La nuova tutela delle Vittime dei reati ambientali

La nuova tutela delle Vittime dei reati ambientali

E’ stato pubblicato sulla G.U. il D.L.8 agosto 2025, n.116 riguardante “Disposizioni urgenti per il contrasto alle attività illecite in materia di rifiuti, per la bonifica dell’area denominata Terra dei fuochi, nonché in materia di assistenza alla popolazione colpita da eventi calamitosi”, entrato in vigore lo stesso giorno.

Venerdi 12 Settembre 2025

Il Decreto Legge interviene in modo significativo sui reati ambientali modificando la disciplina precedente contenuta nel D.lgs. n.152/2006 e nel Codice penale.

Si tratta di un intervento necessario quanto urgente per contrastare il fenomeno dello inquinamento ambientale, che ha generato notevoli danni alle popolazioni, e quello dei roghi tossici di rifiuti urbani e speciali che mettono in pericolo la vita e l’incolumità delle persone» nonché per «dare esecuzione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 30 gennaio che ha riguardato, in paticolare, la vicenda della c.d.Terra dei Fuochi

Il Decreto costituisce, pertanto.un nuovo corpus normativo in materia ambientale ma si limita ad intervenire, con alcune modifiche di non trascurabile rilevanza, sulle principali fonti che regolavano la materia del diritto penale ambientale, convertendo la maggior parte delle ipotesi di reato, aventi natura contravvenzionale, in delitti e sanzionando penalmente alcune nuove fattispecie di reato.

A tanto si aggiungono gli interventi in materia di responsabilità amministrativa degli Enti preposti allo smaltimento dei rifiuti ed alla tutela del territorio ed alcuni adeguamenti sul piano processuale.

  • La sentenza della CEDU

Il provvedimento in commento, come ricordato, trae origine da quanto sancito dalla Corte Europea dei Diritti Umani con la sentenza del 30/1/2025 (v.commento nelle pagine di questa Rivista) che aveva emesso una condanna esemplare nei confronti dell’Italia poiché le Autorità nazionali e locali, pur conoscendo la grave situazione, non avevano preso le dovute misure a salvaguardia della salute dei malcapitati cittadini, esposti a rischi di gravi malattie e del cancro, e per i quali lo Stato veniva obbligato a risarcire le Vittime per le lesioni subite che ne avevano cagionato persino il decesso in alcuni casi.

In effetti, la sentenza era scaturita dalla denuncia di alcuni cittadini della c.d.”Terra dei Fuochi” nella quale varie Autorità territoriali, secondo le rispettive competenze, avevano messo in serio pericolo la vita degli abitanti dell’Area Campana a causa dell’interramento di rifiuti tossici e nocivi da decenni.

Il problema riguardava un vasto territorio compreso tra la Provincia di Napoli e l'area sud-occidentale della provincia di Caserta, segnato dal fenomeno delle discariche abusive e dall'abbandono incontrollato di rifiuti, spesso fonti di incendi, peggiorando così la situazione già grave.

Il Territorio interessato, che ad oggi comprende 90 comuni (56 nella provincia di Napoli e 34 in quella di Caserta), ha una popolazione di oltre tre milioni di abitanti.

A seguito del ricorso, la Corte Europea aveva riconosciuto un rischio per la vita “sufficientemente grave, reale e accertabile”, e ritenuto.come tale, “imminente”, sebbene i suoi effetti si erano manifestati da tempo sulle popolazioni locali colpite, senza provocare alcun intervento da parte delle Autorità locali o nazionali.

I Giudici dell’Alta Corte Europea, sul punto, avevano ritenuto che sebbene “non ci siano prove sufficienti di una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle Autorità nell’affrontare la situazione della Terra dei Fuochi”, le valutazioni dell’inquinamento ambientale sono state lente mentre occorreva intervenire con celerità per la soluzione del grave problema (!!).

Inoltre, gli Alti Magistrati avevano rilevato che lo Stato non era stato in grado di dimostrare di aver avviato tutte le azioni penali necessarie per combattere lo smaltimento illegale di rifiuti tossici nell’Area della c.d.Terra dei Fuochi.

