Vittime di omicidio e l’aggravante della crudeltà

Vittime di omicidio e l’aggravante della crudeltà

Le recenti vicende di cronaca,che hanno avuto notevole risalto nell’Opinione Pubblica per l’efferatezza dei reati commessi in danno delle malcapitate Vittime, hanno riportato in primo piano l’importanza dell’applicazione dell’aggravante della crudeltà ai fini della determinazione della pena da infliggere,che spesso,non viene presa in considerazione.

Mercoledi 11 Dicembre 2024

In effetti,tale aggravante ricorre quando le modalità della condotta offensiva rendono obiettivamente evidente la volontà dell’agente di infliggere alla Vittima sofferenze tali da eccedere ogni limite rispetto alla consumazione del reato, rendendo così la condotta stessa particolarmente riprovevole per la gratuità e superfluità dei patimenti cagionati alla Vittima con un'azione efferata,rivelatrice di un indole malvagia e priva del più elementare senso di umana pietà,come ha stabilito più volte la Suprema Corte .

  • L’orientamento della Cassazione

Va,innanzitutto,ricordato che l'art. 577,c.1,n. 4, c.p.,in base a quanto stabilito nell'art. 61,n.4, c.p.,include, tra le circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo,l'aver adoperato sevizie e di aver agito con crudeltà verso le Vittime di un omicidio.

Secondo la Suprema Corte,l'aggravante della crudeltà ha natura soggettiva ed è caratterizzata da una condotta eccedente del responsabile rispetto alla normalità causale,che determina sofferenze aggiuntive e rivela un grave atteggiamento interiore riprovevole nella offesa arrecata alla Vittima(Cass. Pen. Sez. Un., sent. del 23/6/2016, n.40516).

In tali casi,infatti,la crudeltà dell’azione offensiva compiuta denota una particolare qualità dell'animo dell'agente ed il suo carattere come pure l'assenza dei sentimenti di pietà che contraddistinguono l'uomo civile ed è rivelata, sul piano oggettivo,dal mezzo usato e dalle modalità dell’azione compiuta,che costituiscono un quid pluris rispetto all'ordinaria produzione dell'evento (Cass. pen., Sez. I, 12/3/2015, n. 14998).

L’aggravante,pertanto,è ravvisabile,oltre che nelle modalità dell'azione offensiva, anche nella scelta dello strumento utilizzato dall’agente allo scopo di infierire sulla vittima per infliggerle particolari sofferenze o tormenti(Cass.Pen.,Sez.I, 14/10/ 2014,n. 2489).

Inoltre,la crudeltà si differenzia dalle "sevizie" arrecate alla Vittima,che sono specificamente finalizzate a cagionare sofferenze ulteriori e gratuite, rispetto alla "normalità causale"del delitto perpetrato,mentre la "crudeltà" è ravvisabile quando l'inflizione di un male aggiuntivo derivi da volontà illecita manifestata dall'agente in maniera spietata, anche se non è frutto di una sua scelta operativa preordi- nata (Cass. pen., Sez. Un., 23/6/2016, n. 40516).

Per contro,in alcune decisioni. la Suprema Corte ha affermato che“la mera reiterazione di colpi inferti alla Vittima non costituisce di per sé una condotta rilevante ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dell’aver agito con crudeltà, purché essa,in quanto connessa alla natura del mezzo usato per commettere l’evento delittuoso,non ecceda i limiti della normalità causale e non debordi in una manifestazione di efferatezza”(v. Cass. Pen.,sez. V, 17 gennaio 2005, n. 5678).

Da quanto innanzi esposto emerge che tali principi di diritto sono stati formulati in relazione a fattispecie concrete,nelle quali la pluralità di colpi inferti con armi da taglio,oppure con corpi contundenti,era apparsa necessaria al reo per poter realizzare l'intento omicida con l'impiego di uno strumento che avesse efficacia letale.

