L’Italia deve introdurre misure generali in grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno dell’inquinamento ambientale nella c.d.“Terra dei Fuochi”.
Lunedi 10 Febbraio 2025 |
Lo ha stabilito la Corte Europea dei Diritti Umani, con la sentenza del 30/1/2025 (v.Massima in calce) che ha emesso una condanna esemplare poiché le Autorità nazionali e locali, pur conoscendo la grave situazione, non hanno preso le dovute misure a salvaguardia della salute dei malcapitati cittadini esposti a rischi di gravi malattie e del cancro e che, in quanto tali, vanno risarcite per tutti i danni patiti derivanti dalle lesioni subite che ne hanno causato il decesso in alcuni casi.
La Cedu, con la importante decisione a carattere definitivo, ha disposto l’adozione, senza alcun indugio, a carico delle Autorità di misure generali in grado di afro tare in modo adeguato il fenomeno dell’inquinamento ambientale in questione.
La sentenza ha tratto origine dall’annosa vicenda della c.d.”Terra dei Fuochi”nella quale varie Autorità territoriali, secondo le rispettive competenze, hanno messo in serio pericolo la vita degli abitanti dell’Area Campana coinvolta da decenni nello ’interramento di rifiuti tossici e nocivi per la salute pubblica degli abitanti.
La Corte ha, infatti, riconosciuto un rischio per la vita “sufficientemente grave, reale e accertabile”, che può essere ritenuto come “imminente” sebbene i suoi effetti si siano giù manifestati da tempo sulle popolazioni colpite senza alcuna decisione in merito.
I Giudici dell’Alta Corte Europea, inoltre, hanno ritenuto che “non ci sono prove sufficienti di una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle Autorità nell’affrontare la situazione della Terra dei Fuochi”, evidenziando che i progressi nel valutare l’impatto dell’inquinamento ambientale sono stati lenti mentre occorreva intervenire con celerità.
Inoltre i Magistrati hanno rilevato che lo Stato non è stato in grado di dimostrare di aver avviato tutte azioni penali necessarie per combattere lo smaltimento illegale di rifiuti nell’Area della Terra dei Fuochi.
Sul punto la decisione afferma che “data l’ampiezza, la complessità e la gravità della situazione, era necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile, per informare la popolazione sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi”.
E’ mancato, invece, ogni intervento anzi, alcune informazioni sono state coperte persino per lunghi periodi dal “Segreto di Stato”, secondo la CEDU.
La sentenza ha, quindi, accolto il ricorso presentato nel 2013 da 41 abitanti della zona che lamentavano gravi danni alla salute.
Va, comunque, sottolineato che la Corte ha deciso di accettare in parte le obiezioni del Governo italiano e ha rigettato i ricorsi delle Associazioni, in rappresentanza di altri numerosi cittadini ritenendo (erroneamente - ndr) che le stesse non fossero “direttamente interessate”alle presunte violazioni che hanno generato un concreto pericolo per la salute dovuto all’esposizione all’inquinamento poiché mancavano della legittimazione ad agire per conto dei loro associati.
Per quanto attiene, invece, ad altri cittadini ricorrenti, ha ritenuto che mancassero prove sufficienti che essi vivessero nelle aree interessate (!!).
La CEDU ha, inoltre, disposto la esecuzione degli i interventi necessari entro due anni dalla decisione “per evitare il risarcimento dei danni alle numerose Vittime” di quello che può essere definito in vero e proprio “disastro ambientale”, benché tale affermazione abbia provocato le doglianze dei malcapitati.
Con il termine "Terra dei Fuochi" ci si riferisce a un vasto territorio compreso tra la Provincia di Napoli e l'area sud-occidentale della provincia di Caserta, segnato dal fenomeno delle discariche abusive e dall'abbandono incontrollato di rifiuti, spesso dati alle fiamme, peggiorando così la situazione già grave.
L'espressione venne utilizzata per la prima volta nel 2003 nel Rapporto Ecomafie di Legambiente, per poi essere narrata dallo scrittore Roberto Saviano nell'ultimo capitolo del suo libro “Gomorra”.
Il Territorio, che oggi comprende 90 comuni (56 nella provincia di Napoli e 34 in quella di Caserta), ha una popolazione di oltre tre milioni di abitanti.
Il disastro ambientale ha radici profonde che vale la pena sintetizzare.