Era mancato, invece, ogni intervento tempestivo, anzi, alcune informazioni sono state coperte persino per lunghi periodi dal “Segreto di Stato”, secondo la CEDU.

La pregevole decisione afferma, in proposito, che “data l’ampiezza, la complessità e la gravità della situazione, era necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile, per informare la popolazione sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi”.

La sentenza aveva, quindi, accolto il ricorso presentato nel 2013 da 41 abitanti della zona che lamentavano gravi danni alla salute disponendo entro due anni dalla decisione l’adozione, di misure generali in grado di affrontare, in modo organico ed adeguato, il grave fenomeno in questione, “per evitare il risarcimento dei danni alle numerose Vittime di quello che può essere definito in vero e proprio “disastro ambientale”, cosa che, in effetti, é avvenuta con il DL in commento, che è ora all’esame del Parlamento che, tuttavia, potrà apportare anche modificazioni al testo pubblicato. (v. allegato).

I provvedimenti del Governo

In attesa della conversione in Legge, vale la pena di evidenziare al Legislatore, le ragioni delle preoccupazioni manifestate da varie parti sulla necessità di un intervento più efficace a tutela delle Vittime del triste fenomeno.

In sintesi il Decreto legge prevede:

La Tutela ambientale nei casi di condotte di abbandono di rifiuti

La modifica dei reati relativi alla gestione di rifiuti non autorizzata e discarica abusiva da contravvenzioni a reato penale

Ulteriori modifiche al Codice dell’ambiente

Sanzioni interdittive alle persone fisiche e responsabilità degli amministratori

Interventi processuali

Il nuovo provvedimento è stato accolto, in generale, positivamente dalla Dottrina a commento sebbene non siano mancate alcune perplessità(v.ex multis, Giulio Vanacore nella Riv Sistema Penale) in quanto esso costituirebbe“un intervento rivoluzionario ma troppo affrettato sul trattamento sanzionatorio dei reati in tema di rifiuti contenuti nel codice dell’ambiente”.

Secondo tale opinione, la trasformazione della natura dei reati ambientali, da contravvenzione a delitto, benché sia condivisibile, risulterebbe attuata senza un’adeguata analisi delle sanzioni per gli illeciti commessi in danno dell’ambiente e delle stesse popolazioni.

L’Autore citato, nel pregevole commento, rileva, in effetti, alcune discrepanze nella normativa emanata dal Governo a cui occorrerebbe porre rimedio in sede di conversione del DL.

In primo luogo, ravvisa un’ incoerenza della nuova tipizzazione delle fattispecie contravvenzionali, quasi tutte trasformate in delitti nel Codice dello ambiente (D.Lgs. 152/2006), con quelle dei cosiddetti ‘Ecoreati’, già normati nel Titolo VI bis del C.P.

Tanto emergerebbe dal contenuto della nuova aggravante inserita al comma 1-bis ultimo periodo dell’art.256 del D.Lgs.152/2006, che prevede una pena elevata da due anni a sei anni e sei mesi, nel caso in cui l’attività di gestione non autorizzata abbia ad oggetto rifiuti pericolosi e che essa abbia determinato un pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone ovvero un pericolo di compromissione o deterioramento ambientale:

1) delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo,

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna, laddove detta gestione non autorizzata sia avvenuta in siti contaminati, potenzialmente contaminati o sulle strade di accesso a tali siti.

Per contro, il delitto di inquinamento ambientale, sanzionato dall’art.452 bis, comma primo, del C.P. prescrive una pena edittale da due a sei anni qualora si verifichi la medesima compromissione o deterioramento, menzionati come pericolosi nella nuova circostanza aggravante di cui al citato art.256 del Codice dell’ambiente.

Inoltre, la sanzione amministrativa, prevista per le ipotesi minori, se potenziata e razionalizzata, potrebbe costituire uno strumento deterrente degli illeciti, molto più efficace nel caso di abbandono di rifiuti da parte di soggetti non esercenti attività di Impresa, rispetto alla sanzione penale delle relative condotte sanzionate dal DL.