Pertanto,la ripetizione di gesti offensivi ed un atteggiamento di crudele accanimento contro la Vittima per incrementarne le sofferenze oltre il necessario,costituiscono il discrimine per la ravvisabilità della circostanza aggravante della crudeltà al di là dell'uso della violenza necessaria per portare a compimento la volontà omicida (sul punto v. Cass.Pen.sez. I, 27 maggio 2008, n. 25276,  Cass.Pen. sez. I, 19 dicembre 2007, n. 4495, ivi, n. 238942;Cass.Pen.,sez. I, 6 luglio 2006, n. 32006, Cass.Pen.sez. I, 6 ottobre 2000, Khalid).

Per completezza,va segnalata anche un’interessante pronuncia della Corte nella quale è stato affermato il principio secondo cui l'omicidio è aggravato dall'aver agito con crudeltà se avvenuto in presenza di bambini.

Si tratta di una fattispecie di omicidio nella quale la Suprema Corte,confermando la sentenza di merito,ha ravvisato la circostanza aggravante nel numero dei colpi inferti con un coltello alla Vittima,moglie dell'imputato,nella localizzazione dei fendenti al volto della donna pur nella consapevolezza dell'agente di agire alla presenza dei due figli in tenera età (v.Cass.Pen.,sez.I,20/12/2017, n. 20185).

L'analisi dei casi giurisprudenziali citati ha anche rivelato che,spesso,la circostanza aggravante presa in esame dai Giudici concorre con quella,altrettanto grave,della premeditazione (sul punto cfr Marrocco, Crudeltà nell’omicidio:gli ele menti integrativi dell’aggravante)

Sulla questione giova ancora esaminare un caso di specie dal quale ha preso le mosse una delle sentenze più importanti emanate dalla Suprema Corte.

Tizio si introduceva,assieme ad un complice,nell’abitazione della Vittima per compiere un furto suscitando così la reazione fisica della Vittima derubata.

Interveniva nella colluttazione il complice,il quale cominciava a colpire ripetutamente la Vittima,sia a mani nude, sia con l’uso di un ventilatore e di assi di legno chiodate,continuando a colpire anche dopo che l'aggredita era oramai inerte ed inoffensiva,provocando gravissime lesioni che finivano per cagionarne la morte.

L’imputato veniva condannato per omicidio aggravato dalla crudeltà,sia in primo che in secondo grado,ed entrambi i Giudici evidenziavano come l’azione criminosa avesse ecceduto ogni limite causando l’uccisione della Vittima a seguito della azione offensiva diretta a martoriare il corpo di quest’ultima per cagionarle atroci sofferenze ben oltre quelle strettamente connesse alla produzione dell’evento della morte.

Il difensore,a sostegno del ricorso avverso la sentenza di secondo grado, eccepiva un errore di diritto nell’avere la Corte d’Appello collegato la sussistenza della circostanza aggravante alla “mera reiterazione” di colpi inferti alla Vittima, aggiungendo che la molteplicità degli atti lesivi compiuti fosse proporzionale rispetto all’intento criminoso e che la mancanza di un’indole particolarmente malvagia nelle modalità esecutive si evincesse dalla scarsa offensività dei mezzi utilizzati (!!).

Nella decisione,la Suprema Corte ha censurato il preteso errore di lettura sotteso alle argomentazioni difensive e rigettato il ricorso,affermando che la circostanza aggravante della crudeltà presentava la natura di circostanza soggettiva da applicarsi al reo che aveva rivelato nel compimento del grave reato,una particolare efferatezza e brutalità.

Inoltre, dal punto di vista obbiettivo,con riguardo all’ipotesi dell’omicidio ex art. 575 c.p.,la responsabilità dell’imputato si evinceva dall’utilizzo di un metodo omicidiario eccedente il limite di quanto necessario e sufficiente a cagionare l’evento illecito voluto,e,quindi,in grado di produrre nei confronti della Vittima patimenti e sofferenze ulteriori ben al di là di quanto strettamente necessario all’esecuzione del crimine,dovute ad una particolare crudeltà e sadismo che,in quanto tali,giustificano l’aumento di pena e l’ergastolo (sulla cui efficacia ai fini della riabilitazione dei condannati si discute in questi giorni,benché non si metta in discussione il fatto che vi siano le condizioni e le circostanze che motivano il ricorso alla pena dell’ergastolo,ma sul cortocircuito ineludibile tra aspettative sociali ed entità della pena, tale da rendere fatale l’irrogazione del carcere a vita NdR).