Nel 1996 un Ispettore di Polizia della Criminalpol scrisse un’informativa di servizio che raccontava di “camorristi, imprenditori “eco-mafiosi”, usurai, banchieri e professionisti della finanza”, tutti coinvolti, in tempi e con ruoli diversi, nella “realizzazione di un un progetto unico dagli effetti letali per il sistema economico nazionale e per l’ambiente delle zone interessate della Campania
Tuttavia, la gravità della situazione emergeva in tutta la sua drammaticità nel 2015, quando il Corpo Forestale scopriva nel Comune di Calvi Risorta più la grande discarica sotterranea d'Europa di rifiuti tossici che recava i segni inconfon dibili di una gestione criminale del Territorio.
Da allora sono passati tre decenni dall’informativa dell’’Isp. Mancini, divenuto anch’esso vittima di una grave leucemia, che ne ha cagionato il decesso, dopo aver scandagliato i terreni compromessi e inseguito trafficanti di veleni, poiché la sua relazione è rimasta sepolta nei cassetti per anni, prima di finire nel processo all’inventore dell’Ecomafia, condannato per l’inquinamento della discarica di sua proprietà.
Seguono trent’anni di ritardi, omissioni, imprenditori protagonisti degli scarichi abusivi diventati padroni di una terra martoriata, politici distratti, nella migliore delle ipotesi, e complici, nella peggiore, e solo adesso è arrivata una decisione della CEDU che cancella ambiguità e colpevoli silenzi di questi lunghi anni.
Tra i firmatari del ricorso, vi è stato chi non si è arreso quando ha visto la tradizione familiare di semplici pastori finire con l’abbattimento delle pecore perché nascevano deformi come mostri, siccome pieni zeppi di diossina come pure chi viveva nella Terra dei Fuochi
Uomini come agnelli, abbattuti dai veleni e dall’indifferenza delle Autorità(!!).
Per questo i ricorrenti, alla luce della decisione della Corte di Strasburgo, hanno affermato che “Il pensiero va a tutti coloro che hanno lottato insieme a noi e non sono riusciti ad assaporare questo minimo di giustizia.
Ma questa è una Terra che ha bisogno anche di risposte, perché, chi ha inquinato, non può tornare in possesso di tutto per l’inerzia di un Giudice” come nel caso dei Fratelli P., condannati per disastro ambientale ed al centro di una procedura di confisca incredibilmente arenatasi per il ritardo della Corte d’Appello nell’emissione del verdetto e la conseguente perdita di efficacia del decreto, nel silenzio del Ministero della Giustizia.
Anche le indagini parlamentari hanno confermato la gravità della situazione con siti di discarica illegali nei terreni agricoli, contaminazione delle falde acquifere e alti tassi di inquinamento atmosferico.
Una breve illustrazione delle conclusioni delle relazioni predisposte dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti è reperibile nella sentenza Di Sarno e altri.
Nella sua Relazione del 5 febbraio 2013 (ossia 12 anni orsono) la Commissione affermò quanto segue:
“In questo preciso momento storico il problema dei rifiuti in Campania non è più un problema regionale (…) è un problema nazionale che sta esponendo l’Italia a sanzioni gravissime da parte dell’Unione europea (…) La vicenda concernente le ecoballe, costituite da 6 milioni di tonnellate di rifiuti in siti di stoccaggio che avrebbero dovuto essere provvisori e che hanno finito per trasformarsi in discariche a cielo aperto, è emblematica della proporzione di ingestibilità delle problematiche dei rifiuti nella regione. Quanto l’inquinamento si sia trasferito nel terreno, quanto dal terreno ai prodotti alimentari, quanto dai prodotti alimentari all’uomo non è dato sapere con esattezza. Si tratta di danni incalcolabili, che graveranno sulle generazioni future. Il danno ambientale che si è consumato è destinato, purtroppo, a produrre i suoi effetti in forma amplificata e progressiva nei prossimi anni con un picco che si raggiungerà (…) fra una cinquantina d’anni.”
E, comunque, anche un tale quadro, noto alle Istituzioni, non è servito a smuovere gli animi..Ma vi è di più,
In una data imprecisata, il Governo italiano (Dipartimento della protezione civile) chiese all’OMS di condurre uno studio sull’impatto sulla salute del ciclo dei rifiuti nelle province di Napoli e Caserta.
