Risarcimento danni: danno tanatologico e “danno biologico terminale”

Risarcimento danni: danno tanatologico e “danno biologico terminale”

La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 18328/2018 torna ad occuparsi del “danno tanatologico” e della relativa liquidazione.

Martedi 17 Luglio 2018

Il caso: G.C. conveniva in giudizio la società assicuratrice quale impresa designata per la gestione del Fondo di Garanzia delle vittime della strada per la regione Sicilia, chiedendo il risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, subiti per la morte del padre, avvenuta, a seguito di un incidente stradale, all'età di 51 anni.

Il tribunale accoglieva la domanda, con pronuncia parzialmente riformata dalla Corte di appello che, ritenuta formulata la pretesa anche per i danni "iure haereditario", li liquidava, applicando le c.d. tabelle milanesi, in base al punto di invalidità permanente del cento per cento rapportato non all'aspettativa di vita media, come fatto in prime cure, bensì alla durata di vita effettiva del deceduto.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione la società assicuratrice, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2059, cod. civ. sulla base delle seguenti argomentazioni::

a) la corte di appello avrebbe errato nel liquidare il danno biologico terminale, di natura ereditaria, in base al punto di invalidità permanente, mentre mancava, per definizione, il presupposto della permanenza in vita del soggetto che aveva subìto il pregiudizio, poi liquidato con gli importi traslati per via ereditaria;

b) la corte di appello aveva preso a base di computo la percentuale d'invalidità del cento per cento, laddove a seguito del sinistro stradale la vittima aveva riportato lesioni localizzate, e non una totale compromissione della propria validità psicofisica, seppure poi correlabili alla morte infine sopraggiunta.

Il collegio di merito, in definitiva, aveva risarcito il danno tanatologico che invece non era ristorabile, trattandosi della lesione a un bene diverso dalla salute, e cioè alla stessa vita, come tale estraneo alla funzione compensativa della responsabilità civile.

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, osserva quanto segue:

  • in tema di danno da perdita della vita, nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse, è configurabile un danno biologico risarcibile, da liquidarsi in relazione alla menomazione dell'integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso;

  • tale danno, qualificabile come danno biologico terminale, dà luogo a una pretesa risarcitoria, trasmissibile "iure haereditatis", da commisurare soltanto all'inabilità temporanea, adeguando la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, seppure temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte;

  • la corte territoriale ha, dunque, errato nel liquidare il danno in parola con il punto massimo d'invalidità permanente, così finendo per liquidare un pregiudizio diverso da quello subìto e, per un verso, parametrato alla totale compromissione dell'integrità fisica affatto accertata e, per altro verso, presupponente una stabilizzazione non acquisita perché, a sua volta, correlabile, come tale, solo alla sopravvivenza del soggetto all'evento pregiudizievole.

Esito del ricorso: Cassa con rinvio la sentenza

Allegato:

Cassazione civile ordinanza n.18328/2018

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