Responsabilità professionale dell'avvocato e onere della prova a carico del cliente

Responsabilità professionale dell'avvocato e onere della prova a carico del cliente

Il cliente non e’ tenuto a pagare il compenso del proprio avvocato, solo se prova il danno ed il nesso causale tra la condotta del proprio legale ed il pregiudizio da lui patito.

Giovedi 8 Aprile 2021

Con la sentenza n. 7064 del 12.03.2021 la 2^ Sezione Civile della Corte di Cassazione ha stabilito che è il cliente a dover fornire la prova del danno e del nesso causale tra la condotta dell’avvocato ed il pregiudizio patito, al fine di non essere condannato al pagamento del compenso professionale del proprio legale; in difetto di tale prova, è invece tenuto a pagare il compenso richiesto, risultando essere infondate sia l’eccezione di inadempimento sia le eventuali domande restitutorie e/o risarcitorie eventualmente formulate dal cliente.

IL CASO: L’Avvocato L.C.F. citava in giudizio S.I. avanti il Tribunale di A. per ottenere la condanna al pagamento del proprio compenso per le prestazioni professionali rese in favore della parte convenuta in una causa civile. La convenuta si costituiva eccependo l’inadempimento dell’attore all’obbligo di diligenza nello svolgimento del mandato professionale, per aver errato nella scelta della giurisdizione ordinaria in luogo di quella amministrativa; contestualmente proponeva poi domanda riconvenzionale per la restituzione dell’acconto versato ed il risarcimento del danno sofferto.

Il Tribunale di A., a conclusione del giudizio, emetteva sentenza con la quale rigettava sia la domanda principale sia quella riconvenzionale, perché non provate.

Il professionista L.C.F. proponeva quindi appello avanti la Corte d’Appello di P. avverso la sentenza del Tribunale civile; si costituiva in secondo grado l’appellata, proponendo appello incidentale in relazione alla domanda riconvenzionale non accolta in primo grado. La Corte d’Appello adita accoglieva parzialmente la domanda principale e dunque condannava l’appellata al pagamento in favore dell’appellante sia della somma, come determinata dalla Corte stessa, a titolo di compenso, sia delle spese legali di entrambi i gradi di giudizio.
L’appellata S.I. impugnava la sentenza d’appello, proponendo ricorso in Cassazione per la violazione degli artt. 1176 comma 2° c.c., 1460 e 2236 c.c., perché la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto dovuto il compenso dell’avvocato a fronte dell’attività da questi svolta, sebbene in presenza di inadempimento al dovere di diligente esecuzione del mandato professionale conferito dalla cliente.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, in quanto in sostanza mera istanza di revisione del giudizio di merito svolto dalla Corte territoriale, estranea quindi alla finalità ed alla natura stessa del giudizio di legittimità evocato.

La Suprema Corte ha infatti ritenuto corretto il giudizio operato dalla Corte d’Appello di P., secondo cui l’avvocato L.C.F. ha dimostrato, mediante la produzione di atti di parte, verbali e sentenze, l’effettivo svolgimento di attività professionale in favore della cliente S.I., mentre quest’ultima non solo non ha mai contestato lo svolgimento di tali prestazioni, ma non ha nemmeno provato il danno ed il nesso causale tra la condotta negligente del professionista ed il pregiudizio da lei subito.

Peraltro, come confermato da costante giurisprudenza, la perdita di una chance favorevole non costituisce di per sé danno, ma solo se la stessa aveva la certezza o comunque l’elevata probabilità di avverarsi in base ad elementi certi ed obiettivi.

La regola del “più probabile che non” si applica quindi sia all’accertamento del nesso di causalità fra l’omesso svolgimento da parte dell’avvocato di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio per il proprio cliente e l’evento di danno, sia all’accertamento del nesso causale intercorrente tra quest’ultimo e le conseguenze dannose risarcibili, che può essere indagato solo mediante giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa.

Dunque, l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.  può essere opposta dal cliente all’avvocato che abbia violato l’obbligo di diligenza professionale, purché la negligenza sia idonea ad incidere sugli interessi del cliente stesso, non potendo il professionista garantire l’esito positivo del giudizio.

Pertanto, nel caso che ci riguarda, la ricorrente avrebbe dovuto provare che, se il proprio legale avesse radicato il giudizio avanti al giudice amministrativo, anziché a quello ordinario, quest’ultimo avrebbe avuto una ragionevole probabilità di concludersi con esito positivo. Senza tale prova, che in effetti non è stata fornita da S.I. nel corso dei precedenti due gradi di giudizio, la Corte d’Appello di P. non poteva che rigettare, per difetto di prova, sia l’eccezione di inadempimento sia le domande restitutorie e risarcitorie proposte dalla cliente ed il compenso all’avvocato è dunque da ritenersi dovuto.           

Allegato:

Cassazione civile ordinanza n.7064 2021

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