I risultati dello studio pilota, condotto in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità (ISS), con il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), con l’Agenzia regionale per la protezione ambientale-ARPAC e con l’ Osservatorio epidemiologico regionale (OER) della Campania, furono presentati pubblicamente a Napoli nel 2005 e a Roma nel 2007.
Essi rivelarono che il rischio di mortalità associato ai tumori dello stomaco, del fegato, dei reni, della trachea, dei bronchi e polmoni, della pleura e della vescica, nonché il rischio di malformazioni congenite del sistema cardiovascolare o urogenitale e degli arti era più elevato nell’area delle provincie di Napoli e Caserta che non nel resto della Campania.
Tale territorio conteneva la maggior parte dei siti di smaltimento dei rifiuti, ma anche molti altri fattori di stress ambientale quali agricoltura intensiva, diffuse attività industriali con una densità di popolazione molto elevata.
Nel 2007 i risultati dello studio sulla “Correlazione tra rischio ambientale da rifiuti, mortalità e malformazioni congenite” furono pubblicati sul sito del Dipartimento della protezione civile e. dimostravano che l’Area aveva un tasso più elevato di mortalità dovuta al cancro e di malformazioni perché quella più colpita dallo smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e dalla combustione incontrollata di rifiuti solidi urbani.
Tale correlazione secondo lo studio suggeriva che l’esposizione al trattamento dei rifiuti incideva sul rischio di mortalità osservato in Campania, ma anche altri fattori, quali la storia familiare, l’alimentazione e il fumo potevano incidere sul tasso di mortalità.
Gli studi scientifici svolti hanno confermato, tuttavia, la gravità della situazione già diversi anni fa.
Uno studio dell'Istituto superiore di sanità, commissionato nel 2016 dalla Procura di Napoli Nord e durato quattro anni, ha mappato 38 comuni tra le province di Napoli e Caserta, analizzando 2.767 siti di rifiuti controllati e non controllati.
Secondo lo studio il 37% della popolazione di queste zone vive entro 100 metri da un sito potenzialmente pericoloso.
Lo studio ha classificato i Comuni in base a due indici: l'indice di rischio rifiuti (Irc) e quello di eccesso di esiti sanitari (Ies), evidenziando che nessuno dei territori analizzati è immune dal fenomeno.
Nelle zone con Irc più alto (livelli 3 e 4), come Giugliano e Caivano, sono stati registrati eccessi di patologie legate al tumore alla mammella, asma, malformazioni neonatali e leucemie.
I ricercatori hanno identificato tra i contaminanti metalli, idrocarburi, diossine e furani e la ricerca ha affermato che "è possibile" individuare un nesso causale e non causale tra l'esposizione ai siti pericolosi e l'aumento di alcune patologie tumorali, pur considerando la natura multifattoriale delle malattie.
Infine, rapporti scientifici internazionali, tra cui quelli di The Lancet Oncology e del World Health Organization (WHO), hanno registrato un aumento significativo dei tumori e di altre patologie gravi in danno degli abitanti delle zone interessate.
In definitiva, nonostante studi e ricerche svolti negli anni sul campo, solo trent' anni dopo, la CEDU, con una sentenza ritenuta storica, ha stabilito che lo Stato italiano non ha tutelato i cittadini vittime di ’inquinamento ambientale” benché le Autorità preposte alla vigilanza fossero a conoscenza della grave compromissione ambientale dei luoghi sin dalla fine degli anni ottanta.
La Corte, valorizzando un principio dimenticato in questi anni, ossia quello di precauzione, ha stabilito che lo Stato italiano non ha agito con la diligenza necessaria per affrontare un fenomeno di così grave entità e non ha adottato misure efficaci per prevenire il continuo interramento e incenerimento di rifiuti pericolosi e nocivi per le persone.
Pertanto, il 30 Gennaio 2025, la Corte ha emesso una sentenza che condanna l’Italia per aver violato il diritto alla vita (art. 2 CEDU) e per non aver, adeguatamente protetto gli abitanti della Terra dei Fuochi dallo smaltimento illegale di rifiuti tossici e nocivi
La Corte di Strasburgo ha censurato severamente le condotte dello Stato italiano “perché esisteva un un principio di precauzione ed un dovere di protezione della popolazione non annullato dalla mancanza di certezza scientifica sugli effetti precisi che l’inquinamento potrebbe avere sulla salute”, come si legge nella storica decisione.