Tuttavia,secondo la S.C.,con riferimento alla specifica questione della reiterazione di atti lesivi nei confronti della Vittima,vanno applicati i principi suesposti ed,in conseguenza,nell’ipotesi in cui proprio la reiterazione dei colpi sia strettamente necessaria a poter comportare la morte della persona offesa,l’aggravante non potrà avere alcuna rilevanza nella decisione, poiché l’esecuzione criminosa è contenuta nei limiti della proporzione atta a raggiungere l’esito criminoso voluto, mentre quando la reiterazione ecceda per quantità e/o qualità nella produzione di sofferenze e patimenti gratuiti,l’aggravante della crudeltà  opererà senza alcun dubbio (v.Cass.Pen.sez.I, 2 ottobre 2014 n. 40829)

A sostegno dell’orientamento della Cassazione,va ricordata la rilevante sentenza della Prima Sezione Penale,che ha riconosciuto,in linea con gli orientamenti di legittimità,l’applicazione dell’aggravante in commento al reo che aveva accoltellato per sessantaquattro volte la Vittima in diversi punti del suo corpo,così manifestando un feroce accanimento “non più funzionale al delitto” commesso e,come tale,ingiustificabile poiché “trascendente rispetto alla mera volontà di cagionare la morte”(v Cass Pen n.27163 del 28/5/2013).

Nel caso di specie,contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la reiterazione dei colpi prolungata in modo da infierire su una Vittima già inerte ed agonizzante ed altresì la particolare efferatezza di un’aggressione portata avanti con l’uso di assi chiodate dirette alla testa ed alla gola,peraltro proprio nella fase in cui la Vittima stessa era definitivamente incapace di opporsi,lasciavano emergere una volontà criminosa caratterizzata da una particolare malvagità dell’offensore tale da accrescere il biasimo dell’Ordinamento sul folle gesto e rendendo più complessa l’opera rieducativa.(v.Cass.Pen, Sez. I, 24 febbraio 2015, n. 8613)

Successivamente,la stessa Prima Sezione Penale si é soffermata,ancora una volta,sul rapporto tra la sussistenza dell’aggravante della crudeltà ed il numero di colpi inferti alla Vittima evidenziando che “il fondamento della aggravante di aver agito con crudeltà è ravvisabile in una maggior meritevolezza di pena nei casi in cui le circostanze concrete dell’azione consentano di identificare un effettivo superamento della “normalità causale” determinante l’evento,con la volontà di infliggere alla Vittima sofferenze aggiuntive rispetto a quelle “ricomprese” nella ordinaria incriminazione del fatto tipico“ atteso che “il sistema penale non consente di considerare punibile più di una volta,anche sotto il profilo circostanziale,la medesima condotta causativa dell’evento tipizzato dalla norma incrimina trice (divieto del bis in idem sostanziale come corollario del più generale principio di tassatività e determinatezza delle incriminazioni)“.

La Corte ha osservato come abbia già affermato,in numerosi decisioni,che “nel delitto di omicidio volontario, la mera reiterazione dei colpi inferti (anche con uso di arma bianca) non può determinare la sussistenza dell’aggravante dell’aver agito con crudeltà quando tale azione non ecceda i limiti connaturali rispetto all’evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a se stessa“ motivo per cui “non vi è, nè vi potrebbe essere, da parte della giurisprudenza emanata la fissazione di un preciso limite“numerico”dei colpi inferti,oltrepassato il quale l’omicidio può dirsi aggravato dall’aver agito con crudeltà, essendo invece necessario l’esame delle modalità complessive dell’azione e del correlato elemento psicologico del reato posto in essere“.

