ordinanze restrittive e degli ordini di protezione è, inoltre, specificamente previsto dalla direttiva (UE) 2024/1385 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica (considerando 46).
Nel disciplinare le misure urgenti di allontanamento imposte dal Giudice, inclusive del divieto di avvicinamento, la Direttiva stabilisce infatti che deve darsi «priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo» (!!).
L'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 282-ter CCP stabilisce che («[q]ualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi») e sembra stabilire, con la locuzione «impone», un aggravamento automatico del divieto di avvicinamento, quale effetto di un dato oggettivo, non imputabile all'indagato, cioè appunto la «non fattibilità tecnica» del controllo elettronico.
Se ne trae conferma dal raffronto con il penultimo periodo dello stesso comma 1 dell'art.282-ter CPP laddove, per la differente ipotesi nella quale il controllo elettronico risulti impossibile per il diniego di consenso dell'indagato, quindi per un fatto a lui imputabile, si prevede l'applicazione incondizionata «di una misura più grave».
Pertanto, se l'indagato consente a indossare il dispositivo e questo non può funzionare per motivi tecnici (come per mancanza della copertura di rete), il Giudice non è tenuto a imporre una misura più grave del divieto di avvicinamento, ma deve rivalutare le esigenze cautelari della fattispecie concreta, potendo, in base ai criteri ordinari di adeguatezza e proporzionalità, scegliere non solo una misura più grave (in primis, il divieto od obbligo di dimora ex art. 283 CPP), ma anche una misura più lieve (come l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ex art. 282 CPP).
In definitiva, nei casi in cui, sia impraticabile il divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico per ragioni tecniche, il Giudice deve rivalutare la fattispecie concreta senza preclusioni, né automatismi, e, pertanto, in aderenza alle regole comuni di adeguatezza e proporzionalità della misura da irrogare, può aggravare la coercizione cautelare ma anche alleviarla, con una decisione che resta sempre affidata allo stesso, come affermato dalla Cassazione nella sentenza in commento.