Altro punto cruciale è quello relativo alla frammentazione degli Enti decisori, a causa di una pletora di soggetti istituzionali tra cui Province, Comuni, Autorità sanitarie, Regione e Ministeri, che non hanno fatto altro che aumentare la confusione decisionale, ritardare le risposte e aumentare la distanza tra Comunità interessate e lo Stato apparato.
Proprio questo, secondo la sentenza, avrebbe impedito “una risposta sistematica, coordinata e globale da parte delle Autorità”nell' affrontare la situazione generata dalla criminalità nella “Terra dei Fuochi”, come sottolinea la decisione, che condanna anche i silenzi e l’impunità garantita ai trafficanti e sodali delle ecomafie, anche grazie ad una legislazione carente e alla ormai consueta prescrizione dei reati per carenze dell’Ordinamento giudiziario.
In sintesi, la Corte ha rilevato che le carenze delle Istituzioni sono avvenute per
Ritardi e inazione sistemica:
La Corte ha evidenziato come lo Stato italiano sia stato a conoscenza del problema sin dagli anni '80, senza tuttavia adottare le necessarie misure preventive o correttive.
I ritardi nell’avvio di programmi di bonifica e la mancanza di coordinamento tra le diverse autorità hanno aggravato la situazione.
Mancanza di comunicazione efficace:
La Corte ha riscontrato una carenza di strategie di comunicazione volte a informare la popolazione sui rischi sanitari e sulle misure adottate.
Parte delle informazioni è rimasta coperta dal segreto di Stato per lunghi periodi.
Misure giudiziarie insufficienti:
La Corte ha ritenuto che le autorità italiane non abbiano adottato misure adeguate per perseguire penalmente i responsabili delle attività illecite.
Solo sette condanne per crimini ambientali sono state presentate come prova, un numero insufficiente rispetto alla durata e gravità del fenomeno.
In base a tali motivazioni, la CEDU con la sentenza, che ha carattere definitivo, ha condannato l'Italia per non aver protetto i suoi cittadini dall'avvelenamento delle falde acquifere e dei terreni, cagionando un pericolo per la salute pubblica che gli stessi Giudici definiscono "sufficientemente grave, reale e accertabile", con effetti già in corso sulla popolazione e "non ci sono prove sufficienti di una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle Autorità nell'affrontare la situazione"
Secondo la Corte “era necessario adottare una strategia di comunicazione completa e accessibile per informare il pubblico sui rischi potenziali o reali per la salute, ma questo non è stato fatto, anzi, alcune informazioni sono state coperte per lunghi periodi dal “Segreto di Stato”.
Alla luce di una tale situazione, i Giudici hanno deciso all'unanimità di dare allo Stato due anni di tempo per "sviluppare una strategia globale per affrontare la situazione, istituire un meccanismo di ritenuta monitoraggio indipendente e una piattaforma di informazione pubblica".
Invero, anche la Corte di Giustizia UE era intervenuta sulla delicata questione con le sentenze del 26 aprile 2007 e 4 marzo 2010. reperibili nella raccolta delle sentenza
Inoltre, in data 16 aprile e 10 dicembre 2013 la Commissione promosse due cause dinanzi alla CGUE ai sensi dell’articolo 260 (2) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) asserendo che l’Italia non aveva adottato le misure necessarie a ottemperare alle sentenze precedenti.
Con la sentenza del 2 dicembre 2014 (causa C-196/13), la CGUE esaminò le misure adottate dall’Italia per adempiere agli obblighi derivanti dalla sua sentenza del 26 aprile 2007 concernenti l’esistenza di numerose discariche illegali nel paese ed osservò che: “È pacifico che, in certi siti, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati alla scadenza del (…) termine [30 settembre 2009]. Per altri siti, la Repubblica italiana non fornisce alcuna indicazione utile a determinare la data in cui le operazioni di bonifica sarebbero state eventualmente attuate.”
Osservò inoltre che la semplice chiusura delle discariche in questione era insufficiente ad adempiere all’obbligo di assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che avrebbero potuto recare pregiudizio all’ambiente.
Con una successiva sentenza del 16 luglio 2015 (causa C 653/13), la CGUE esaminò le misure adottate dall’Italia per adempiere agli obblighi derivanti dalla sua sentenza del 4 marzo 2010 concernente la mancata creazione da parte delle Autorità nazionali di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti nella regione Campania.