Nel compiere tale verifica, pertanto, “da un lato non può ritenersi possibile la considerazione sub specie aggravante di elementi di disvalore già ricompresi nel finalismo omicidiario o in diversa e autonoma circostanza (sopprimere volontaria mente una vita è di per sè atto contrario a qualunque senso di umanità) dall’altro va ribadito che il profilo ricostruttivo del fatto “circostanziale” non può che essere assoggettato alle medesime regole dimostrative (certezza processuale, al di là di ogni ragionevole dubbio) previste per la affermazione di penale responsabilità sul fatto principale“.

Nel caso esaminato,“la sussistenza della circostanza in parola è stata motivata con prevalente riferimento al numero dei colpi inferti, cui si è aggiunto il rilievo dellabbandono della Vittima in stato agonicoe,pertanto,“la mera reiterazione dei colpi (pur in tal caso, consistente) non può essere ritenuta fonte di detto aggravamento di pena, in un contesto sorretto dal dolo d’impeto e dal finalismo omicidiario correlato a tale condizione psicologica“.

Inoltre,“l’abbandono in stato agonico è anch’esso condotta ricompresa nella finalità omicidiaria,non potendo assimilarsi la crudeltà all’assenza di tentativi di soccorso alla Vittima che presuppongono una modifica sostanziale del finalismo che ha generato l’azione“.

Pertanto,"nel delitto di omicidio volontario, la mera reiterazione dei colpi inferti (anche con uso di arma bianca) non può determinare la sussistenza dell'aggravante dell'aver agito con crudeltà se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all'evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a sé stessa (Cassazione Penale, Sez. I, 24 febbraio 2015, n. 8613)

In definitiva,la Suprema Corte è tornata varie volte sul tema della natura giuridica dell’aggravante della crudeltà e della sua compatibilità con la molteplicità di colpi inferti dall’omicida alla propria Vittima sebbene non sia stata applicata nelle decisioni più recenti, di cui infra.

  • Differenza tra crudeltà e dolo d’impeto

Altra questione affrontata dalla Cassazione è stata quella rapporto tra la circostanza aggravante della crudeltà ossia «l’avere adoperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone» e l’elemento psicologico del dolo d’impeto.

La Corte ha stabilito che,nella specifica ipotesi dell'omicidio commesso con impeto di gelosia tramite la mera reiterazione di colpi di coltello,l'aggravante non sussiste posto che tale reiterazione è connaturata allo strumento utilizzato per conseguire l'effetto delittuoso e non eccede i limiti della normalità causale (Cass.Pen., sez. I, 12/03/2015, n.14998).

La questione é stata affrontata anche dalla sentenza delle SS.U. n.40516/2016 con la quale la Corte individua,in effetti,una soluzione del dubbio sull’aggravante che non è basata su ragioni dogmatiche legate alle caratteristiche normative delle figure del dolo d’impeto e della crudeltà.

L’esclusione della circostanza – secondo le Sezioni Unite – non é determinata dall’esistenza di dolo d’impeto, cioè di una deliberazione criminosa improvvisa, bensì dalla rabbiosa concitazione che determinò la furiosa e non mirata ripetizione dei colpi che attinsero la Vittima in organi non vitali, tanto che la morte sopravven ne solo in un momento successivo al termine dell’azione violenta“.

Dunque,la pronunzia si rivela perfettamente aderente alle caratteristiche dell’aggravante sopra tratteggiate ossia l’inflizione di lesioni eccedenti rispetto alla normalità causale,sorretta dalla perversa volontà di cagionare gratuite soffe renze fisiche o morali alla Vittima.

Con Ordinanza del 6/5/2016 n.18955,la Cass.Pen.Sez.I, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione di diritto al fine di stabilire “se,avuto riguardo agli elementi costitutivi della aggravante della crudeltà,la modulazione dell’elemento psicologico del delitto, nella forma del dolo di impeto abbia influenza sulla configurabilità della circostanza in questione”.sottolineando,per quanto riguarda il concetto di crudeltà,che “la giurisprudenza è concorde nell’affermare il carattere soggettivo della circostanza,restando, tuttavia, controversa la questione della necessità della condizione della percezione sensoriale da parte della Vittima della azione delittuosa”.

