Il Tribunale dei Minorenni di Milano, con Ordinanza del 4 Febbraio 2025,ha rinviato gli atti alla Consulta con la quale ha sollevato dubbi di legittimità in merito alla rigidità che impedirebbe al Giudice di ridurre la pena nel caso di violenza sessuale di gruppo di minore gravità (v.Ordinanza in calce)
Si legge nella motivazione del rinvio alla Corte delle Leggi che “in presenza di una violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies del C.P., commessa in forma ritenuta di minore gravità, non è prevista alcuna specifica attenuante per tali fatti, alla luce dell’interpretazione della norma ed anche perché qualsiasi diversa lettura non solo non sarebbe consentita ma andrebbe ancora oltre, in maniera inaccettabile, poiché, in tal modo, ”trasformerebbe il Giudice in Legislatore“.
In conseguenza, secondo il Tribunale, “appare opportuno e, anzi, doveroso sottoporre alla Corte la questione di legittimità costituzionale dell’art. 609-octies del C.P. le nella parte in cui non prevede che, nei casi ritenuti di minore gravità, la pena possa essere dal Giudice diminuita in misura non eccedente i due terzi“.
Sul punto il Tribunale eccepisce che “nel caso di una violenza sessuale ritenuta di minore gravità e tenendo conto dell’attenuante di cui all’art. 609-bis, comma 3, del C.P., il Giudice, muovendo dal minimo edittale (sei anni di reclusione) e operando la diminuzione massima, potrebbe comminare la pena di due anni di reclusione mentre un identico fatto di minore gravità, ma commesso da due persone riunite, sarebbe sanzionato con una pena di otto anni di reclusione (ossia ad una pena quadruplicata).
Ne scaturisce il paradossale effetto “che, in ordine alla pena, diventerebbe proporzionalmente più conveniente commettere una violenza sessuale di gruppo di sicura rilevanza rispetto a una violenza sessuale di gruppo potenzialmente di minore gravità“(!!).
Tali considerazioni, conclude l’Ordinanza, “consentono anche di dubitare della costituzionalità della norma alla luce della previsione di cui all’art. 27, della Costituzione poiché una pena che, nei fatti, non è proporzionale è certo contraria alla finalità rieducativa, non consentendo al Giudice di comminare una sanzione adeguata al concreto e oggettivo disvalore del fatto”.
È ciò sarebbe tanto più vero quando si procede nell’ambito di un giudizio minorile, tenuto anche conto che il principio costituzionale espresso dall’art. 31, secondo comma, della Costituzione, «richied[e]l’adozione di un sistema di giustizia minorile caratterizzato […] dalla prevalente esigenza rieducativa […]“.
Pertanto, per il Tribunale, a seguito degli inasprimenti alla normativa apportati dalla Legge del Codice rosso, sarebbe irragionevole il divieto di riidurre la pena oltre i due terzi “nei casi più lievi”.
Il caso trattato riguarda il giudizio penale a carico di un minore, accusato di aver avvicinato sul bus un ragazzo e di averlo indotto a seguirlo, con il pretesto di compiere atti sessuali consenzienti.
Arrivati in uno stabile abbandonato, dove c’erano altri due minori, il giovane adescato era stato rapinato del suo telefono cellulare, dietro la minaccia di un coltello, e poi palpeggiato.
La Vittima, che aveva prestato un consenso iniziale all’incontro, era riuscito a fuggire dall’edificio per chiedere immediatamente aiuto ed era tornato con le Forze dell’ordine per recuperare il cellulare e vi aveva trovato gli autori del fatto che, tuttavia, non si erano allontanati.
Nell’occorso il giovane malcapitato non aveva avuto necessità di cure mediche e non risulta dagli atti del fascicolo processuale che abbia avuto in seguito necessità di cure mediche.
Nondimeno, per l’imputato era scattata l’accusa di rapina e di violenza sessuale di gruppo, nella forma della “minore gravità”.
In tali casi, l’elemento nuovo sarebbe costituito dall’inasprimento delle pene, in base a quanto stabilito con la Legge 69/2019 del c.d. Codice rosso che punisce la violenza sessuale di gruppo con una forbice che va dagli otto anni di reclusione ai quattordici, rispetto ai precedenti sei e dodici.
Ad avviso del Giudice del rinvio, come innanzi evidenziato, si tratterebbe di un trattamento troppo rigido, che impedisce al Giudice di ridurre la pena oltre i due terzi stante l’automatismo introdotto.
Pertanto, la gravità della sanzione sarebbe in contrasto con il diritto al pari trattamento e con la funzione rieducativa della pena, perché eccessivamente vessatoria laddove il termine di paragone sarebbe costituito dalle condotte per le quali è possibile, nei casi di minore gravità, abbattere il “muro” dei due terzi.