Sarebbe stata, comunque, più razionale la collocazione delle fattispecie delittuose, nelle ipotesi più gravi, all’interno del Codice dell’ambiente, come per il reato di discarica abusiva, stante la natura offensiva del fatto di chi crea, di chi gestisce o di chi incrementa un sito di dimensioni e capacità considerevoli, illecitamente adibito a discarica, che meritava una maggiore considerazione della mera riduzione a contravvenzione (!!).

Lo stesso principio sarebbe applicabile anche nei casi delle spedizioni per traffico illecito di rifiuti ex art. 259 del Codice dell’ambiente.

In conseguenza, alla luce del Decreto emanato, un delitto di pericolo contemplerebbe oggi una pena nel massimo addirittura più elevata rispetto al corrispondente delitto di danno (!!)

Va evidenziato che mentre il primo inquadra un pericolo di compromissione o deterioramento dell’ambiente ovvero della sua flora/ fauna/ biodiversità, ovvero della vita ed incolumità personale, causato da un’attività illecita di gestione di rifiuti pericolosi, l’art.452 bis descriverebbe una condotta generica e libera e senza alcun vincolo descrittivo.

Tuttavia, tale trattamento sanzionatorio diversificato non appare in grado di bilanciare l’assenza di un effettivo danno per l’ambiente, che legittimerebbe di per sé una sanzione penale più elevata.

Lo stesso potrebbe affermarsi per il pericolo per la vita o l’incolumità personale o la circostanza che il fatto sia avvenuto in siti contaminati o potenzialmente contaminati, elementi assenti nella fattispecie dell’inquinamento ambientale, ma che costituiscono, nella nuova versione dell’art.256 comma 1-bis, una premessa di un pericolo e non di un danno, che, invece, connota l’art.452 bis del C.P.

In definitiva, in sede di approvazione definitiva da parte del Parlamento, sarebbe opportuno o che vengano aumentati i parametri samziomatori del delitto di inquinamento ambientale o che vengano diminuiti quelli della nuova circostanza aggravante del modificato art.256,alla luce di una possibile dichiarazione di illegittimità costituzionale da parte della Consulta per violazione irragionevole del principio di proporzionalità della sanzione comminata.

Alla stessa considerazione soggiace l’aggravante di cui al novello comma 3-bis dell’art.256 bis che prevedde una pena da tre a sei anni quando si tratta di rifiuti non pericolosi, da tre anni e sei mesi a sette anni quando si tratta di rifiuti pericolosi, nel caso di combustione degli stessi, da cui derivano i medesi mi pericoli di cui all’art.256 comma 1-bis.

Entrambe le fattispecie, che individuano condotte che cagionano un pericolo, appaiono sproporzionate, a fronte di un delitto, quale l’inquinamento ambien tale, a condotta libera e non vincolata, ma che punisce un autentico danno.

La stessa illogicità si registra anche per il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art 452 quaterdecies del C.P.

Sta di fatto che, nella disposizione, è stata introdotta la medesima circostanza aggravante ad effetto speciale dell’art.256,co.1-bis del Codice dello ambiente, elevando la pena per la fattispecie di base sino alla metà mentre non è prevista pena più grave quando si tratti di rifiuti pericolosi, ma solo di rifiuti ad alta radioattività, di cui al secondo comma dell’art.452 quaterdecies C.P.

Pertanto, non sarebbe accettabile giuridicamente che per una fattispecie non necessariamente plurisoggettiva, che implichi una ripetizione di atti illeciti di gestione, caratterizzati dalla organizzazione, dal dolo specifico di profitto e dalla indispensabile allestimento di mezzi, sia stabilita la medesima pena del corrispondente delitto aggravato di gestione, potenzialmente contestabile, a fronte di un’unica operazione illecita.

Anche in questo caso la sanzione appare non proporzionata alla condotta prevista dalla nuova circostanza aggravante, di cui all’art.256 comma 1-bis ultimo periodo del Codice dell’ambiente, anche perché ricade nella competenza in materia della Direzione Distrettuale Antimafia.