Inoltre,secondo la più recente giurisprudenza di legittimità,«in tema di omicidio, il Giudice, per ritenere la sussistenza dell’aggravante di aver agito con sevizie e affermare crudeltà,dovrebbe preliminarmente procedere all’esame delle modalità complessive dell’azione e del correlato elemento psicologico,poiché, essendo il fondamento della circostanza costituito dall’esigenza di irrogare una maggior pena correlata alla volontà dell’agente di infliggere sofferenze “aggiuntive” rispetto a quelle ordinariamente implicate dalla produzione dell’evento, ai fini della sua configurabilità non possono assumere rilievo elementi di disvalore di per sè insiti nel finalismo omicidiario o in diversa e autonoma circostanza. 

Si tratta di una fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza dell’aggravante della crudeltà,riconosciuta dal Giudice di merito con riferimento al numero di colpi inferti e all’abbandono della Vittima in stato agonico, eviden ziando che tali elementi si collocavano in un contesto di dolo d’impeto e di finalismo omicidiario correlato a tale condizione psicologica.

Inoltre,con riguardo “all’incidenza della modulazione dell’elemento psicologico del delitto(nella forma del dolo di impeto) sulla configurabilità della aggravante della crudeltà”,la Corte remittente ha evidenziato che,in contrasto col più recente orientamento,era stato stabilito il principio secondo cui “l’aggravante prevista dall’art. 61 c.p.,n. 4 consistente nell'avere usato sevizie o crudeltà verso le persone, risulterebbe compatibile con il dolo d’impeto“ e pertanto «la relativa modulazione nella forma del dolo di impeto (ovvero in forme di più intensa volizione),si legge nell’Ordinanza,si non appare pertinente rispetto all’ambito della sussistenza della aggravante della crudeltà,posto che la condotta perpetrata con dolo d’impeto integra alternativamente l’aggravante della crudeltà, a seconda che risulti come espressione della gravità del reato, prescindendo dalla connotazione dell’elemento psicologico della condotta».

Sulla base dei rilievi dell’Ordinanza,con la sentenza emessa dalle SS UU sono stati affermati i seguenti principi di diritto:

–«il dolo d’impeto, designando un dato meramente cronologico, non è incompatibile con la circostanza aggravante della crudeltà di cui all’art. 61 c.1 n. 4 c.p.».

–«la circostanza aggravante dell’avere agito con crudeltà, di cui all’art. 61 c.1 n. 4 c.p.,è di natura soggettiva ed è caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole, che deve essere oggetto di accertamento alla stregua delle modalità della condotta e di tutte le circostanza del caso concreto, comprese quelle afferenti alle note impulsive del dolo».(Cass, Pen.,SS UU del 29 settembre 2016, n.40516)

  • La mancata applicazione dell’aggravante

Alla luce di quanto innanzi esposto ed in attesa di leggere le motivazioni della sentenza con la quale Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Giulia Cecchettin,negli ambienti forensi non desta particolare sorpresa l'esclusione delle aggravanti della crudeltà e degli atti persecutori dalla decisione della Corte giudicante.

In questo caso,i Giudici potrebbero aver valutato che le ripetute coltellate inflitte alla Vittima fossero tutte finalizzate solo all'omicidio della ragazza, con esclusione, dunque,dell'aggravante,proprio in base a quanto sancito dalla Cassazione per la quale, “non può stabilirsi un preciso limite 'numerico' dei colpi inferti, oltrepassato il quale l'omicidio può dirsi aggravato dall'aver agito con crudeltà, essendo invece necessario l'esame delle modalità complessive dell'azione".

Riguardo al’accusa di stalking ovvero di "atti persecutori",che costituisce una circostanza aggravante in caso di omicidio volontario e non autonoma figura di reato, la Dottrina ritiene che esso si configura se le condotte persecutorie sono ripetute e provocano nella Vittima uno stato permanente di ansia o di paura, tale da indurre la Vittima stessa a modificare le proprie abitudini di vita.