Tale possibilità “sarebbe costituita nei casi di atti sessuali, consenzienti, con soggetti di giovanissima età o addirittura impuberi, che difficilmente hanno, nell’immediato, piena consapevolezza di ciò che sta loro accadendo”.(!!)
Orbene ed in attesa della decisone della Consulta, occorre approfondire la questione in base agli orientamenti esoressi dalla Giurisprudenza.
Il tema delicato é già stato affrontato in passato dalla Corte costituzionale, che aveva rigettato, come manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, difendendo il maggior rigore sanzionatorio rispetto alla violenza sessuale messa in atto da una sola persona, per la lesione particolarmente grave e traumatica della sfera di autodeterminazione della libertà sessuale della Vittima.
La Consulta, inoltre, ha anche effettuato il controllo di legittimità sulla proporzionalità della pena sotto il profilo dell’uguaglianza, ex art. 3 Cost. e, a partire dagli anni ’90,alla luce dell’esigenza rieducativa cui deve tendere la sanzione penale (art.27,co.3 Cost.), come sottolineato dal Tribunale deI Minorenni nella Ordinanza in commento.
La Consulta ha ritenuto che il sindacato costituzionale non presuppone necessariamente un confronto tra la pena prevista per un certo reato e quella stabilita per uno diverso poiché il principio di proporzionalità ben può risultare violato anche in base a un semplice raffronto tra la gravità delle condotte rientranti nell’ambito della fattispecie astratta e le conseguenze sanzionatorie
Nella determinazione in astratto della pena, che deve atteggiarsi come risposta adeguata alla concreta gravità del reato, il Legislatore è tenuto a rispettare il parametro della proporzionalità.
Quando la legge predispone circostanze attenuanti che consentono di adeguare la sanzione in base all’entità del singolo fatto, il Giudice è tenuto a riconoscere l’attenuazione di pena, ove ne ricorrano i presupposti, nel rispetto del principio di proporzionalità.
Tale impostazione di metodo della Corte delle Leggi consente di segnalare una anomalia nella giurisprudenza di legittimità laddove consideri necessaria, al fine di riconoscere la minore gravità della violenza sessuale, una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità.
Risulta evidente, infatti, che i singoli elementi oggetto della valutazione del Gudice devono essere idonei a incidere anche minimamente sulla riduzione della pena, laddove la sussistenza di una complessiva minore gravità, risultante da una valutazione di tutti gli indici, come sostiene la Cassazione ai fini della attenuante in esame, determinerebbe una netta riduzione della pena prevista dal co.1 (v infra).
Per contro, il dato letterale depone in senso contrario rispetto alla prassi giurisprudenziale, poiché l’art. 609 bis co. 3 c.p. dispone la riduzione di pena da un giorno ai due terzi, imponendo, di conseguenza, il riconoscimento della attenuante, anche a fronte di una violenza sessuale, complessivamente grave, ma connotata da singoli indici di gravità minore che, nell’ottica di un migliore ade guamento della pena alle esigenze rieducative del reo, possono incidere sulla quantificazione della sanzione, anche in ossequio al principio di proporzionalità tra reato e pena ricordato dalla Consulta.
Invero, la Giurisprudenza della Cassazione, in maniera pressoché unanime, si è fatta carico delle perplessità riscontrate sulla applicazione dell’attenuante e ha relegato il riconoscimento della circostanza nei casi in cui vi sia una particolare lievità del fatto, ricorrendo ad alcune ipotesi .
In particolare sono stati utilizzati, come indici di valutazione della minore gravi tà, i parametri di cui all’art. 133 co.1 C.P., che incidono sulla materialità del fatto e sulle modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, nonché sulle conseguenze lesive arrecate alla persona offesa.
In più occasioni, la Suprema Corte ha rinvenuto la violazione, da parte del Giudice di merito, dei principi giuridici affermati in materia di criteri applicativi della circostanza in esame, innanzi indicati, nei casi in cui sia stata concessa l’applicazione della attenuante in base a singoli indici di levità e non in base a una valutazione complessiva ex art. 133 co.1 C.P.
In particolare, in varie decisioni, è stato sostenuto dalla Cassazione che non è sufficiente, ai fini del riconoscimento della minore gravità, che non vi sia stata congiunzione carnale, in quanto, in caso contrario, si tornerebbe a operare la distinzione tra violenza carnale e atti di libidine violenti, superata dal Legislatore anche per dare maggiore peso alle conseguenze particolarmente lesive che atti sessuali, ancorché non integranti violenza carnale, possono comportare alle Vittime.
Pertanto, secondo tale orientamento, la violenza sessuale di minore gravità è tale solo quando, in base a tutti gli indici posti come parametro valutativo, sia ravvi ata una complessiva scarsa entità del fatto.
