Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 12449 del 7 maggio 2024 hanno risolto il contrasto giurisprudenziale in merito alla possibilità o meno per il giudice dell'esecuzione di riconoscere gli interessi di mora ex art. 1284 comma 4 c.c, nell'ipotesi in cui il titolo esecutivo giudiziale non contenga espressamente la condanna al pagamento degli stessi.
Lunedi 13 Maggio 2024 |
Il caso: La società Delta proponeva opposizione al precetto, notificato sulla base di sentenza emessa dal Tribunale, per il pagamento della somma di 116.819,15, oltre agli interessi maturandi sulla sorte capitale, denunciando l'erroneo calcolo degli interessi di mora dal momento in cui era stata proposta la domanda giudiziale, in quanto:
a) il titolo esecutivo giudiziale non recava la condanna al pagamento degli stessi con la decorrenza indicata (né vi era stata domanda in tal senso);
b) il credito riconosciuto dal titolo giudiziale escludeva l'applicazione dell'art. 1284, comma 4, cod. civ., trattandosi di credito risarcitorio ai sensi dell'art. 2049 cod. civ.
c) il giudice dell'esecuzione non poteva integrare il titolo esecutivo giudiziale della previsione mancante circa gli interessi.
Il Tribunale disponeva quindi rinvio pregiudiziale degli atti ai sensi dell'art. 363 bis cod. proc. civ. per la risoluzione della seguente questione di diritto: " Se la mera previsione degli "interessi legali" nella pronuncia di condanna da parte del giudice della cognizione, possa essere interpretata, per la parte di interessi decorrenti dopo il momento della proposizione della domanda giudiziale, nei termini del saggio di interessi previsto dal comma quarto dell'art. 1284 cod. civ., oppure se, per l'assenza di specificazioni nella decisione, il saggio degli interessi debba restare limitato a quello previsto dal primo comma della medesima disposizione”.
Le Sezioni Unite, dopo aver ricordato i due indirizzi giurisprudenziali formatiti sul punto, e dopo attenta disamina della normativa in materia, osservano quanto segue:
il giudice dell'esecuzione, al cospetto del titolo esecutivo giudiziale, non ha poteri di cognizione, ma deve limitarsi a dare attuazione al comando contenuto nel titolo esecutivo medesimo, mediante un'attività che ha, sul punto, natura rigorosamente esecutiva;
si tratta pertanto di attività di interpretazione (latu sensu, perché svolta in sede esecutiva), e non di integrazione, in quanto volta ad estrarre il contenuto precettivo già incluso nel titolo esecutivo ed in funzione non di risoluzione di controversia, e cioè cognitiva in senso stretto, ma di esecuzione del comando disposto dal titolo;
se il titolo esecutivo è silente, il creditore non può conseguire in sede di esecuzione forzata il pagamento degli interessi maggiorati, stante il divieto per il giudice dell'esecuzione di integrare il titolo, ma deve affidarsi al rimedio impugnatorio: il titolo esecutivo giudiziale, nel dispositivo e/o nella motivazione, alla luce del principio di necessaria integrazione di dispositivo e motivazione ai fini dell'interpretazione della portata del titolo, deve così contenere la previsione della spettanza degli interessi maggiorati;
viene quindi enunciato il seguente pricipio di diritto: “Ove il giudice disponga il pagamento degli "interessi legali" senza alcuna specificazione, deve intendersi che la misura degli interessi, decorrenti dopo la proposizione della domanda giudiziale, corrisponde al saggio previsto dall'art. 1284, comma 1, cod. civ. se manca nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base di quanto risultante dalla sola motivazione, lo specifico accertamento della spettanza degli interessi, per il periodo successivo alla proposizione della domanda, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali ex art. 1284 comma 4 c.c.”
Cassazione civile Sezioni Unite sentenza 12449 2024