La Riforma avrebbe potuto, inoltre.costituire l’occasione per modificare quel secondo comma dell’art.452 quinquies del C.P., che parrebbe descrivere i delitti di pericolo di inquinamento e disastro ambientale, ma che sarebbe stata redatta in termini particolarmente difficili da interpretare.

Sempre secondo il commento innanzi citato, quello che suscita stupore è il fatto che il Legislatore, con la Riforma, abbia dimenticato l’esistenza del meccanismo fortemente deflattivo dei Giudizi in materia quanto ripristinatorio per l’ambiente, delle prescrizioni ambientali, ai sensi degli artt.318bis e ss. del D.Lgs 152/ 2006,come introdotte dalla Legge n.68/2015,che ha come ambito di applicazione solo le contravvenzioni del Codice dell’ambiente, punite con pena pecuniaria sola, congiunta o alternativa a quella detentiva, mentre occorre va potenziarne gli ottimi effetti risarcitori per la Collettività a causa del reato commesso.

Per contro, con il Decreto in commento, viene tacitamente abrogata l’estensione di questo sistema di oblazione, con restitutio in integrum del bene giuridico offeso, per la materia dei rifiuti.

Le originarie fattispecie che prevedevano solo la pena pecuniaria sono state sostituite, salvo che per l’art. 255,l’art. 261-bis e per alcune marginali fattispe cie dell’art.256,con quelle ad esclusiva pena detentiva delittuosa.

Tanto finisce con l’eliminare ogni possibilità di attivare quello che è definibile come il più efficace meccanismo di ‘risarcimento ambientale per talune fattis pecie ‘minori’ della materia ambientale.

Sul piano processuale il Decreto interviene prevedendo l’impossibilità di procedere alla archiviazione del Giudizio per tenuità del fatto per alcune fattispecie di nuovo conio, anche a seguito del ripristino ambientale o della acquisizione delle necessarie autorizzazioni richieste dalla normativa di settore in capo al trasgressore, costringendo il Magistrato inquirente ad esercitare la azione penale anche in casi davvero limitati e bagatellari.

Le norme per la materia dei rifiuti, erano state concepite, in precedenza, per violazioni minimali, che meritavano una risposta sanzionatoria immediata, senza ricorrere a tutte le garanzie, i tempi, le energie lavorative, gli uomini, i gradi di giudizio, ossia le risorse, già carenti tipiche del processo penale che.a seguito della Riforma, nei casi sopra menzionati, dovranno trovare una nuova applicazione.

Sempre sul piano processuale, appare, invece, coerente la scelta di imtrodurre l’arresto in flagranza differita, ex art.382bis CPP, in presenza di taluni Ecodelitti come l’inquinamento ed il disastro ambientale, morte o lesioni come conseguenza dell’inquinamento, traffico e abbandono di materiale ad alta radio attività, traffico illecito di rifiuti e di alcuni delitti del Codice dell’ambiente tra cui riientrano l’abbandono ed attività di gestione illecita di rifiuti non pericolosi nelle ipotesi aggravate, l’abbandono ed attività di gestione illecite di rifiuti pericolosi, la discarica abusiva, la combustione illecita e la spedizione illecita costituente traffico internazionale di rifiuti.

In aggiunta, le stesse fattispecie esaminate consentono l’applicazione di misure cautelari di natura detentiva.

In tal modo, le nuove norme introducono, affidandolo agli organi inquirenti e di giustizia penale, un potente strumento di reazione ai reati ambientali in una ottica di prevenzione di tali reati oltre che punitiva sebbene appaia arduo, se non impossibile, un arresto in flagranza (anche differita), non solo per le ipotesi di inquinamento, disastro ambientale ed attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, ma anche per alcune di quelle del Codice dell’ambiente recente mente riformate.