Anche la gravità di un singolo indice è idonea ad escludere la minore gravità considerando le conseguenze particolarmente lesive, anche a lungo termine, che un atto sessuale, anche se poco rilevante, può comportare a danno della Vittima (!!).
Si tratta di una posizione che la Cassazione ha ereditato dalla rigorosa giurisprudenza precedente, secondo cui nell’accertamento della minore gravità “deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione eser citato sulla Vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità”(v Cass Pen, Sez III, sent.n.35303 del 22 agosto 2023)
In precedenza, la stessa Sezione della Corte era già intervenuta in tema di presupposti per il riconoscimento della minore gravità nel reato di violenza sessuale stabilendo che il riconoscimento della minore gravità può avere luogo solo quando il fatto si presenti, in base a una valutazione complessiva, scarsamente lesivo (v.sent. n. 22090 del 9 marzo 2023)-
In definitiva, come ricorda la Dottrina (v.Cristiano Rega e Giulia Faillaci in InJus) la giurisprudenza della Suprema Corte è sempre stata ferma nel richiedere la necessità di una valutazione globale del fatto per discriminare la gravità della offesa al di là della tipologia di atto sessuale compiuto, che, tuttavia, costituisce un oggettivo parametro idoneo a chiarire molti degli altri come i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla Vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, l’occasionalità o la reiterazione delle condotte nei riguardi del medesimo soggetto passivo (Cass. pen., sez. III,22 novembre 2018, n. 13729).
Tutti questi elementi, in particolare, vanno analizzati nell’ottica del principale giudizio che dev’essere rivolto ad accertare il grado di compressione della libertà sessuale così come il danno arrecato alla Vittima anche in termini psichici (Cass. pen., sez. III,24 maggio 2019, n. 6502).
Sotto un altro profilo, va ricordato che la circostanza attenuante della minore gravità nel reato di violenza sessuale, come per il reato di cui all’art. 609-quater C.P., non può essere negata per il solo fatto della tenera età della persona offesa, essendo a tale fine necessari elementi di disvalore aggiuntivo sulla base dei criteri delineati dall’art. 133, comma 1,C.P.
Inoltre, in relazione all’abuso della fiducia e al legame affettivo con la Vittima, la Corte ha affermato che la diminuente della pena non è astrattamente incompatibile con il reato di violenza sessuale commesso sul minore dal genitore o da persona che ne abbia l’affidamento, dovendo comunque essere valutati in concreto l'impatto emotivo sulla Vittima e le conseguenze sul suo sviluppo psico-fisico, le modalità dei fatti, la durata nel tempo e l’invasività nella sfera sessuale della Vittima (Cass.pen., sez. III,12 luglio 2012, n. 34236).
Tali elementi possono essere, invece, valorizzati, insieme ad altri, ai fini del giudizio ex art.62-bis c.p., potendosi in quest’ottica utilizzare quei criteri soggettivi di commisurazione della pena (art. 133,comma 2,C.P.) sebbene irrilevanti ai fini della configurabilità dell'ipotesi di minore gravità del reato sessuale, non rispondendo la mitigazione della pena, in questa seconda ottica, all'esigenza di adeguamento alla colpevolezza del reo alle circostanze attinenti alla sua persona ma alla minore lesività del fatto, da rapportare al grado di violazione del bene giuridico della libertà sessuale della Vittima.
Pertanto, così come all'applicazione della circostanza attenuante speciale prevista dall’art. 609-bis, ultimo comma, C.P.(ma anche nel caso previsto dall’art. 609-quater, comma 4,C.P.) non consegue automaticamente l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto, mentre per la concedibilità di queste ultime rilevano tutti i parametri indicati nell'art. 133 c.p., per il riconosci mento dell'attenuante speciale rilevano solo gli elementi indicati nel comma 1 e non quelli indicati nel comma 2 del predetto articolo, allo stesso modo ben può darsi il caso inverso.
Da ultima, sullo stesso tema, si segnala la sentenza della Suprema Corte del 17 Gennaio 2025 n. 2056/2025,che affronta un aspetto piuttosto dibattuto.
Nella decisione la Corte afferma che, in tema di violenza sessuale su minore, l'induzione agli atti sessuali sussiste quando l'autore, approfittando della situazione di vulnerabilità psicologica della Vittima e delle sue problematiche evolutive e relazionali, instaura con essa un rapporto di apparente accoglienza e accondiscendenza ai suoi bisogni affettivi, proponendosi in modo torbido e prevaricatorio come figura di riferimento.
