Con l'ordinanza n. 22096 del 4 settembre 2019 la Corte di Cassazione chiarisce le conseguenze della mancata presentazione dell'istanza di prelievo ai fini dell'indennizzo ex legge 89/2001 (legge Pinto).
Lunedi 9 Settembre 2019 |
Il caso: La Corte d'appello di Roma, dichiarava improponibili i ricorsi proposti nel 2011 da P.S. - ricorsi volti ad ottenere l'equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio amministrativo iniziato nel 1990 ed ancora pendente in appello alla data di proposizione della domanda - rilevando che nel giudizio amministrativo presupposto non era stata presentata istanza di prelievo ma solo un'istanza di fissazione e l'opposizione a un decreto di perenzione.
P.S. ricorre in Cassazione, censurando il decreto impugnato, tra l'altro, per avere ritenuto che la mancata presentazione dell'istanza di prelievo nel giudizio amministrativo del quale si lamenta la irragionevole durata, sia preclusiva della possibilità di esaminare la domanda di equa riparazione.
Pre la Suprema Corte il ricorso è fondato, considerato che:
a) nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 54 comma, 2 del d.l. n. 112 del 2008 e successive modifiche;
b) la Corte costituzionale, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se "effettivi" e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente;
c) la stessa Corte di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, ha affrontato il problema dell'effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità dell'art. 54, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008;
d) la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della "legge Pinto" con la disposizione stessa, non può essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell'art. 13 della CEDU, soprattutto perché il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l'esame dell'istanza di prelievo;
e) l'istanza di prelievo, cui fa riferimento l'art. 54, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla legge n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera "prenotazione della decisione";
Pertanto, il decreto impugnato viene cassato con rinvio per nuovo esame alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che “la mancata presentazione dell'istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell'interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell'indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.”