Molte di esse, difatti, richiedono un’attenta e capillare attività di indagine, tesa a documentare la ripetitività degli atteggiamenti stigmatizzati, richiesti per il reato ex art. 452 quatercies C.P.ovvero l’avvenuta compromissione ambientali o della biodiversità, la concretizzazione delle situazioni di pericolo di cui alle novelle aggravanti dei delitti del D.Lgs.152/2006,

Anche per molte di queste, tuttavia, le Forze di Polizia, specie quelle non specializzate, prima di procedere ad un eventuale arresto, dovranno spesso ricorrere all’indispensabile aiuto degli organismi tecnici, quali le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, specie nel caso della necessità di distinguere la natura pericolosa o non pericolosa di un rifiuto, ovvero a quella di comprendere la titolarità o meno di un atto autorizzativo o di una comunicazione o di una iscrizione, che costituiscono tutti elementi da cui discende la stessa natura di illecito penale del fatto da accertare.

  • Conclusioni

In definitiva é opinione condivisibile che la sanzione amministrativa per le ipotesi minime di illeciti ambientali, potrebbe costituire uno strumento deterrente, molto più efficace ed incisivo, nel caso di abbandono di rifiuti da parte di soggetti non esercenti attività di Impresa, rispetto alla penalizzazione delle relative condotte, come innanzi ricordato.

Invece.il Legislatore ha deciso di criminalizzare tutti gli illeciti commessi sperando che ciò determini un effetto preventivo e dissuasivo degli illeciti ambienali commessi dai contravventori che, in precedenza, ottenevano l’estinzione del reato, lo Stato recuperava un cospicuo esborso economico, l’ambiente violato veniva ripristinato ed uno stato di illegittimità veniva ricondotto alla legalità mediante il controllo delle Autorità delegate.

Con la nuova impostazione sanzionatoria, gli Organi di Giustizia dovranno avviare l’azione penale, mentre sarebbe stato auspicabile l’introduzione di fattispecie delittuose, sanzionate per gravità, all’interno del Codice ambientale.

La Giustizia penale, lenta e farraginosa, dovrà, quindi, affrontare e smaltire i nuovi processi, che in precedenza venivano evitati grazie al meccanismo delle ‘prescrizioni ambientali’, con l’ottenimento del risultato migliore.

Non va comunque dimenticato che la CEDU ha sancito, con la sentenza citata, che lo Stato non ha protetto i cittadini, mentre le Istituzioni coinvolte dovevano prendere atto della situazione e intervenire rapidamente.

In particolare, ai sensi dell’Art.46 CEDU, la Corte Europea ha stabilito che l’Italia deve adottare, una strategia complessiva che comprenda:

  • L’istituzione di un meccanismo indipendente di monitoraggio con la creazione di una piattaforma pubblica di informazione per garantire trasparenza sugli interventi e sui rischi sanitari;

  • Un piano di bonifica dei siti contaminati e azioni efficaci per la prevenzione di ulteriori danni ambientali.

La Corte ha anche ribadito che la tutela della salute e della vita umana non può essere sacrificata per inefficienze amministrative o per la complessità della questione ambientale.

Il diritto a vivere in un ambiente sano e a non ammalarsi deve diventare la priorità delle istituzioni, di quelle stesse Istituzioni che per troppo tempo hanno colpevolmente sottovalutato una bomba ambientale innescata da illegalità e criminalità organizzata.

In conseguenza, le Autorità preposte alla tutela del Territorio non hanno più scuse o ritardi nei confronti di un’emergenza ambientale di proporzione tale che impone alle Istituzioni di avviare immediatamente un piano straordinario di bonifica e di contrasto ai crimini ambientali, con azioni concrete per tutelare la salute e l’ambiente e restituire ai cittadini di un’Area o della Terra dei Fuochi, troppo a lungo martoriata da un inquinamento criminale, un futuro più sicuro.

Sarebbe una risposta per iniziare a ricostruire un rapporto di fiducia con una popolazione incolpevole ma avvelenata ed ignorata da trent’anni dall’indifferenza di pochi eletti.… che colpisce di più della diossina..!!

Allegati:

Decreto legge 8 agosto 2025 n 116

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