La scelta operata dal legislatore di ammettere al gratuito patrocinio le persone offese da determinati reati contro la libertà e l'autodeterminazione sessuale, indipendentemente dalle condizioni reddituali, rientra nei suoi poteri discrezionali “e non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la vulnerabilità delle vittime dei reati indicati dalla norma medesima”.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 1/2021, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, comma 4 ter, del d.P.R 30 maggio 2002, n. 115, recante “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”, nella parte in cui determina l'ammissione automatica al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima, sollevata in riferimento agli artt., 3 e 24, comma 3, della Costituzione.
Nel 2019, nell'ambito di un giudizio per il reato di violenza sessuale, veniva depositata istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato da parte della persona offesa, carente della dichiarazione attestante la sussistenza del limite di reddito prescritto dall'art. 79, comma 1, lettera c) del d.P.R 115 del 2002.
Il Gip sospendeva l'esame della domanda di ammissione al beneficio, invitando la parte all'integrazione della documentazione attestante le condizioni reddituali. Il difensore della donna depositava una nota nella quale evidenziava che il reato di violenza sessuale è “tra quelli per i quali il patrocinio a spese dello Stato è sempre concesso alla parte offesa prescindendo dalle condizioni reddituali”.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, con ordinanza del 13 dicembre 2019, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, comma 4-ter, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui dispone l'automatica ammissione – prescindendo, cioè, dal limite di reddito disposto dal precedente comma 1- al patrocinio a spese dello Stato delle persone offese dai reati di cui agli artt., 572 (maltrattamenti contro familiari e conviventi), 583 bis ( pratiche di mutilazione degli organi sessuali femminili), 609 bis (violenza sessuale), 609 quater (atti sessuali con minorenne), 609 octies (violenza sessuale di gruppo) e 612 bis (atti persecutori), nonché, ove commessi in danno dei minori: dai reati di cui agli art. 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù), 600 bis ( prostituzione minorile), 600 ter (pornografia minorile), 600 quinquies ( iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile), 601 ( tratta di persone), 602 (alienazione e acquisto di schiavi), 609 quinquies ( corruzione di minorenne) e 609 undecies ( adescamento di minorenni), c.p.
A parere del giudice rimettente, l'art. 76, comma 4-ter, si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., perchè “istituisce un automatismo legislativo di ammissione al beneficio al solo verificarsi del presupposto di assumere le vesti di persona offesa di uno dei reati indicati dalla medesima norma, con esclusione di qualsiasi spazio di apprezzamento e discrezionalità valutativa del giudice, disciplinando in modo identico situazioni del tutto eterogenee, sotto il profilo economico”.
La disposizione, inoltre, violerebbe anche il principio di uguaglianza oltre che l'art. 24 Cost. laddove dispone che “sono assicurati ai meno abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”. L'ammissione indiscriminata al beneficio, continua il Gip, porterebbe a far beneficiare dello stesso anche persone con idonee capacità economiche a discapito anche del contenimento della spesa in tema di giustizia.
A fronte delle argomentazioni sollevate, la Consulta evidenzia che la disciplina del beneficio del patrocinio a spese dello Stato è di natura processuale, presupponendo, pertanto, un'ampia discrezionalità legislativa, “con il solo limite della manifesta irragionevolezza e arbitrarietà delle scelte adottate”.
Nel caso di specie, la scelta effettuata con la disposizione in esame, rientra nella piena discrezionalità del legislatore e non appare né irragionevole, né lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la vulnerabilità delle vittime dei reati indicati dalla norma medesima. L'obiettivo perseguito dal legislatore è quello di assicurare sostegno alla persona offesa, incoraggiandola a denunciare gli episodi di violenza, rimuovendo ogni possibile ostacolo. Erroneamente, il giudice che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, ha considerato l'istituto del patrocinio a spese dello Stato come legato ad una presunzione di non abbienza delle persone offese dai reati indicati dalla norma oggetto di censura.
In realtà, nel nostro ordinamento, sono presenti anche altre ipotesi nelle quali il legislatore ha previsto l'ammissione a tale beneficio a prescindere dalla situazione di non abbienza (basti pensare: ai soggetti verso i quali è stato reso un provvedimento di archiviazione o di sentenza di non luogo a procedere; ai minori stranieri non accompagnati; ai figli minori o ai figli maggiorenni rimasti orfani di un genitore a seguito di omicidio commesso in danno dello stesso genitore; alle vittime di atti e di stragi di terrorismo).
Infine, per quanto riguarda la rilevata violazione dell'art., 24, comma 3, Cost., la Consulta chiarisce che la norma richiamata ha come finalità quella di assicurare ai non abbienti una difesa giurisdizionale dei propri diritti, non imponendo, invece, l'impossibilità di assicurare l'accesso alla giustizia ad altri soggetti, in nome di ulteriori interessi costituzionali ugualmente meritevoli di tutela. Sulla base di queste considerazioni, la Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, comma 4-ter, d.P.R. n. 115/2002, nella parte in cui determina l'automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma.