La Corte di Cassazione nella sentenza n. 19 del 3 gennaio 2020 ha statuito che le somme liquidate dal giudice in favore del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non devono coincidere con quelle liquidate dal giudice a carico della parte soccombente in favore dello Stato.
Mercoledi 8 Gennaio 2020 |
Il caso: L'avv. C.D. aveva difeso una donna, che era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, in un giudizio civile dinanzi al Tribunale, conclusosi con la condanna della controparte al pagamento delle spese di lite che erano state liquidate con distrazione in favore dello Stato nell'importo di C 3.500,00 di cui C 2.090,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori.
Con successivo decreto, il Tribunale liquidava in favore del legale la minor somma di € 1.500,00, oltre accessori, e l'opposizione proposta dallo stesso difensore, ai sensi degli artt. 84 e 170 del DPR n. 115/2002, veniva rigettata dal Tribunale: per il giudicante
non poteva accedersi alla tesi del professionista secondo cui vi doveva essere necessaria coincidenza tra la somma liquidata in sentenza a favore dello Stato e quella poi riconosciuta al difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato;
il richiamo al precedente del giudice penale costituito da Cass. pen. n. 46537/2011 non era pertinente in quanto non teneva conto del meccanismo delle spese processuali nel suo complesso;
in caso di vittoria del patrocinato, il giudice dispone che il pagamento delle spese da parte del soccombente avvenga in favore dello Stato, spese che però non comprendono solo gli onorari dell'avvocato, ma, per la differenza che può esistere tra quanto liquidato a carico del soccombente e quanto liquidato a favore del difensore, mirano a compensare i maggiori oneri a carico dello stesso Stato, il che esclude che possa ravviarsi un ingiustificato arricchimento a favore di quest'ultimo.
Avverso tale ordinanza l'avvocato propone ricorso per Cassazione, ribadendo la necessaria corrispondenza tra gli importi liquidati in sentenza a carico del soccombente, e con sostanziale distrazione in favore dello Stato, e quelli invece oggetto del separato decreto di liquidazione in favore difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Per la Corte di Cassazione il ricorso è infondato; sul punto si registrano infatti due orientamenti:
A) un primo orientamento partendo dalle affermazioni contenute in Cass. pen. 9 novembre 2011 n. 46537 era pervenuto alla conclusione secondo cui, “qualora nell'ambito di un giudizio civile risulti vittoriosa la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il giudice è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato, ex art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002, e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 103 del medesimo decreto, al fine di evitare che l'eventuale divario possa costituire occasione di ingiusto profitto dello Stato a discapito del soccombente ovvero, al contrario, di danno erariale;
B) un secondo più recente orientamento, a cui la Corte nel caso di specie ritiene di aderire, ha invece escluso che possa costituire vizio del decreto di liquidazione dei compensi del difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello stato, l'eventuale differenza tra gli importi di tale liquidazione e di quella adottata carico del soccombente nel giudizio di merito:
il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo d.P.R.;
in tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l'eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità;
inoltre, nel quantificare i compensi del difensore delle parti ammesse al gratuito patrocinio, non è in alcun caso consentito superare i limiti e le prescrizioni poste dalla normativa di materia; pertanto, pur voler ammettere che il giudice sia tenuto a quantificare detto compenso in misura corrispondente all'importo delle spese processuali poste a carico della parte soccombente, resta fermo però che il difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio non ha alcun titolo ad ottenere più di quanto risulti dalla corretta applicazione delle disposizioni del testo unico, potendo contestare solo sotto tali profili il decreto d.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82;
secondo la giurisprudenza costituzionale, la suddetta disciplina non lede il principio di parità di trattamento a causa del particolare criterio di remunerazione delle attività prestata in favore dei non abbienti, poiché il sistema è caratterizzato da peculiari connotazioni pubblicistiche;
in definitiva, pertanto, solo la violazione delle disposizioni poste dal DPR n. 115/2002 per la corretta liquidazione delle competenze in favore del difensore del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello stato può essere posta a fondamento del ricorso del difensore, che non ha quindi motivo di dolersi dell'eventuale differenza tra l'importo liquidatogli e quello invece posto a carico del soccombente (essendo invece quest'ultimo l'unico ad essere effettivamente pregiudicato da tale differenza).