La CGUE, accertato che, alla data di riferimento per la constatazione dell’inadempimento (15 gennaio 2012), le Autorità non avevano ancora caratterizzato e smaltito circa sei milioni di tonnellate di “ecoballe”, affermò che tale processo avrebbe richiesto un periodo di tempo di circa quindici anni a partire dalla data di costruzione degli impianti necessari a tal fine e, inoltre, che alla stessa data gli impianti con la capacità necessaria a trattare i rifiuti urbani della Campania erano in numero insufficiente.
Infatti, secondo la Commissione nel 2012 il 22% dei rifiuti urbani non differenziati prodotti nella Regione Campania (il 40% prendendo in considerazione anche la quota di rifiuti organici) veniva ancora inviato al di fuori della regione per il trattamento e il recupero.
La CGUE concluse nella decisione che l’Italia non aveva adempiuto agli obblighi derivanti dalla sentenza del 4 marzo 2010, poiché non aveva adottato le misure necessarie ad adempiere agli obblighi di cui agli articoli 4 e 5 della direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 relativa ai rifiuti (Sic!!).
La CEDU ha stabilito, quindi.che nella Terra dei Fuochi sussiste la violazione del diritto alla salute ed occorre bonificare le aree coinvolte dall’interramento dei rifiuti tossici e nocivi.
Con quella che tecnicamente va definita una pronuncia di accertamento, la Corte ha sancito l’avvenuta violazione dell’articolo 2, poiché lo Stato non ha protetto i cittadini, mentre le Istituzioni coinvolte dovevano prendere atto della situazione e intervenire rapidamente.
In conseguenza la Corte ha assegnato due anni alle Autorità competenti per mettere in atto soluzioni e interventi necessari e non più dilazionabili, come bonifiche, mappature, studi, piattaforme per correlare dati, e, tra queste, anche una informazione chiara sui territori specifici ed i rischi per la salute ad essi collegati, poiché ogni famiglia ha un dolore, un ricordo, una mancanza, la perdita di un familiare.
In particolare ed ai sensi dell’Art. 46 CEDU, la Corte ha stabilito che l’Italia deve adottare, una strategia complessiva che comprenda:
L’istituzione di un meccanismo indipendente di monitoraggio;
La creazione di una piattaforma pubblica di informazione per garantire trasparenza sugli interventi e sui rischi sanitari;
Un piano di bonifica dei siti contaminati e azioni efficaci per la prevenzione di ulteriori danni ambientali.
La sentenza rappresenta, quindi, oltre a costituire un precedente importante, sebbene resa ad anni di distanza, una ferma condanna alla gestione insufficiente del problema da parte dello Stato italiano e pone le basi per un obbligo concreto di intervento per prevenire ulteriori violazioni e per garantire il diritto alla vita degli abitanti della Terra dei Fuochi, richiamando con forza le Autorità preposte alle proprie responsabilità.
La Corte ha ribadito che la tutela della salute e della vita umana non può essere sacrificata per inefficienze amministrative o per la complessità della questione ambientale.
Il diritto a vivere in un ambiente sano e a non ammalarsi deve diventare la priorità delle istituzioni, di quelle stesse istituzioni che per troppo tempo hanno colpevolmente sottovalutato una bomba ambientale innescata da illegalità e criminalità organizzata.
Un conseguenza, le Autorità preposte al territorio non hanno più scuse o ritardi nei confronti di un’emergenza ambientale di proporzione tale che impone alle Istituzioni di rispettare quanto disposto dalla Corte e di avviare immediatamente un piano straordinario di bonifica e contrasto ai crimini ambientali, con azioni concrete per tutelare la salute e l’ambiente e restituire ai cittadini di quest’area, troppo a lungo martoriata da un inquinamento criminale, un futuro più sicuro.
Le misure richieste dalla CEDU dovrebbero garantire una maggiore trasparenza e un monitoraggio efficace delle azioni intraprese per bonificare e tutelare il territorio.
Sarebbe una risposta, insieme alle altre, per iniziare a ricostruire un rapporto di fiducia con una popolazione incolpevole ma avvelenata ed ignorata da trent’anni dall’indifferenza di pochi eletti.…che colpisce di più della diossina..!!