IL CASO: Il ricorrente, nonché amministratore unico di una Società cancellata dal registro delle Imprese, impugnava “ il provvedimento di diniego rimborso IVA n. 4614/2015” emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale - Ufficio Territoriale di Palermo preliminarmente sostenendo di essere legittimato attivamente al rimborso del credito d’imposta, in quanto amministratore, nonché liquidatore della società cancellata e che ai sensi dell’art. 5 del DM 26 febbraio 1992 prevede che “il rimborso dell’Iva spettante alla società cancellata, è eseguito dal liquidatore in qualità di rappresentante legale, a condizione che il credito d’imposta sia evidenziato nel bilancio finale di liquidazione”
Successivamente allo scioglimento della Società con atto notarile, il ricorrente, nella qualità di liquidatore, presentava all’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Palermo - Ufficio Territoriale di Palermo 1 richiesta di rimborso I.V.A. anno 2010.
Ma l’ Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Palermo - Ufficio Territoriale di Palermo 1, con provvedimento n. 4614/2015 notificato in data 19/03/2015, respingeva la richiesta di rimborso I.V.A. con la seguente motivazione “…i valori di bilancio sono di gran lunga inferiori ai valori storici dei beni ammortizzabili contabilizzati nell’apposito registro ( € 27.063,00 a fronte di € 71.928,27). Al fine di conferire un adeguato grado di attendibilità al test di operatività, si è quindi ritenuto necessario e opportuno assumere proprio i valori dei beni ammortizzabili come contabilizzati nell’apposito registro, derivando da ciò lo status di “non operatività” per la società in esame.Alla luce delle superiori considerazioni, pertanto, la richiesta di rimborso I.V.A. di € 40.000,00 viene denegata”
Ciò premesso pertanto, il liquidatore impugnava il provvedimento di diniego, articolando il ricorso su tre punti fondamentali ed ovvero: A) la disapplicazione della disciplina antielusiva di cui all’art. 30 l.724/94 sulle società di comodo – contraddittorietà ed illogicità del diniego, in quanto la Società a responsabilità limitata “Vidap Global Gr S.r.l.” iscritta nel registro delle imprese dal 17/03/2005, si occupava dell’ attività prevalente di Soccorso Stradale: “Soccorso e trasporto veicoli con massa complessiva a pieno carico fino a 3,51, con una percentuale sui ricavi del 45%; Soccorso e trasporto veicoli con massa complessiva a pieno carico oltre 3,51, con una percentuale sui ricavi del 55%” ; con tipologia di clientela: “ Privata, con percentuale sui ricavi del 37%. Altre imprese ed esercenti arti e professioni, con percentuale sui ricavi del 63%”; con beni strumentali : “ n.2 gru” Iniziava ad operare nel settore dei servizi di soccorso stradale già dal marzo del 2005. Per il triennio 2005/2008 la società chiudeva l’esercizio d’impresa con il seguente bilancio: - Al 31/12/2005 con un totale di immobilizzazioni pari ad euro 154.999. - Al 31/12/2006 con un totale di immobilizzazioni pari ad euro 123.063. - Al 31/12/2007 con un totale di immobilizzazioni pari ad euro 87.159. - Al 31/12/2008 con un totale di immobilizzazioni pari ad euro 26.833.
Ragione per cui, in data 12/05/2008 veniva deliberato, nella sede competente lo scioglimento della società. In effetti al 31/12/2008 dallo stato patrimoniale della società, risultava una perdita di esercizio pari a euro 48.300,20 ( risultato fra attività di euro 345.475,70 e passività di euro 395.775,90) con un totale di ricavi di euro 11.000,00. Orbene, la predetta società, in persona del rappresentante legale presentava, entro in termini normativamente previsti, la richiesta di rimborso I.V.A..
L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, rigettava la richiesta, motivando che la società ricorrente rientrasse nel novero delle società non operative, non avendo superato il test di operatività. I soggetti interessati dalla normativa, ai sensi dell’art. 30 della L.724/94, si considerano “non operativi” quando non superano il test di operatività, ovvero, la società si presume non operativa, quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi, delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal Conto Economico negli ultimi tre esercizi, applicando determinati coefficienti di rendimento al valore triennale medio di determinati beni dell’attivo patrimoniale ( es. titoli, immobili ed altre immobilizzazioni) è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando: a) la percentuale del 2% per il valore delle partecipazioni, strumenti finanziari assimilati, obbligazioni, titoli e crediti finanziari; b) la percentuale del 6% per gli immobili e i beni di cui all’art. 8 bis del D.P.R. n.633/1972, anche il locazione finanziaria; c) la percentuale del 5% per gli immobili della categoria catastale A/10; d) la percentuale del 4% per gli immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti; e) la percentuale del 15% per le altre immobilizzazioni materiali ed immateriali, anche il locazione finanziaria ( impianti, macchinari, brevetti, spese di ricerca , ecc.); e calcolati come media dell’esercizio oggetto di analisi e dei due precedenti. In altri termini, quando il reddito presunto è superiore al reddito effettivo, la società risulterà non operativa e quindi si procederà al calcolo del reddito minimo.
