Con l'ordinanza n. 30034/2025, pubblicata il 13 novembre 2025, la Corte di Cassazione si è nuovamente occupata della questione relativa alla validità, ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione, della notificazione della sentenza eseguita all'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) del difensore che, nell'atto di costituzione, ne ha limitato l'utilizzo alle sole "comunicazioni".
| Martedi 25 Novembre 2025 |
IL CASO: la vicenda processuale esaminata dai giudici di legittimità riguardava il ricorso promosso da una società, rimasta soccombente all'esito del giudizio di appello, avverso la decisione dei giudici di secondo grado.
La sentenza impugnata era stata notificata dal legale della parte vittoriosa all'indirizzo pec della controparte. Il ricorso per cassazione veniva proposto da quest’ultima oltre il termine dei sessanta giorni dalla notifica della sentenza previsto dal secondo comma dell'art. 325 c.p.c.
La controricorrente, nel resistere nel giudizio di cassazione, eccepiva l'inammissibilità del ricorso per essere stato tardivamente notificato.
Controdeducendo sull'eccezione, nel sostenere la tempestiva dell’impugnazione, la difesa della ricorrente riteneva non idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione la notifica della sentenza eseguita a mezzo, in quanto nell'atto di citazione in appello era stato specificato che l'indirizzo PEC indicato doveva essere utilizzato esclusivamente per "le successive comunicazioni".
LA DECISIONE: Il ricorso è stato dichiarato dalla Corte di Cassazione inammissibile per tardività.
Gli Ermellini, nel decidere, hanno affermato che qualsiasi dichiarazione del difensore volta a limitare l'utilizzo del proprio domicilio digitale è priva di effetti giuridici.
I giudici della di legittimità hanno richiamato il consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale: “In tema di notificazioni al domicilio digitale, l’indicazione fatta dal difensore, nell’atto di costituzione in giudizio, del proprio indirizzo di posta elettronica con riferimento alle sole comunicazioni ed avvisi della cancelleria, non vale, infatti, ad escludere la validità della notificazione della sentenza eseguita dalla controparte a tale indirizzo, ai fini ed effetti di cui all’art. 325 c.p.c., non potendo il difensore sottrarsi alle prescrizioni di legge che prevedono la validità ed efficacia del domicilio digitale di cui all’art. 16-sexies del d.l. n. 179/2012, conv. con l. n. 221/2012, per tutte le notificazioni e comunicazioni degli atti giudiziari in materia civile” (Cassazione 12684 del 2025).
Il fulcro della decisione risiede nel concetto di domicilio digitale, introdotto dall'art. 16-sexies del D.L. n. 179/2012. Tale norma stabilisce che, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, le comunicazioni e le notificazioni degli atti giudiziari in materia civile sono validamente effettuate presso l'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore risultante dai pubblici elenchi.
In altri termini, il domicilio digitale non è una mera facoltà, ma un sistema normativo che si impone alle parti processuali. La sua esistenza è legata all'iscrizione del professionista in pubblici registri (come l'INI-PEC e il ReGIndE), rendendo l'indirizzo PEC un dato pubblico e legalmente riconosciuto per tutte le notifiche. Pertanto, non è più necessario che il difensore indichi il proprio indirizzo PEC negli atti di causa, poiché esso è già ufficialmente censito e conoscibile.
Questa interpretazione si fonda sulla ratio della normativa, volta a garantire certezza, celerità ed efficienza al sistema delle notificazioni processuali. Consentire al singolo difensore di "disattivare" unilateralmente il proprio domicilio digitale per determinate tipologie di atti vanificherebbe l'intero impianto del processo telematico. La giurisprudenza ha superato un precedente orientamento che riconosceva al difensore la facoltà di limitare gli effetti dell'elezione del domicilio telematico, ritenendolo incompatibile con le successive modifiche normative, in particolare quelle all'art. 125 c.p.c.