La definizione degli aspetti economici, raggiunta dai coniugi in sede di separazione, non può mai derogare all'indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale né limitare in alcun modo la libertà dei coniugi di agire e difendersi nel giudizio di divorzio: ordinanza 26 aprile 2021, n. 11012
Mercoledi 19 Maggio 2021 |
La Corte d'Appello di Cagliari, in parziale accoglimento della domanda proposta avverso la sentenza del Tribunale da parte dell'ex marito, revocava a carico di quest'ultimo l'obbligo di corresponsione, all'appellata, di un contributo per il mantenimento del figlio, confermando l'assegno di divorzio stabilito dal giudice in primo grado, a suo favore.
Per il giudice di secondo grado, l'accordo a cui gli ex coniugi sono addivenuti, in sede di separazione consensuale, volto a disciplinare i loro rapporti economici futuri, anche per il successivo divorzio, “non è affetto da nullità per illiceità della causa”, così come sostenuto dal ricorrente, precisando che, non essendosi verificate le situazioni di forza maggiore modificative delle condizioni economiche delle parti, l'ammontare dell'assegno stabilito in primo grado doveva certamente ritenersi congruo.
La sentenza veniva impugnata in Cassazione con un unico motivo di ricorso, da parte dell'ex marito, il quale deduceva la violazione dell'art. 5 della L.n. 898/1970, l'art. 10 della L.n. 74 del 1987 e dell'art. 1343 c.c. In particolare il ricorrente sosteneva che l'accordo concluso con la ex coniuge in sede di separazione consensuale era affetto da nullità per illiceità della causa, in quanto teso a disciplinare anche i rapporti economici del futuro divorzio. A parere del ricorrente, il giudice di merito non avrebbe dovuto far riferimento agli accordi presi in sede di separazione ma avrebbe dovuto cercare opportuni riscontri alle statuizioni contenute nell'art. 5 della L.n. 898/70 per la concessione dell'assegno divorzile, vale a dire l'inadeguatezza dei mezzi in capo al coniuge beneficiario rispetto al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio.
La Corte d'Appello non ha tenuto conto che, a seguito degli accordi intervenuti durante la separazione consensuale e richiamati nelle condizioni del decreto di omologa del tribunale, una parte rilevante del patrimonio immobiliare in comunione era stato attribuito alla donna, già proprietaria di altri beni. Inoltre, non aveva preso in considerazione né il decremento reddituale subìto dall'uomo negli anni immediatamente successivi alla separazione, né della domanda di riduzione dell'assegno di divorzio avanzata.
La Cassazione osserva che la giurisprudenza di legittimità, in tema di soluzione della crisi coniugale, è costante nel ritenere nulli gli accordi con i quali i coniugi definiscono transattivamente i reciproci, futuri, rapporti economici in vista del divorzio.
In particolare, il richiamo è alla sentenza n. 2224 del 30 gennaio 2017, con la quale è stato enunciato un importante principio di diritto, secondo il quale gli accordi con cui i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico e patrimoniale in vista del divorzio, sono invalidi per illiceità della causa perchè conclusi in violazione del principio di cui all'art. 160 c.c., di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale: “gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio”.
La Corte d'Appello è incorsa nell'errore di ritenere valido l'accordo al quale sono addivenuti i coniugi in sede di separazione perchè, a parere della Suprema Corte, ha mal interpretato la sentenza n. 8109/2000 che aveva dichiarato valido un accordo transattivo trasfuso, in parte, in un accordo di separazione per porre fine ad una risalente controversia patrimoniale, senza alcun riferimento ad eventuali patti regolativi di situazioni economiche tra ex coniugi.
Inoltre, come si evince dalle deduzioni di parte controricorrente, la donna aveva diritto a vedersi confermato l'assegno di mantenimento perchè, allorquando è stato determinato in sede di separazione, lo si è stabilito sulla base del conteggio di tutte le fonti di reddito delle aziende familiari, la più produttiva delle quali è rimasta di proprietà dell'ex marito e, pertanto, sulla base di siffatta disparità reddituale, egli aveva riconosciuto che il successo dell'attività aziendale era stato conseguito grazie alla collaborazione fattiva di entrambe gli ex coniugi e, perciò si impegnava a corrispondere la somma di € 550,00 mensili, “vita natural durante”, alla donna la quale, a sua volta, accettava un patto di non concorrenza nei riguardi dell'attività svolta dall'ex marito. Si impegnava, altresì, in caso di conseguimento di licenza a suo nome, di consentire la riduzione dell'assegno a 250 euro mensili.
La Corte d'Appello non aveva tenuto conto, nella sua decisione, “delle ragioni debito-credito”, riguardanti la cessione di azienda e il patto di non concorrenza ammettendo, erroneamente, la liceità di patti tra i coniugi ed ignorando che la regolamentazione negoziale risultante dalla transazione non deve essere in contrasto con la disciplina inderogabile dei rapporti economici tra gli ex coniugi.
Per tale motivo, la sentenza della Corte d'Appello viene cassata con rinvio alla stessa Corte, in diversa composizione, la quale dovrà tener conto del seguente principio di diritto:
“In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito-credito portati da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell'uno e a favore dell'altro da versarsi “vita natural durante”, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull'an dell'assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell'accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perchè giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all'assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)”.