Nel caso de quo, invece, al contrario il test di operatività, veniva superato perché i ricavi del conto economico degli ultimi tre anni risultava superiore alla somma degli importi calcolati in base alla percentuale del 15% di cui alla lettera e).
Più specificatamente dal calcolo dei ricavi derivanti dal conto economico nel triennio 2005/2008 risultava: Tavola 1. Calcolo della media dei ricavi presunti: ANNI 2005 2006 2007 2008 MEDIA IMM.NI 154.999 123.063 87.159 26.833 98.013,50 15% Su 98.013,50 euro 14.701,95 ricavi presunti Tavola 2. Ricavi e proventi finanziari: ANNI 2005 2006 2007 2008 MEDIA Ricavi effettivi: 55.425 62.723 47.871 11.000 44.254,75 Pertanto, in considerazione dell’importo calcolato, seguendo i parametri previsti dall’art. 30 della L. 724/94 e finalizzato a determinare l’ operatività di una società, risultava invece superato il test di operatività, poiché la redditività presunta è inferiore alla redditività effettiva.
La finalità della L. 724/1994 è quella di contrastare la costituzione di società per la gestione di beni “serventi” al godimento dei soci piuttosto che all’oggetto imprenditoriale. Nel caso di specie, invece la società non solo non gestiva beni al servizio dei propri soci, pur tuttavia rientrava nella disciplina delle società in liquidazione, ma per oggettive situazioni che non permettevano risultati economici., se ne chiedeva regolarmente lo scioglimento anticipato nel 2008. Inoltre, la Società in questione risulta in piena regola, perché nel modello unico 2007 e 2008 si dichiarava sia l’operatività e conseguentemente anche la disapplicazione dei soggetti non operativi e prova ne era la documentazione prodotta, dalla quale si evinceva che: 1) Nel MODELLO UNICO 2007 QUADRO RF riguardante “verifica dell’operatività e determinazione del reddito imponibile minimo dei soggetti non operativi”- nel QUADRO RF79 venivano riportati: ricavi presunti euro 45.848,00 e ricavi effettivi euro 62.723,00; 2) Nel MODELLO UNICO 2008 QUADRO RF riguardante “verifica dell’operatività e determinazione del reddito imponibile minimo dei soggetti non operativi”- QUADRO RF78 “Esclusione/disapplicazione” veniva inserito il codice 99. Pertanto, la discrezionalità dell’Agenzia delle Entrate nell’annoverare la Società “Vidap Global Gru S.r.l.” fra le società non operative risultava pretestuosa, con il preciso scopo di rigettare ingiustamente la richiesta di rimborso.
E comunque, il comma 128 della Legge Finanziaria 2008 che ha introdotto il comma 4 ter attribuisce al Direttore dell’Agenzia delle Entrate la possibilità di individuare, con un apposito provvedimento, ulteriori situazioni oggettive, al ricorrere delle quali è consentito disapplicare automaticamente la disciplina delle società non operative, senza necessità di presentare un’apposita istanza di disapplicazione . E comunque, con il provvedimento n. 23681/2008 del Direttore dell’Agenzia delle Entrate venivano individuate le cause di disapplicazione automatica della disciplina della società di comodo operanti a partire dal periodo d’imposta in corso al 31/12/2007, nella quale vi rientrerebbe anche la società in questione ed ovvero “ società in stato di liquidazione, cui risulti applicabile la disciplina dello scioglimento o trasformazione agevolata di cui al comma 129 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2007, n.244, che con impegno assunto in dichiarazione dei redditi richiedono la cancellazione dal registro delle imprese a norma degli artt. 2312 e 2495 del codice civile entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi successiva; la disapplicazione opera con riferimento al periodo di imposta in corso alla data di assunzione del predetto impegno, a quello precedente e al successivo, ovvero con riferimento all’unico periodo d’imposta di cui all’art. 182, commi 2 e 3, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917e successive modificazioni ed integrazioni.