Invero,gli atti persecutori,come pure le condotte moleste e le minacce reiterate, devono essere tali da infondere nella Vittima:

1) un fondato timore per la propria incolumità

2) un perdurante e grave stato di ansia

3) un cambiamento delle proprie abitudini di vita.

Nonostante sia emersa chiaramente in dibattimento la prova delle minacce e delle molestie da parte del condannato,probabilmente non è stato considerato questo secondo aspetto,ovvero la paura della Vittima nei confronti del suo “fidanzato”, mentre è emerso chiaramente ed ampiamente provato nel processo che la stessa Vittima era sottoposta a costrizione dall’omicida..

L'insieme degli elementi raccolti durante le indagini e, da ultimo,l’atteggiamento tenuto dalla Vittima prima del delitto,potrebbero aver indotto i Giudici a ritenere insussistenti gli elementi costitutivi degli atti persecutori, con conseguente esclusione dell'aggravante prevista in tali casi di omicidio.

Inoltre,la decisione della Corte di Assise,nei primi commenti,potrebbe essere stata una scelta obbligata dettata dal contenuto della norma stessa atteso che il delitto di stalking è un reato di evento e non solo di condotta.

Ne consegue che la condotta senza l'evento non è stata ritenuta punibile perché il dibattimento non ha consentito di provare con certezza la sussistenza dell'evento (paura,timore, cambiamento di abitudini,ansia) posto che sia stata la Vittima stessa a fissare l'ultimo incontro che ha preceduto l’omicidio.

Mancherebbe,in definitiva,una condotta dell’imputato volta ad infliggere un male aggiuntivo,caratterizzata da spietatezza e sintomatica di un atteggiamento interiore riprovevole e moralmente inaccettabile anche a causa delle 75 coltellate inflitte alla Vittima nella modalità esecutiva omicidiaria dell’imputato al di là di ogni limite di umanità,poiché,per la Corte d’Assise di Venezia,non integrerebbero l’aggravante della crudeltà.

Sin qui la decisione assunta che susciterà ulteriori accese discussioni tra i Giuristi di fronte ad una sentenza,ritenuta da molti giuristi,ingiusta per la malcapitata quanto inerme Vittima, stante l’evidenza degli accertamenti processuali svolti..

Neppure la decisione assunta nel Caso Maltesi dalla Corrte di Assise di Busto Arsizio sulla base delle aggravanti della premeditazione,dei motivi abietti e futili e della crudeltà dell’imputato per l’omicidio commesso,si differenzia da quella emanata dalla Corte veneta. .

Secondo la sentenza,"posto che una certa quota di crudeltà è inevitabilmente insita in qualunque delitto doloso cruento, per decidere se la condotta omicida per cui è processo sia stata caratterizzata dalla circostanza aggravante in esame è ancora una volta necessario rifarsi ai concetti di sevizie e di crudeltà elaborati dalla Corte di Cassazione".

La decisione ricorda che le SS.UU. della Cassazione hanno affermato che «la crudeltà si distingue dalle sevizie, che fanno riferimento ad una "condotta studiata e specificamente finalizzata a cagionare sofferenze ulteriori e gratuite, rispetto alla "normalità causale" del delitto perpetrato» ed hanno spiegato che «si ha invece "crudeltà" quando l'inflizione di un male aggiuntivo denota la spietatezza della volontà illecita manifestata dall'agente,specificando che la circostanza aggravante dell'avere agito con crudeltà, di cui all'art. 61, primo comma, n. 4, c.p., è di natura soggettiva ed è caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interi ore specialmente riprovevole".

