La Suprema Corte ha affermato che l'espianto di ovociti dall'utero di una donna, realizzato da personale medico, contro la sua volontà, configura il delitto di rapina, in quanto gli ovociti devono considerarsi "cose mobili" allorquando vengono distaccati dal corpo umano. Solo da quel momento sono pienamente detenuti dalla donna, attesa la possibilità della stessa sia di utilizzarli che di donarli a coppie con problemi di sterilità, sicché gli stessi sono passibili di sottrazione e di impossessamento.
E' stata depositata lo scorso 30 dicembre, la sentenza n. 37818 con la quale la Seconda Sezione Penale, ha stabilito che gli ovuli acquisiscono lo status di cosa mobile all'atto del distacco dal corpo umano, divenendo suscettibili di sottrazione ed impossessamento solo a partire da quel momento. La sentenza ripercorre tutte le tappe giurisprudenziali che hanno portato a configurare dapprima il reato di furto per l'ipotesi di sottrazione delle cellule riproduttive umane e, successivamente, come rapina. La difesa, invece, puntava ad una riqualificazione del fatto, come delitto di violenza privata e lesione personale.
Per la prima volta la Corte si è trovata a doversi pronunciare sul se dover ricomprendere nel concetto di cosa mobile, di cui all'art., 628 c.p., gli ovuli. La vicenda ha coinvolto un noto ginecologo, direttore sanitario di una clinica privata, il quale in concorso con l'anestesista e una collaboratrice, aveva prelevato da una giovane infermiera spagnola “non meno di sei ovuli”, al fine di procurarsi un profitto ingiusto, con l'intento di impiantarli nell'utero di una paziente ricoverata presso la struttura medesima. In quella circostanza, il ginecologo aveva provocato alla giovane donna lesioni personali “consistite in un disturbo post-traumatico e in una sindrome depressiva atipica” e, nel certificato di dimissioni aveva attestato falsamente che si fosse sottoposta volontariamente al prelievo ovocitario.
Al medico veniva, altresì, contestato il reato di estorsione in quanto, in concorso con l'assistente, aveva costretto la paziente, con minacce, a versargli la somma di sedicimila euro, a fronte di un iniziale preventivo di seimilaottocento euro, per il completamento della pratica di fecondazione. Gli ermellini, prima di fornire la ricostruzione della vicenda, affrontano una questione di ordine processuale, avanzata dal ricorrente, sulla utilizzabilità o meno delle dichiarazioni testimoniali rese dalla vittima essendo questa sottoposta ad indagini per i reati di calunnia nei confronti del medico e di false informazioni al P.M.
La Corte ne dichiara l'utilizzabilità richiamando i principi espressi nella sentenza n. 33583/2015 - cd sentenza Lo Presti- nella quale affrontando un caso riguardante le interferenze fra la qualità di imputato e quella di testimone, ha escluso che il reato consistente in false dichiarazioni realizzate nel processo, (calunnia, false informazioni al P.M., favoreggiamento personale), possa determinare l'incompatibilità rispetto alla posizione di testimone.
La sentenza prosegue focalizzandosi sulla questione della riconducibilità degli ovociti al concetto di “cosa mobile”. La Corte richiama la sentenza n. 8514 del 1974, nella quale veniva specificato che la nozione penalistica di cosa mobile non coincide con quella civilistica risultando, rispetto a quest'ultima, più ridotta in quanto non vi comprende le entità immateriali, come le opere dell'ingegno e i diritti soggettivi e, per altri aspetti, più ampia in quanto vi ricomprende beni che, originariamente immobili o costituenti pertinenze di un complesso immobiliare siano mobilizzati divenendo, pertanto, asportabili e oggetto di appropriazione. Ad ulteriore conferma si richiama, poi, l'art., 624 cpv c.p. che considera cosa mobile anche l'energia elettrica o di altra natura, munita di valore economico.
Sulla base di questi assunti, la Corte afferma che è possibile parlare di reificazione anche riguardo gli ovociti, i quali diventano cosa mobile nel momento della loro separazione, sottolineando che “trattandosi di distacco dal corpo umano e non da un immobile, è a quel momento che viene ricondotta la detenzione degli ovociti e non a quello precedente in cui gli stessi erano mobilizzabili ma non ancora mobili”. Ciò in linea con quanto affermato nella fase cautelare, nella quale si era escluso che gli ovociti potessero essere ricompresi nel concetto di cosa mobile perchè, allora, il capo di imputazione riguardava la sola separazione e non anche l'impossessamento.
La condotta sanzionata, non consiste nella “commercializzazione di embrioni” (vietata dall'art. 12 comma 6 L. n. 40/2004) ma nel distacco violento degli ovociti dal corpo della donna, in assenza del consenso di quest'ultima alla donazione. Proprio nel rapporto fra la condotta violenta realizzata sulla paziente e l'impossessamento degli ovociti utilizzati successivamente per la fecondazione, si realizza l'offensività caratterizzante il reato di rapina, reato plurioffensivo, “in quanto lesivo non solo del patrimonio ma anche della libertà e dell'integrita fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto: si tratta della immediatezza e strumentalità fra la condotta violenta posta in essere sulla donna e l'impossessamento degli ovociti poi utilizzati per la fecondazione”.
La Corte, dunque, disattende quanto sostenuto dal ricorrente, secondo il quale l'azione violenta si sarebbe realizzata quando ancora non esisteva la cosa mobile e, pertanto, la stessa dovrebbe qualificarsi come violenza privata e non come rapina. In realtà, tra la condotta violenta commessa quando non sussisteva l'oggetto materiale della rapina ed il successivo impossessamento degli ovociti, “sussiste un nesso di immediatezza e strumentalità”, cosicchè la prima condotta si risolve in una violenza esercitata sulla persona, necessaria per integrare il reato di rapina, non essendovi alcuna soluzione di continuità causale fra la violenza esercitata sulla vittima, la sua successiva sedazione, l'asportazione e l'impossessamento degli ovociti. La condotta del ginecologo, “non può essere ridotta nell'alveo del solo reato ex art. 610 c.p., perchè verrebbe del tutto obliterato l'impossessamento degli ovociti, prelevati dalla giovane contro la sua volontà”.