Tuttavia, malgrado nel provvedimento impugnato si leggeva che “…la ratio della disposizione risiede nella volontà di favorire le società in liquidazione, esonerandole dall’applicazione della disciplina delle società non operative in considerazione del loro particolare status, subordinatamente, tuttavia, all’assunzione, da parte delle stesse, del preciso impegno di estinguersi entro un determinato lasso temporale, circostanza che comproverebbe l’effettività della procedura liquidatoria”. L’Agenzia delle Entrate rigettava la richiesta di rimborso, adducendo motivazioni contraddittorie ed illogiche, sia rispetto a quanto affermava nel provvedimento di diniego, sia in relazione alla documentazione prodotta dal ricorrente, ed infine anche in considerazione del contenuto del provvedimento n. 23681/2008 del Direttore dell’Agenzia delle Entrate. B) Adempimento dell’ impegno assunto nella dichiarazione del redditi “cancellazione dal registro delle imprese ex artt. 2312, 2495 c.c.”
L’ art. 2312 del c.c. intitolato“ Cancellazione della società” prevede al primo comma che: “Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese”. Pertanto dopo la delibera dello scioglimento della società “Vidap Global Gru” con atto notarile del 12/05/2008, nella dichiarazione Unico per l’anno 2008, presentata in data 18/09/2009, la società in questione assumeva l’impegno allo scioglimento. Tuttavia, l’ Agenzia delle Entrate, respingeva la richiesta di rimborso I.V.A. motivando che “la domanda di cancellazione dal registro delle imprese è datata 20/10/2010, data successiva a quella ammessa dalla norma affinché la società possa beneficiare della citata causa di disapplicazione automatica”, omettendo la fonte normativa di previsione di un termine perentorio (qualora vi si sia!), eventualmente conseguenza di decadenza dal beneficio, ovvero, mal interpretando il tenore sia dell’ art. 2312 c.c. (che nulla recita in relazione al termine entro cui chiedere la cancellazione), così come il primo comma dell’art. 2495 c.c. disciplinando che a seguito dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese, anche in questo caso, nulla stabilendo in merito ai termini di presentazione della domanda di cancellazione. Unico punto fermo che emerge dalla lettura delle due norme del codice civile è l’assunzione dell’impegno di scioglimento e la presentazione della domanda di cancellazione dal registro delle imprese. Pertanto appariva illogica la motivazione del diniego alla richiesta del rimborso I.V.A. sul ritardo nella presentazione della domanda di cancellazione dal registro. C) Sul diritto al rimborso, l’ art. 30 del D.P.R. 633/72 prevede il rimborso dell’ I.V.A. anche nel caso di cessazione di attività. Sostanzialmente, il contribuente (nel caso in esame il liquidatore della cessata società) potrà chiedere il rimborso dell'eccedenza detraibile, risultante dalla dichiarazione annuale, se dalle dichiarazioni dei due anni precedenti risultano eccedenze detraibili; ed il rimborso può essere richiesto per un ammontare comunque non superiore al minore degli importi delle predette eccedenze.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5014/2015, ha stabilito che il diritto ai rimborsi IVA spetta solo se la richiesta viene fatta dal contribuente entro il termine di 2 anni. Il termine rimane valido anche nel caso in cui il rimborso IVA riguardi un versamento che è stato successivamente ritenuto illegittimo dal pronunciamento della Corte di Giustizia Europea del 2006 sull’armonizzazione delle norme IVA a livello europeo.
Nella fattispecie quest’ultima sentenza europea ha definito i casi in cui uno Stato UE può escludere alcuni beni piuttosto che altri dal regime di detrazione IVA. Pertanto, il termine per la richiesta del rimborso dell’IVA è fissato a due anni e resta valido anche nel caso in cui il rimborso riguardi un versamento IVA successivamente dichiarato illegittimo da una nuova norma. Il termine di 10 anni per richiedere il rimborso IVA rimane comunque valido nei seguenti casi: 1. quando il rimborso è stato regolarmente richiesto in dichiarazione dei redditi e, poi, non è stata inoltrata una domanda successiva (termine ritenuto valido dalla sentenza n. 5024/2015 della Corte di Cassazione e previsto dall’articolo 2033 del Codice Civile); 2. quando l’attività della società è cessata.
Si costituiva in giudizio Agenzia delle Entrate territorialmente competente eccependo l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione passiva del liquidatore della Società in quanto la Società una volta cancellata e quindi non più esistente avrebbe fatto perdere anche il potere di legittimazione passiva in capo al liquidatore. Secondo Agenzia delle Entrate il provvedimento di diniego doveva essere impugnato da parte di tutti gli ex soci della Società estinta.
DECISIONE: La Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, accogliendo l’eccezione della resistente respingeva il ricorso sostenendo la carenza di legittimazione passiva sia del liquidatore, che della Società stessa, che si era estinta e con conseguente cancellazione dal registro delle imprese, nell’anno 2011, ed ovvero tre anni dopo la proposizione dell’impugnazione.