Ciò premesso,secondo la Corte giudicante,"bisogna allora chiedersi se avere inferto a C.M. tredici colpi di martello alla testa con i quali le sono state cagionate gravissime lesioni craniche ed encefaliche, ancorché non immediatamente letali, costituisca condotta crudele nel senso precisato dalla giurisprudenza di legittimità il che equivale a chiedersi se si possa ritenere che la descritta condotta di D.F. fosse volta ad infliggere un male aggiuntivo,fosse caratterizzata da spietatezza e fosse sintomatica di un atteggiamento interiore specialmente riprovevole, moralmente inaccettabile".

A tale quesito,la Corte d'Assise lombarda ha fornito risposta negativa, rilevando che la condotta cristallizzata nell'imputazione ed accertata in dibattimento "è stata unica ed è consistita in una serie di colpi di mazzetta portati senza soluzione di continuità quando D.F.,per le ragioni già sottolineate, decise che era giunto il momento di uccidere C.M.,approfittando del fatto che la donna fosse legata a terra mani e piedi, imbavagliata ed incappucciata, e non potesse rendersi conto di quanto stava per accaderle e difendersi".

Secondo i Giudici,nulla in concreto "ha dimostrato che i colpi di martello siano stati inferti in più fasi e che il movimento della testa della vittima fosse stato un movimento reattivo,drammaticamente consapevole; è invece ragionevole ritenere che quel movimento altro non sia stato che la reazione "meccanica" provocata dalla stessa violenza dei colpi".

Pertanto,secondo la Corte,"non può ritenersi provato in modo convincente che D.F. abbia continuato a colpire C. nonostante la reazione della donna, a testimonianza di malvagità, di insensibilità morale e di particolare ferocia"posto che, del resto,nessun elemento processuale "ha smentito la sua affermazione, secondo la quale il taglio della gola sarebbe stato un modo per alleviare le sofferenze della M., quando da un movimento della gamba di lei si era accorto che fosse ancora viva: se fosse stato mosso da crudeltà, F. avrebbe potuto "semplicemente" continuare ad infierire con il martello sul capo o sul corpo della donna".

In definitiva,nel caso di specie sarebbe un grave errore “desumere la crudeltà nel realizzare l'omicidio dalla raccapricciante,orripilante condotta successiva ed in particolare dall'agghiacciante "gestione" del cadavere e dello spaventoso scempio fattone (che tanto orrore ha suscitato nella pubblica opinione)"

  • Conclusioni

In conclusione,nelle decisioni più recenti,vi sarebbero due valutazioni della crudeltà degli autori degli omicidi da parte dei Giudici che non appaiono sostenibili in entrambi i casi presi in esame anche alla luce delle decisioni assunte dalla Suprema Corte.

Da circa quindici, vent’anni il dibattito pubblico intorno alle questioni di genere è cresciuto notevolmente ed è cresciuta l’attenzione nei confronti delle violenze contro le donne come emerge dall’utilizzo,sempre più diffuso,del termine femminicidio per indicare l’uccisione di una donna avvenuta in uno specifico contesto e all’interno di una determinata relazione tra vittima e autore di reato.

È presumibile pensare che le sentenze di queste ultime settimane siano un riflesso condizionato e in qualche modo inevitabile delle intense emozioni che hanno accompagnato queste vicende e che risulti difficile sottrarre i responsabili dalla pena dell’ergastolo quando si assiste a delitti di particolare efferatezza.

Invero,l'aggravante della crudeltà trova la propria proprio ratio nella maggiore pericolosità dell'agente,quando questi infligge alla Maltesi o alla Cecchettin patimenti fisici o morali non necessari alla realizzazione del reato oppure quando un tale comportamento denoti una particolare insensibilità a qualsivoglia sentimento umano.

Quindi,occorre porsi una semplice domanda:come avremmo reagito tutti noi se a fronte di delitti tanto crudeli non fosse stata inflitta una pena corrispondente a quella massima?

Poi ci sono le domande che deve farsi la Giustizia. che,evidentemente, non sono le stesse che attraversano l’Opinione Pubblica ed il sistema mediatico come pure lo sconforto dei familiari delle vittime.

Resta,infine,da chiedersi se si possa essere Vittima a metà..a diverse latitudini ed in ipotesi similari.

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