In conseguenza, la circostanza attenuante del fatto di minore gravità ex art. 609-bis, ultimo comma, C.P. va valutata sulla base di una considerazione globale del fatto, tenendo conto dei soli elementi di cui al primo comma dell'art. 133 C.P.(natura, mezzi, modalità dell'azione, gravità del danno, intensità del dolo) e non di quelli del secondo comma, dovendosi escludere l'attenuante in presenza di pluralità di violenze e grave compromissione della sfera psicologica del minore.
La Corte ribadisce in motivazione che, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, prevista dall'art.609-bis, comma terzo CPP, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione eserci tato sulla Vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteri stiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significa tivamente contenuto.
Pertanto, concludono i Giudici di piazza Cavour, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità nel reato di violenza sessuale, assumono rilievo solo gli i elementi indicati dal comma primo dello 'art. 133 C.P. e non anche quelli di cui al comma secondo, utilizzabili solo per la commisurazione complessiva della pena.
La necessità di connotare la fattispecie della violenza sessuale sulla base della mancanza del consenso e non delle concrete modalità esecutive con l’obiettivo di evitare forme di vittimizzazione secondaria, sono stati da tempo avvertiti anche in seno al Consiglio d’Europa.
Infatti, nel 2011,gli Stati membri hanno firmato la “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, in cui, all’art. 36,si stabilisce che le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penal mente i responsabili di atti sessuali compiuti su una persona “senza il suo consenso”.
La norma citata è finalizzata ad eliminare l’onere della prova della violenza.
Il fatto che si parli di mancanza del consenso, e non di costrizione, fa si che l’accusa debba solo fornire la prova di tale mancanza di consenso.
Occorre aggiungere, a quanto detto, che la Corte europea dei diritti dell’uomo, in ossequio all’art.36 della Convenzione di Istanbul, da quasi venti anni (come nel caso M.C. v. Bulgaria,4 dicembre 2003) ha affermato che gli Stati membri hanno sia l’obbligo “di perseguire e reprimere effettivamente ogni atto sessuale non consensuale, ivi compreso quello in cui la vittima non ha opposto resistenza fisica”sia quello di applicare la legislazione attraverso indagini e procedimenti giudiziari efficaci (v. sull’importanza del “consenso affermativo” all’atto sessuale l’articolo dello stesso Autore su questa Rivista).
In definitiva, l’esigenza di graduare la pena alla gravità del fatto rappresenta espressione dei principi di offensività, di proporzionalità, nonché del principio della funzione rieducativa della pena.
L’offensività opera non solo in senso qualitativo, escludendo la tipicità di condotte apparentemente conformi alla fattispecie tipica, ma inoffensive per i beni giuridici tutelati, ma anche in senso quantitativo, esprimendo l’esigenza di graduare la pena in rapporto alla concreta portata lesiva dei fatti.
Il Legislatore, oltre a stabilire i limiti edittali entro i quali il Giudice può muoversi per stabilire la pena in concreto applicabile, servendosi degli indici stabiliti all’art. 133 C.P., prevede circostanze che aggravano o diminuiscono la pena attraverso la valutazione di elementi ulteriori, utili ad adeguare la sanzione all’entità del fatto.
Il fatto che la legge si serva di criteri diversi per individuare le varie tipologie di circostanze che attenuano la pena non sembra essere casuale ma corrisponde ad una diversa valutazione che l’interprete deve effettuare per accertare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione.
La minore gravità del reato può dunque ravvisarsi tanto quando il fatto presenti indici di lesività nettamente ridotti rispetto al reato ordinario, quanto nei casi in cui anche un singolo indice consenta una sensibile riduzione della sanzione.
D’altro canto, il Legislatore si è premurato di descrivere una violenza sessuale connotata da minore gravità, all’art. 609 bis co. 3 c.p., stabilendo una riduzione di pena fino ai due terzi, precisando che il Giudice potrà ritenere opportuna, con l’applicazione della circostanza attenuante quando si configurano casi di violenza sessuale di minore gravità alquanto prossimi alla fattispecie di reato ordinaria.
Si tratta di scelte legislative che rispondono all’esigenza di differenziare la risposta sanzionatoria in modo che risulti proporzionata al grado di offesa arrecato al bene giuridico tutelato e la configurabilità della fattispecie attenuata prevista dall’art. 609 bis co. 3 C-P. si fonda su valutazioni che attengono essenzialmente al fatto, considerato nelle sue componenti oggettive.
In definitiva, la minore punibilità del fatto è subordinata ad un giudizio che non può essere circoscritto al disvalore della condotta criminosa sub iudice, ma va esteso, in funzione delle esigenze di prevenzione speciale, anche alla meritevo- lezza del reo che può beneficiare dell’esimente solo se dopo la commissione dell’illecito, si sia prodigato ad eliminarne o attutirne le conseguenze per la malcapitata Vttima.