La III sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 23808 del 29 maggio 2019 chiarisce quando la diffusione di dati sensibili ai fini difensivi nell'ambito di un processo civile integri il reato di violazione della privacy ex art. 167 D.lgs. 196/2003.
Il caso: La Corte di Appello di Firenze riformava la decisione del Tribunale di Arezzo in data 26 febbraio 2014, appellata da P.A., assolvendolo dal delitto di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167, contestatogli per avere utilizzato dati personali, concernenti lo stato di salute, senza il consenso del figlio, C.A.
Il procedimento penale traeva origine da una denuncia querela proposta da C.A. contro il padre P.A. perche', nell'ambito di un giudizio civile relativo a crediti rivendicati dal figlio, al fine di giustificare l'infondatezza della pretesa creditoria con il profondo risentimento nutrito nei confronti dei genitori, produceva documentazione sanitaria relativa a grave patologia psichiatrica, ritenuta causa di tale atteggiamento.
Avverso la sentenza del giudice di appello C.A. ricorre in Cassazione, deducendo violazione di legge ed il vizio di motivazione, evidenziando che:
diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la diffusione della documentazione nell'ambito di un procedimento civile, senza il consenso dell'avente diritto alla riservatezza, di dati sensibili, avrebbe integrato il necessario presupposto del nocumento della persona offesa;
ciò avrebbe quindi determinato un danno di natura non patrimoniale conseguente alla diffusione di dati afferenti alla sfera intima, nonche' un danno patrimoniale, per avere indotto il convenuto opposto ad addivenire ad una transazione al fine di evitare la inevitabile soccombenza processuale.
La Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, nel merito osserva:
a) la Corte territoriale da un lato ha negato che la sussistenza del reato fosse da ritenersi esclusa per avere l'imputato legittimamente esercitato il proprio diritto alla difesa nel giudizio civile, ma dall'altro ha ritenuto insussistente il necessario requisito del nocumento;
b) in particolare per la Corte d'appello la produzione della documentazione medica era avvenuta esercitando il diritto di difesa senza il rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza stabiliti dalla legge, in quanto ultronea rispetto agli altri argomenti spesi per negare la sussistenza del credito;
c) al tempo stesso la Corte d'appello ha escluso la sussistenza del nocumento richiesto dalla legge, sulla base del fatto che non era stata dimostrata e neppure prospettata la diffusione dei dati personali al di fuori della ristretta cerchia di soggetti che ne erano venuti a conoscenza per ragioni professionali, restando a loro volta assoggettati al dovere di riservatezza;
d) peraltro, proprio con riferimento al giudizio civile, la produzione di un CD contenente foto e filmati ritraenti altre persone non costituisce una forma di "diffusione", bensi' di "comunicazione" di dati destinata a circolare e ad essere conosciuta tra persone determinate;
e) correttamente i giudici del gravame hanno posto in rilievo come il particolare contesto entro il quale era avvenuta la produzione del documento recante dati sensibili era tale da far ritenere, in assenza di dati fattuali significativi di segno contrario, che le informazioni in esso contenute sarebbero restate confinate nel ristretto ambito dei soggetti coinvolti, per motivi professionali, nel procedimento civile;
Pertanto, nel caso in esame, viene formulato il seguente principio di diritto: “ Il necessario requisito del nocumento richiesto per la configurazione del reato dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167 non puo' ritenersi sussistente, in caso di produzione in un giudizio civile di documenti contenenti dati personali, ancorche' effettuata al di fuori dei limiti consentiti per il corretto esercizio del diritto di difesa, in assenza di elementi fattuali oggettivamente indicativi di una effettiva lesione dell'interesse protetto, trattandosi di informazioni la cui cognizione e' normalmente riservata e circoscritta ai soli soggetti professionalmente coinvolti nella vicenda processuale, sui quali incombe un obbligo di riservatezza.
Corte di Cassazione|Sezione 3|Penale|Sentenza|29 maggio 2019| n. 23808