Con l’ordinanza n. 33260/2018, pubblicata il 21 dicembre 2018, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla tassazione dell’assegno di mantenimento ai fini IRPEF e in particolare sul soggetto su cui incombe l’onere di fornire la prova per la suddetta tassazione, affermando che “grava sull’Amministrazione Finanziaria dimostrare (anche avvalendosi di presunzioni), l’esistenza del maggior reddito non dichiarato; solo in un secondo momento, ossia dopo che l’Ufficio ha dimostrato il maggiore reddito, il contribuente, che intenda neutralizzare l’altrui pretesa creditoria, è tenuto a fornire la prova dell’esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi del petitum”.
IL CASO: La vicenda esaminata dai giudici di Piazza Cavour nasce dal ricorso promosso da una contribuente avverso due distinti avvisi di accertamento relativi a due distinti anni di imposta, avente ad oggetto il recupero da parte dell’Agenzia delle Entrate per maggiori redditi non dichiarati dalla ricorrente derivanti dagli assegni di mantenimento a questi riconosciuti, che il coniuge separato era tenuto a versare.
Con il ricorso la contribuente deduceva che gli avvisi di accertamento erano illegittimi in quanto nessun assegno aveva percepito a titolo di mantenimento. Avendo l’amministrazione finanziaria prodotto la dichiarazione dei redditi del marito separato relativa ad una sola annualità, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso limitatamente all’altra annualità.
Avverso la decisione di prime cure, la contribuente proponeva appello, limitatamente all’annualità dichiarata dovuta, che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale osservava che nel diritto tributario i crediti per redditi d’impresa, di lavoro dipendente e di lavoro autonomo si possono portare in deduzione solo se si fornisce la prova che essi non sono più recuperabili e che la prova incombeva sulla contribuente, la quale si era limitata ad affermare che il suddetto onere ricadeva sull’ufficio che avrebbe dovuto dimostrare che la stessa avesse effettivamente riscosso gli assegni di mantenimento posti a carico del coniuge separato.
La sentenza di secondo grado veniva impugnata in Cassazione dalla contribuente la quale deduceva, fra l’altro, l’errore di diritto dei giudici di merito, avendo impropriamente esteso alla determinazione dei redditi delle persone fisiche il principio secondo cui le perdite su crediti sono deducibili soltanto se risultano da elementi o certi e precisi, che invece è applicabile solo per le società e gli enti commerciali.
LA DECISIONE: Con la decisione in commento, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione, ritenendo errato il ragionamento dei giudici di merito in quanto non conforme all’orientamento della stessa Corte di legittimità secondo il quale, “in tema di accertamento delle imposte su redditi, spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare i fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggior reddito; al contrario, è onere del contribuente, il quale intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, dimostrare a sua volta gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano” (Cass. n. 13509/2009).